Elio E Le Storie Tese – ඒලියෝ සමඟ හුකපං කැරියන තුරු (Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu)

Elio E Le Storie Tese - Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu

ATTENZIONE: il linguaggio utilizzato per questo articolo potrebbe turbare il pubblico più sensibile. Consiglio perciò di non continuare nella lettura, se non apprezzate un lessico oltraggioso e triviale. Questo disco richiede un’immedesimazione tale che se non l’avessi raccontato in questa maniera sarebbe stato come tradire lo spirito di Pillole (sinceramente mi sono anche divertito a scrivere qualche cazzo qua è là).

L’esordio è col botto, un po’ per l’insieme dei brani che compongono questo primo disco, un po’ per la nomea della band di culto costruita minuziosamente tra: musicassette piratate, anni e anni di gavetta con performance eseguite nei circoli ed i club.

Insomma, una carriera che è un pot-pourri di caroselli, teatrini, satira, comicità e parolacce quasi mai gratuite (tranne nel caso di La Ditta), ma sempre funzionali alla risata: “un fregio all’argomento trattato nella canzone” come ci ricorda Rocco Tanica seguendo il dogma degli Squallor e – se volessimo fare un esempio più alto nell’immaginario musical-borghese-radical-chic – di Guccini con L’Avvelenata (canzone ispiratrice per Rocco).

Proprio il turpiloquio ed i testi privi di pudore minano la presenza nelle radio e nelle classifiche ad inizio carriera, salvo poi essere sdoganati pian piano col passare degli anni.

A differenza del luogo comune che avvolge gli Elii, la parolaccia non sempre risulta la soluzione prediletta, talvolta si percorrono rotte più elaborate, navigando in maniera divertita nelle acque tormentate dei doppi sensi con John Holmes (l’incipit è un tributo alla canzone di Mina Quad’ero Piccola) – senza scadere nel tranello della parola proibita che gli ascoltatori attendono per tutta la durata della canzone. Gli Elii dimostrano così come la loro cifra stilistica sia proprio quella della presa in giro nei confronti dell’ascoltatore.

Il doppio senso fa da padrone anche in Piattaforma, che vede la partecipazione della strepitosa e compianta Peev Agliato (alias di Paola Tovaglia, volto di Bim Bum Bam e doppiatrice negli anni ‘80, portataci via troppo presto) in un brano che dal vivo ha offerto anche il confronto tra Elio e Rocco nella parte di Papà ed Enzo. Ispirato a Je T’aime Moi Non Plus (come Veramon) ci delizia di perle memorabili come “Fremo a immaginarti tra i cateti” – modo carino per dire ti penso a 90° – lasciando intendere ad una storia di amore tra i due, salvo poi scoprire a fine canzone che la relazione è semplicemente tra padre e figlio.

Questo è solamente uno dei molteplici messaggi subliminali nascosti in un brano che definire meraviglioso è riduttivo, come ad esempio l’intro che dovrebbe appartenere a Cold Song di Klaus Nomi. Un senso di disagio assale chi l’ascolta per la prima volta, restando inerme e disorientato.

Un continuo trompe-oreilles che incide deciso nella forma canzone della carriera di Elio, con: frasi musicali apparentemente rubate da altre hit; citazioni e tributi posizionati in punti strategici per coprire potenziali plagi; scherzi continui che prevedono come fine ultimo un perculamento costante volto ad una interazione dell’ascoltatore.

Proprio l’ascoltatore è costretto ad concentrarsi sui continui giochi di parole per non perdere il senso della canzone, in un inganno perpetuo dalle mille sfumature. Carro ne è un esempio, un turbillon di modi di dire che insieme alla Donna Cannone – alla fine dei giochi – va ad infilarsi nel buco del culo di Nembo Kid. Ma anche Abitudinario che gioca sugli usi e costumi tipici della stra-grande maggioranza dei maschi nei momenti di solitudine, domande esistenziali dal peso enorme che alimentano i discorsi dei ragazzi da secoli. Oppure Silos che sembra ricercare la soluzione alla fame del mondo con gli occhi e la testa di un 14enne – che vede la doccia col binocolo – a capo della FAO.

Cateto è un altro brano epico che dimostra come il non-sense vada a confluire in una storia con una morale inappuntabile, che tra ghost-track, batterie contro-tempo e registrazioni al contrario, appare come una delle canzoni più complesse degli Elii.

“In Cateto uno dei temi è l’adagio per archi e oboe di Benedetto Marcello letto al contrario” racconta Tanica il tastiere, rendiamoci conto del livello tecnico di questi signori. Anche qui troviamo Peev Agliato che presta la voce alla donna d’Erba.

