Luciano Cilio – Dialoghi Del Presente

Come avrete inteso dalla scorsa settimana, si ritorna alla regolarità (ci si prova almeno) dopo una lunga ed imperdonabile assenza. Per questo motivo ho scelto un ciclo dedicato alla musica italiana, per dimostrarvi che nell’ammanto di silenzio calato in questo spazio digitale, risiede uno studio volto a regalarvi piccole perle di rara bellezza. 

Ho il piacere di introdurvi a un disco al quale sono molto legato, che ha poco di nostro all’apparenza. C’è una magia che non è propria del nostro territorio in Dialoghi del Presente, un misticismo che non consente di collocare facilmente questo disco in un arco temporale definito.  

Nomen Omen, Cilio rende fluidi questi Dialoghi, come se appartenessero all’adesso, al prima e al dopo. Suoni troppo puliti ed elaborati per sembrare antichi, ma con un riverbero che li rende distanti in un gioco misurato sapientemente da Cilio, capace di sospendere il tempo. 

Non è facile descrivere qualcosa del genere, sto facendo uno sforzo enorme, non è identificabile con musica progressiva, da camera, classica. Le composizioni di Cilio riunite in Dialoghi del Presente sono qualcosa di oltre. Per aiutarvi, se dovessi azzardare dei parallelismi direi che il Primo Quadro ha un sentore di Satie mentre nel Quarto Quadro (dove affiora anche un ritmo percussivo fortemente partenopeo) il rimando è alla Sagra della Primavera di Stravinskij

Paragoni impegnativi. Ma Luciano Cilio regge il confronto, perché capace di mutuare la sospensione temporale da Satie e Stravinskij, con una freschezza e leggerezza invidiabile.  Una capacità creativa meravigliosa, che lo stesso Cilio ha preferito negare a questo mondo all’alba dei 33 anni. 

C’è qualche accenno di Cage in questo disco, ma Cilio era diverso dal maestro statunitense. Mente curiosa e sperimentatrice, polistrumentista autodidatta incapace di tradurre la musica su pentagramma ma in grado di plasmare le composizioni a orecchio. Viaggia in oriente, apprende i rudimenti del sitar e si immerge a pieno nell’esotismo di sonorità inusitate. Sì, inusitate, come le parole che Umberto Eco era solito usare (quel fetentonte). 

Luciano [mi permetto di chiamarlo per nome in quanto quasi mio coetaneo quando se ne è andato ndr], ha battuto terreni musicali differenti rispetto a quanto richiesto dalle masse, invischiandosi con entrambi i piedi nelle sabbie mobili della sperimentazione che lo hanno lentamente risucchiato. Lui che con Alan Sorrenti ha condiviso un’idea musicale progressista – oltre all’anno di nascita e la provenienza – non è stato capito e accettato dai censori ortodossi del movimento e al contempo respinto dall’universo della musica popolare. 

Luciano si è arreso a soli 33 anni, perché non era capace di vivere attraverso la sua passione, quella musica maneggiata con sapiente bravura e leggiadria poco comune.  

Sarebbe bello onorare la sua memoria con l’ascolto dei Dialoghi, pertanto concedetevi poco meno di mezzora, non resterete delusi. Ad ogni ascolto riscatterete, un pelo di più, la memoria di un enorme artista nostrano. 

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