No Code è uno degli album di protesta sociale più significativo degli anni ’90, in quanto concepito durante il transito della band presso la Salerno-Reggio Calabria.
La quarta fatica targata Pearl Jam non soddisfa a pieno lo zoccolo duro dei fan – così come per i Soundgarden – incapace di accettare la morte del Grunge.
Eppure la band – che sapientemente ha saputo vestirsi di nuovi abiti già con Vitalogy – dimostra un ulteriore passo verso quella maturazione artistica che ne garantirà la longevità.
Il processo creativo di No Code è stato più che tortuoso; le sessioni di registrazione ed il tour procedevano di pari passo, nel mentre le acrimonie tra i membri stavano accrescendo, così come la quantità di lavoro pro-capite. Il paciere in questo caso ha il nome di Jack Irons – ex batterista dei Red Hot Chili Peppers e membro dei Pearl Jam dalla fine dell’era Vitalogy – che costrinse i membri al confronto mettendoli faccia a faccia di fronte ai problemi e consentendo la finalizzazione dell’album.
No Code affronta temi quali la morale, l’esame di coscienza ed i dilemmi spirituali, mettendo su nastro tutto quello che la band ed i suoi membri hanno affrontato e stavano vivendo all’epoca.
Vedder ci spiega anche la vera ragione dietro alla scelta del nome dell’album: “E’ chiamato No Code perché è pieno di codici. E’ disinformazione”; questo messaggio traspare in maniera chiara anche osservando la cover – ricca di polaroid, come a voler comunicare tutto e nulla (tra le quali appare anche l’occhio di Dennis Rodman grande amico dei membri della band). Cambiando prospettiva, e aumentando la distanza, si nota come la disposizione delle istantanee formi un triangolo con un occhio, ovvero il logo di No Code.
La sperimentazione dell’album è relativa, brani come Hail, Hail, Habit e Lukin, non nascondono le origini dei Pearl Jam; Sometimes è prodromica della carriera cantautoriale di Vedder; ma il valore aggiunto del disco è Red Mosquito dove la steel guitar la fa da padrona. E’ una delle canzoni più richieste nei concerti dei Pearl Jam e molto spesso viene eseguita assieme a Ben Harper alla steel guitar.
Durante le sessioni di registrazione del brano, McCready ha il vezzo di utilizzare – come slider – un vecchio Zippo appartenente al padre di Vedder, che lo stesso cantante seppur restio si convince a donargli giorni dopo.
Red Mosquito nasce da un’intossicazione alimentare che costringe Vedder al letto di un ospedale, la sensazione che prova è come se fosse rinchiuso in una stanza con una zanzara che lo tormenta. Quella zanzara è il concerto al Golden Gate Park, dinnanzi a 50mila anime, e sul palco c’è un ospite d’eccezione: Mr. Neil Young.
Vedder abbocca all’amo di zio Neil e lascia in fretta e furia l’ospedale, limitandosi però a cantare solamente 7 canzoni, il resto lo fa Nello, che traghetta – da buon leader – la band per tutto il concerto (sodalizio già rodato nel disco Mirror Ball.)