
Dopo Tropicalia: ou Panis et Circencis, Caetano Veloso e Gilberto Gil, godono di una forte esposizione mediatica, i loro dischi di esordio sono sulla bocca di tutti, il manifesto tropicalista si è diffuso e ha fatto numerosi proseliti.
Come sostenuto da Gilberto Gil in ricordo del periodo: non vi era piena coscienza dell’impatto di Tropicalia, quanto più che altro consapevolezza di un cambiamento nella propria musica; un’onda a trazione globale (guardando anche agli eventi negli Stati Uniti e in Europa). Naturalmente questa si riverbera sulla società.
In fondo il cambiamento si pone sempre come un’urgenza di comunicare verso chi si trova in condizioni similari, e tropicalia si è dimostrato un centro di concepimento fertile.
Accade però che nella prima metà del dicembre 1968, il governo in carica emana l’AI-5 – un atto istituzionale che conferisce poteri assoluti al Presidente della Repubblica – e di fatto sbaraglia ogni tipo di attività sovversiva o opposizione. Istituisce i tristemente noti squadroni della morte, e va a censurare ogni forma artistica (e che indurrà i vari Chico Buarque, Milton Nascimento e gli altri di cui abbiamo raccontato, ad ingegnarsi per aggirare ogni forma di veto per far vedere la luce alle proprie creature intellettuali).
Passano appena due settimane, quando un provocatorio Caetano (divenuto, assieme a Gilberto Gil, ospite fisso del programma televisivo dei tropicalisti Divino, Maravilhoso in onda su TV Tupi [Tupy or not Tupy… ndr]), si punta la rivoltella alla tempia mentre interpreta Boas Festas di Assis Valente.
Dopo 3 giorni vengono entrambi arrestati guadagnandosi 2 mesi di prigione a cui seguono 4 di domiciliari per attività sovversiva e vilipendio del paese. Il programma non è che fosse stato preso in simpatia dalle sfere alte e l’ultima performance di Veloso è stato il classico eccesso che ha fatto vacillare la pazienza dei potenti. Il Governo invita caldamente i due dissidenti ad “auto-esiliarsi”; Veloso e Gil colgono la palla al balzo per andarsene a Londra (con tappe poco degne di nota a Lisbona e Parigi) non prima di aver organizzato un concerto di commiato – o meglio di raccolta fondi – per pagarsi il biglietto aereo. Nei due anni e mezzo spesi nella Big Smoke, Caetano Veloso produce due dischi: un omonimo (tanto per cambiare) e Transa.
Durante il periodo d’esilio, a Veloso viene concesso di tornare in Brasile per le celebrazioni del quarantesimo anniversario di matrimonio dei suoi genitori. Nella breve permanenza è sottoposto ad interrogatorio dal personale militare, che ne approfitta per richiedere la composizione di una canzone che elogi la nuova opera pubblica sulla bocca di tutti: l’autostrada Transamazônica.
Come lecito aspettarsi, Veloso si rifiuta, ma tornando a Londra registra Transa, disco che poi vedrà la luce nel 1972 proprio in Brasile, quando grazie all’intercessione pubblica di João Gilberto – che accetta di tornare in televisione dopo 10 anni di assenza a patto che partecipi anche il suo figlioccio artistico – Veloso tornerà in patria.
Caetano constata che la situazione è più distesa rispetto a due anni prima, e decide di fermarsi nel suo paese per continuare la dissidenza in loco. Transa è un ulteriore schiaffo ad un regime che ha dimostrato a più riprese i propri limiti intellettivi. La richiesta da parte dei militari di registrare un album ufanista è stata rigettata, ma a questo affronto, Caetano Veloso, risponde con una provocazione: elidendo la parola Transamazônica nella più semplice Transa (che l’urban dictionary traduce in “scopare”).
Alla luce di questo, Transa, va a collocarsi con vigore tra i picchi raggiunti da Veloso durante la sua infinita carriera [invito a leggere la valida considerazione a proposito sulla scarsa notorietà del disco in questo paese a scapito di album come Estrangeiro ndr], evito di dilungarmi in una tediosa analisi del disco, in quanto ahimé è stato scritto di tutto e di più a riguardo.
Ho piacere però nel soffermarmi sul valore puro di Transa, di come risuoni decisa l’integrazione tra due mondi musicali, come dimostra nell’audace – per i canoni dell’allora pubblico – rilettura di Mora na Filosofia di Monsueto Meneze e Arnaldo Passos, nella citazione a The Long and Winding Road dei The Beatles (pallino non solo di tutto il mondo occidentale ma anche dei giovani tropicalisti), o nel reggae scoperto a Portobello Road e assimilato brillantemente in Nine Out Of Ten.
Ma la bellezza di questo disco a mio avviso giace nella naturalezza dimostrata da Veloso nel disorientare l’ascoltatore passando dal brasiliano all’inglese, senza forzature e in armonia; una proprietà che ha mostrato più volte nel corso della sua lunga carriera (anche con lo spagnolo e l’italiano) così come hanno dimostrato di saper fare Gilberto Gil e Chico Buarque.
Con questa spontaneità si svela al mondo con You Don’t Know Me, in apertura del disco, arricchita dai puntelli vocali di Gal Costa. Per le registrazioni di Transa, Veloso si è affidato a Ralph Mace (ei fu produttore di The Man Who Sold The World) e ha chiamato a raccolta i propri sodali, oltre a Gal Costa partecipano anche: Macalé, Moacyr Albuquerque, Tuti Moreno e Áureo de Sousa (entrambi alle percussioni). Con la volontà di registrare tutti i brani come se provenissero da uno spettacolo dal vivo, ricreando una situazione da band (la prima nella carriera di Veloso), che risultasse genuino.
Transa è un grande valore aggiunto nella discografia di Caetano Veloso, un disco che evidenzia – se ce ne fosse stato bisogno – l’eclettismo di chi nei successivi 50 anni avrebbe continuato a distribuire perle di rara sensibilità artistica.