Cara Ti Amo resterà forse il brano più iconico, capace di rappresentare la morte della rapporto di coppia dopo poco tempo dalla nascita della relazione. Inutile approfondire il batti e ribatti tra Elio (donna) e Rocco (uomo), mi preme invece porre l’attenzione sul fatto che questo è l’unico brano live del disco, nel quale figura come guest alla batteria l’inossidabile metronomo svizzero Christian Meyer.

Detto ciò, lo scherzo più grande gli Elii ce lo schiaffano davanti agli occhi con quella copertina e con quel titolo incomprensibile e impronunciabile.

Cominciando dalla copertina, essa ritrae il prototipo dell’essere umano vitruviano del XX secolo, il “figlio del mondo” che corrisponde all’unione dei capelli di Raffaella Carrà, la bocca di Whitney Houston, il naso di Mike Tyson e la fronte di Michael Jackson prima del cambio colore.

Per il titolo invece, la storia vuole che gli Elii chiedendo ad amici cingalesi una dei pensieri più turpi da esprimere nella loro lingua, ricevettero in ritorno questa frase: Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu.

Ora la lingua dello Sri Lanka non prevede l’uso di parolacce, perciò è necessario costruire pensieri biechi accostando dei vocaboli dall’uso comune ad una immagine. Pertanto Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu può essere interpretato in due modi:

  1. “scoreggiamo e sborriamo nel nome di Elio”
  2. “chiaviamo fino a sborrare”.

La certezza sul significato della frase probabilmente non l’avremo mai, di sicuro la sua funzione l’ha svolta, perché come ha raccontato Rocco Tanica qui, due cingalesi intenti a passeggiare in piazza del Duomo, attratti dai caratteri tipici dello Sri Lanka, si sono avvicinati alla vetrina del negozio di dischi e dopo aver strabuzzato gli occhi sgomenti, se ne sono andati con disappunto.

Esaminare ogni singola traccia di questo album richiederebbe un capitolo a parte di pubblicazione (includo anche le transizioni con le interviste di Bisio e l’apertura/chiusura con gli Adolescenti A Colloquio che ci ricordano i bei tempi andati dello scambio delle figu e introducono all’ascolto del disco il pubblico oltre che salutare “affettuosamente” gli Skiantos e la loro Eptadone), certo che alcune sembrano pensate appositamente per mettere in difficoltà i ragazzini costretti ad ascoltare la cassetta con la mano incollata alla manopola del volume dello stereo per abbassare al momento della parolaccia.

Mi sono dilungato in maniera oscena.

P.S. 19 anni prima dell’attuale ministro Toninelli, i buoni e cari Elii hanno presentato l’idea di costruire delle autostrade per i giovani “Delle autostrade dove tutti cantino e ballino insieme”.

Profeti in patria.

 

Si ringrazia infinitamente il sito Marok.org dal quale ho attinto diverse informazioncine preziose. Pertanto, se voleste approfondire, consiglio vivamente di spulciarvi tutte le chicche che i ragazzi hanno raccolto.

http://www.marok.org/Elio/Discog/samaga.htm

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Sufjan Stevens – Illinois

Sufjan Stevens - Illinoise

Oggi provo a raccontarvi un disco estremamente complesso, ambizioso e pieno di spunti intriganti. Sufjan Stevens è una delle figure più valide della scena musicale contemporanea, non si limita al compitino, osa, con tutto quello che ne consegue: grandi intuizioni e qualche passaggio a vuoto.

Illinois nelle sue 22 tracce si impone al pubblico, facendosi notare, raccogliendo critiche positive e contribuendo ad alimentare la leggenda secondo la quale – dopo Michigan del 2003Stevens avrebbe deciso di comporre un disco per ogni stato americano. La strada è lunga…

“È solamente uno scherzo” ci tiene a precisare Stevens, quasi rincuorando chi lo avesse preso sul serio, l’idea di fondo non sarebbe stata nemmeno malvagia, cantare di fatti o di persone che hanno caratterizzato la storia di un particolare stato… come fa in Illinois e nelle sue canzoni dal titolo improbabile ed infinito (uno a caso The Black Hawk War, or, How to Demolish an Entire Civilization and Still Feel Good About Yourself in the Morning, or, We Apologize for the Inconvenience but You’re Going to Have to Leave Now, or, ‘I Have Fought the Big Knives and Will Continue to Fight Them Until They Are Off Our Lands!). Per praticità eviterò di scrivere altri titoli del genere, altrimenti finirei di fatto l’articolo semplicemente citando i brani😀

