Difficile per me trovare le parole giuste, perché tutto parte da loro.
In 5 anni del progetto Pillole, ho evitato accuratamente di scriverne o di nominarli, nonostante la prima copertina 8 bit fosse dedicata a loro, nonostante il primo articolo fosse pensato per loro.
Cosa è successo nel frattempo? Una sorta di meccanismo di auto-difesa.
Sono nato con i Queen, per poi crescerci.
Ne sapevo vita, morte e miracoli. Ho letto libri, bio, interviste ed articoli. Li ho ascoltati fino alla nausea, fino a riconoscerne ogni attacco, fino a difenderne i dischi più osceni (sì sono arrivato a difendere Hot Space a spada tratta come si usava difendere Stalin ad inizio anni ‘50 e Mao negli anni ‘60).
Andavo a dormire con le cuffie e mi svegliavo la mattina con il cd che ancora andava a ripetizione.
Fino a che non ho aperto gli occhi: non sono più riuscito ad ascoltarli, ho privilegiato altre idee musicali, sono cresciuto… certo, ogni tanto tornava la nostalgia, che ho represso violentemente una volta avviato Pillole.
Nascondendo con vergogna questo periodo della mia vita, è seguita l’auto-analisi ed infine l’accettazione.
La bomba nostalgica innescata dal film e il susseguirsi di notizie pubblicate nei mesi mi hanno trasmesso in parte perplessità ed in parte voglia di raccontarli, di portare alla luce gli aneddoti e le situazioni che la trasposizione cinematografica o gli amanti dell’ultima ora non hanno avuto modo di recepire.
Ho deciso di raccontare la mia storia dei Queen passando attraverso i loro album. In questo ciclo, si stravolgerà un po’ il format solito di Pillole, ma è un viaggio catartico che sento di dover fare.
Lo devo a me, lo devo a lui.
Ho passato la fase dai 14 ai 18 anni ad ascoltarli SEMPRE, ogni giorno, per un periodo ogni sera guardavo un concerto tra Montreal 1981 e Wembley 1986, o il Tribute del 1992 quando c’era più malinconia in me. Tutte le mattine in pullman un loro album, lo stesso per almeno una settimana.
Ascoltavo anche (poco) altro, ma proprio come te sono arrivato ad esaltarmi per Hot Space, a comprare libri, cercare un sacco di informazioni, bootleg, foto e quant’altro.
Poi, grosso modo con l’inizio dell’università, c’è stata una brusca interruzione, la virata verso la New Wave e tanti artisti con sonorità all’opposto. Nessun rimpianto, però l’inconscia necessità di sentire qualcosa di completamente diverso.
Ma sotto sotto, quando capitava di riascoltare una canzone alla radio era come tornare a casa per qualche minuto e ultimamente sono di frequente nelle mie playlist di Spotify.
Sono sensazioni molto comuni… io nel corso degli anni li ho considerati come una palestra imprescindibile (soprattutto la prima parte di carriera) per potersi approcciare con ascolti più “strutturati” in seguito. Poi quando ho scoperto il resto del panorama musicale ho sentito la necessità di non tornare indietro (pur sempre tenendoli cari nascosti in una piccola stanzina del cuore) 🙂