Beirut – The Flying Club Cup

Beirut - The Flying Club Cup

Capita talvolta di venir rapito da particolari suoni, come quando d’inverno sei steso sul divano e di punto in bianco sentì risuonare a distanza la zampogna, con quelle note così riconoscibili, e automaticamente il sorriso si stampa sul volto.

Così è successo per quest’album dei Beirut, assolutamente nulla di indimenticabile, non aggiunge nulla a ciò che c’è in giro, ma entra dentro e tocca le corde giuste. Lo fa sulla base di quella globalizzazione musicale crescente, una contaminazione che strizza l’occhio più frequentemente ai suoni tzigani, balcani e all’Europa di un tempo, quella dei primi del ‘900, degli sfarzi e delle bande. In tutto questo si stabilisce The Flying Club Cup (un incrocio tra Lol CoxhillYann Tiersen e Goran Bregovic), in un ciclo di Pillole caratterizzato da stili musicali simili, tra il malinconico e melodie – in alcuni casi acchiappone – che penetrano con convinzione nell’ascoltatore.

L’esempio di Yann Tiersen non è casuale, è persistente l’impronta francese, la canzone in apertura è dedicata alla città di Nantes e quell’incedere ipnotico all’organo sembra preso in prestito proprio dal compositore francese.

Ciò che traspare dall’intero disco è l’amore smodato che Zach Condon prova per la Francia e la sua capitale, nella quale il cantautore si è trasferito “in fase creativa ho ascoltato tantissimo Jacques Brel e la musica degli chansonnier francesi, canzoni popolari avvolte da arrangiamenti meravigliosi, e quest’aspetto per me era quasi del tutto sconosciuto. Perciò ho acquistato nuovi strumenti con i quali non avevo tanta confidenza, come i corni francesi e l’eufonio, continuando con gli ottoni e le trombe, lavorando con fisarmonica e l’organo”.

La sensazione che gli ottoni e gli strumenti a fiato – in generale – offrono è quella di ascoltare una banda d’altri tempi, un po’ come avviene per i Neutral Milk Hotel, che tramite arrangiamenti evocativi e il sapiente uso di più strumenti garantisce un impatto sonoro di spessore ed estremamente piacevole, seppur con sfumature emotivamente meno importanti rispetto ad In The Aeroplane Over The Sea.

C’è un’altra analogia tra il lavoro marcato da Jeff Mangum e quello di Zach Condon, l’artwork scelto per la copertina dell’album è molto simile, seppure nel caso dei Neutral si tratti di una cartolina illustrata e in questo di una fotografia (con in primo piano una donna ben vestita a ridosso di una spiaggia). Condon, spiega la scelta del nome dell’album a rafforzare l’influenza retrò subita dal leader della band “Guardando ad inizio ‘900… a Parigi veniva organizzato un festival per le mongolfiere – l’album è stato intitolato così dopo aver visto una foto veramente bizzarra del 1910. È uno dei primi scatti a colori mai eseguiti prima, alla fiera mondiale, e mostra tutte queste vecchie mongolfiere pronte al decollo dal centro di Parigi. Credo sia una delle immagini più surreali che abbia mai visto”.

Vi consiglio di ascoltarlo qualora non l’aveste fatto prima… ripeto, nulla di eclatante ma è estremamente godibile e discretamente più leggero rispetto a dischi come Failing Songs e In The Aeroplane Over The Sea (con atmosfere in parte proposte anche dai Black Heart Procession in 2) che hanno sonorità molto in linea con quelle espresse dai Beirut.

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