Squallor – Palle

Squallor - Palle

“Quando ho sentito il secondo album, io sono stato sempre contrario alle parolacce. Per me è era arrivato alla volgarità ormai”

“Fece loro presente le sue perplessità?”

“Certo, certo, certo!”

“E qual è stata la risposta?”

“Fatti i cazzi tuoi!”

Elio Galiboldi, nel gruppo iniziale, ci racconta così la sua uscita dagli Squallor.

Sinceramente ho accusato grandi difficoltà nello scegliere il tema del secondo articolo a base Squallor , l’indecisione è stata totale, tra Scoraggiando, Mutando Arraphao, alla fine la scelta è caduta sul seguito di Troia.

A differenza del primo album, qui avete già un’idea di cosa vi attende, ma la sorpresa c’è comunque nel sentire un madrigale di voci femminili e maschili che armonizzano la parola “Palle” con insistenza.

Sì perché Palle è anche il titolo dell’album ed il divertimento è nell’ossimoro provocato dal sentire una composizione elevata e raffinata – come il madrigale – associata ad un testo (se così può esser definito) dissacrante ripetuto come un mantra. Un refrain che ricompare nel disco e termina il secondo LP degli Squallor, quasi a voler ricordare all’ascoltatore il contrasto persistente tra alto e basto.

Marcialonga (telecronaca sportiva di un evento) è la canzone che inaugura il famoso turpiloquio degli Squallor, marchio distintivo della band che ha sicuramente minato le simpatie dei perbenisti e censori dell’Italia anni ‘70, negando loro passaggi radiofonici o oscurando la loro presenza tra i dischi della settimana o del mese. Insomma, uno tsunami di parolacce che però son sempre state giostrate in maniera inappuntabile e non gratuita come tante band dopo di loro. Un uso al momento giusto che però non avrebbe vietato al giorno d’oggi la celebre etichetta Parental Advisory.

Palle non è unicamente il disco che segna l’inizio dell’era del torpiloquio, ma anche quello del primo attacco ai temi sacri. La grandezza degli Squallor risiede proprio nella qualità di essere dissacranti alla lettera (fino all’origine del termine), di non guardare in faccia nessuno, con l’unica volontà di imbrattare senza freni la società che circonda l’uomo medio: dalle canzoni ai riferimenti culturali (Chinaglia ne è un esempio).

In questo si incastona un’altra meravigliosa parodia di Angeli Negri dove la canzone di Antonio Machin (poi resa celebre da Fausto Leali) viene reinterpretata sviluppandosi nel dialogo strepitoso tra il pittore ed il povero negro con Cerruti che simula il cliché della cadenza da Africa nera, a cui fa seguito la riproposizione di Sono Una Donna Non Sono Una Santa cantata dalla Fratello.

Senza dimenticare la presa per i fondelli nei confronti della musica francese tanto cara al panorama musicale italiano a cavallo tra i ‘60 ed i ‘70, con Bla Bla Bla (smash hit europea, che mi ricorderà sempre la puntata di Friends nella quale Joey è alle prese con il francese) e Veramon un surreale botta e risposta in francese maccheronico che ricorda Cara Ti Amo per il fitto dialogo della coppia:

-Oui. Allor moi e toi a casa mia
– No a casa tua non ci verrò ma.
– Me porquoi?
– Porquoi tu sei brutto.
– No ne me quitte pas, ne me quitte pas, no, ah! ne me quitte pas, ne me quitte pas, amour, amour mon, ne me quitte pas, ne me quitte pas
– Ques ques vous dis, ques ques vous dis a moi!
– Ne me quitte pas!

[…]

– Oh!
– Si tu ce repens, je, je te putrè emè….
– Una Renault?
– De che coleur?

[…]

Insomma, Palle è un disco che fa riflettere sulla qualità di questi artisti a tutto tondo, che mostra delle basi musicali di una eccellenza unica, arricchite di orpelli e ben congegnate che per forza di cose passano in secondo piano dietro i testi e le voci dei nostri meravigliosi SavioPace e Cerruti.

Consiglio perciò caldamente di rimboccarsi le maniche, sturare le orecchie e massaggiare la mandibola prima di cominciare la sessione di ascolto (se siete adolescenti meglio l’ascolto in cuffia piuttosto che a tutto volume).

Non mi resta che salutarvi e consigliarvi caldamente di “Mettetevi un dito in culo! E la vita vi sorriderà!”

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