Illinois parte spedito, con fanfare meravigliose e ragtime anni ’30, per poi rallentare ad una più rassicurante velocità di crociera, apparentemente senza sussulti per un orecchio distratto. Oibò! Non cadete in codesto tranello, poiché una volta assimilato il disco e accettata la sua struttura, prestando attenzione ci si imbatterà in tante piccole gemme delicatissime, riferimenti su riferimenti all’imprinting musicale di Stevens, ogni canzone ha degli arrangiamenti spettacolari – estremamente complessi – si ha l’impressione di ascoltare delle micro colonne sonore [a tal proposito, il prossimo ciclo riguarderà in parte questo discorso ndr]

Quante volte ascoltando Illinois ho avuto la sensazione di vivere una scena di un film, di compiere un viaggio all’interno dello stato americano; ha delle atmosfere da sogno nelle quali è facile perdersi. La ricerca, lo studio di libri, documenti e storie sull’Illinois, la necessità di trasmettere la propria visione genuina di uno stato e dei suoi elementi distinguibili, conducono all’immedesimazione nel clima di festa dell’expo del 1893 [per i 400 anni dalla scoperta dell’America da parte di Colombo ndr] descritta in Come On! Feel the Illinoise! [titolo che prende spunto dalla canzone di Slade del 1973 Cum On Feel The Noize, giocando sulle parole Illinoise e Feel The Noize. Sufjan si è giocato la carta dell’assonanza per intitolare l’album e creare scompiglio in tutti gli ascoltatori che non sanno se il titolo dell’album è Illinois o Illinoise ndr] e che ha il celebre refrain di Close To Me dei The Cure a tributare uno dei radi slanci di gioia di Smith.

“Uso la formula dello short story: attenzione ai dettagli, linguaggio sensoriale, scenari, sviluppo dei personaggi. Talvolta penso che ogni canzone abbia un punto di conflitto, una crisi, un climax e un punto nel quale si rivela tutto quanto. Questa è sicuramente una struttura letteraria. Ma forse è perché appartengo alla vecchia scuola”, non ci sono dubbi che la metodologia di scrittura di Sufjan sia incline alla narrazione, questo spiega la scelta di titoli estremamente narrativi e le canzoni talvolta dilatate.

“Per quanto grande possa apparire questo disco, posso assicurarvi che è stato accuratamente tagliato. Era essenziale avere un particolare punto di vista che conciliasse ogni elemento all’interno di questa visione. Perciò molto è stato scartato. Ho ignorato tutti i temi popolari, ho cercato di cantare di Springfield, Pittsfield, il lago Carlyle. Cose che non c’entravano col resto dell’album e sono state scartate”. È forse questa la magia di trovare nell’artwork Al Capone con Superman che si stagliano di fronte lo skyline di Chicago, un’illustrazione che per beghe legali è stata ritoccata più volte, sino a rimuovere l’uomo dal mutandone sopra al pantalone e sostituirlo con dei palloncini rossi e blu. Quello stesso Superman citato in The Man Of Metropolis Steals Our Heart, nella quale Metropolis (città dell’Illinois autoproclamatasi città di Superman) è il teatro delle avventure di Nembo Kid, il Gesù del secolo scorso, il salvatore dell’umanità in una chiave di lettura molto cattolica ed estremamente cara alla DC ai fini narrativi.

Capite da voi che questo disco non poteva mancare in questo gruppo, anche se forse le sensazioni di gioia che trasmette in alcuni brani va un po’ in controtendenza con altri lavori trattati, decisamente più abbacchiati e tetri. In comune c’è l’approccio lo-fi, un registratore a 8 tracce che Sufjan è solito portare in studio con sé… nessun ingegnere del suono, nessun parametro pre-impostato, solo lui, gli strumenti ed il registratore ad 8 tracce.

Il fai da te come missione, forse per questo motivo Illinois mi sembra ancora di più accattivante, perché dietro ad arrangiamenti complessi, quasi rari visti i tempi che corrono, Sufjan si mette la mano sulla coscienza e compone un potpourri dal profumo inebriante: “Ho studiato l’oboe alle superiori […]. La maggiorparte di ciò che ho studiato è musica barocca, classica, ed il repertorio per oboe è interessante. Ho suonato molto con quintetti e fiati, ho ascoltato musica barocca per molto tempo. Recentemente mi sono imbattuto in Stravinskij, Rachmaninov e Grieg. Credo che parte dei miei arrangiamenti provengano da lì e da influenze minimali quali Terry Riley, Steve Reich e Phillip Glass“.