Queen – Jazz

Ho sempre avuto un debole per Jazz (ma non quello della diatriba Maurizio Costanzo/Ornella Vanonisamfin in de uei, bibù bibù, ahhh il gezz! [oddio anche un po’ per quello ndr]), un disco che chiude magnificamente gli anni ‘70 dei Queen e che rappresenta la maturità artistica raggiunta dalla band. È forse l’album più equilibrato – seppur devastato da maggior parte della critica – con tante sorprese all’interno, come il gradito ritorno alla produzione di Roy Thomas Baker. È il disco di Don’t Stop Me Now, di esperimenti come Mustapha e di altre piccole delizie come In Only Seven Days o Dreamer’s Ball. Probabilmente l’album più divertente a marchio Queen

È necessario una premessa prima di addentrarci nel racconto: nel periodo di registrazione di Jazz si incrina il rapporto tra i Queen e la stampa, Freddie è un bersaglio troppo ghiotto, lui e Taylor sono animali notturni – a differenza di Deacon May –  e sono abili nel finire il più delle volte invischiati in gossip da tabloid, costruiti ad arte. Situazioni che hanno indotto i Queen a tenere un comportamento più riservato con la stampa. Ma di sicuro quanto accade in seguito è impossibile da ignorare. 

A differenza dei precedenti album le registrazioni si svolgono tra la Svizzera e la Francia, per sfuggire alla pressione fiscale (alleggerita dalla scelta di registrare in due paesi differenti) e mediatica della terra d’Albione. Le sessioni cominciano a Montreaux, città nella quale Roger non trova di meglio che organizzare un supermegafestone di compleanno, che vede un Freddie eccitatissimo nel constatare la presenza di un lampadario a bracci al quale potersi aggrappare a penzoloni sotto lo sguardo di tutti “Ho sempre sognato fare una cosa del genere e quando ho visto penzolare quella meraviglia tutta di cristallo non ho potuto resistere!” 

Sempre a Montreaux ha luogo il grande temporale che troviamo al termine di Dead On Time, catturato su nastro dall’impavido Brian con un registratore portatile e attribuito nei credit a Dio. I Queen ci hanno regalato un altro curioso easter egg in questa canzone, l’ultima strofa “Leave on time leave on time/ Got to KEEP YOURSELF ALIVE gotta leave on time / Gotta leave on time leave on time/ Dead on time/ You’re dead”, riporta la frase Keep Yourself Alive in maiuscolo nel testo stampato sulla sleeve, non è un caso che Dead On Time ricordi proprio il brano del disco d’esordio Keep Yourself Alive in alcuni frangenti. 

Saltando di palo in frasca, i Queen si spostano in Francia per proseguire le registrazioni di Jazz, nei pressi di Nizza, il mood di questo album è: paese che vai festa che trovi. Questa volta è Freddie a festeggiare il compleanno al Saint Paul de Vence, raggiunto dai suoi amici più cari, il party termina con tutti nudi in piscina, tranne mr. Mercury che resta asciutto ad osservare divertito la gazzarra.  

Nel periodo di sosta francese il Tour De France è in essere, durante una pausa al bar a Freddie capita di vedere in televisione i ciclisti impegnati in una tappa, ciò ispira uno dei capolavori pop queeniani: Bicycle Race.  Bicycle viene rilasciato come singolo insieme a Fat Bottomed Girls (brano di May) e – giocando su questa curiosa combinazione – i pubblicitari del gruppo pensano bene di organizzare una gara ciclistica tra 65 ragazze nude, affittando lo stadio di Wembley oltre che le biciclette.  

La vincitrice della gara appare nella copertina del 45 giri con le chiappette coperte da una mutanda disegnata a mano (per ovviare alle critiche dei pudici perbenisti dell’epoca), parte delle riprese della gara invece sono state usate per il videoclip della canzone. A dispetto di quanto è stato scritto e cantato nella canzone, Mercury non amava particolarmente andare in bicicletta ed era un grandissimo fan di Star Wars. Altra nota curiosa è che la Halford’s Cycles – società fornitrice delle biciclette – si è rifiutata di accettare i sellini indietro una volta saputo come sono stati impiegati, costringendo i Queen all’acquisto degli stessi. 

Rapidamente è bene ricordare che Dreamer’s Ball è il tributo da parte di May a Elvis Presley – scomparso un anno prima del rilascio di Jazz -ed insieme a Leaving Home Ain’t Easy rappresenta il lato placido di May che sveste le chitarre taglienti di Fat Bottomed Girl e Dead On Time

If You Can’t Beat Them e In Only Seven Days portano la firma di Deacon, due brani agli antipodi per stile; invece Mercury scrive la maggior parte dei brani presenti in Jazz, dove oltre a Jealousy e la spaccona Let Me Entertain You, ritrova le sue radici nel bailamme rumoroso di Mustapha

Taylor invece contribuisce con Fun It e il brano di chiusura dell’album More of That Jazz, esperimento curioso da parte del batterista che si diverte ad osare un po’ qua un po’ la. 

Visto che questo articolo è incentrato sui festini, perché non concludere gli anni ‘70 dei Queen con la storia della festa a New Orleans. Per il lancio del nuovo disco, i Queen organizzano di tasca loro un supermegafestone: esistono diverse versioni di questa storia, di sicuro c’è che il party è costato sulle 200mila sterline. Vengono invitate entrambe le etichette dei Queen – la EMI e la Elektra – che contribuiscono alla festa portando il maggior numero di manager possibile, partecipano anche giornalisti da tutto il mondo.  

Una processione con a capo i Queen ed i loro compagni di bagordi (roadie, assistenti, groupie, etc…) vengono introdotti dalla banda di ottoni Olympia, mentre ad intrattenere il resto degli ospiti ci sono: 

Nani  

Escort 

Lottatrici nude intente a combattere nel fango 

Vassoi d’argento con cocaina 

Acrobati 

Cameriere in topless 

Incantatori di serpenti 

Spogliarelliste 

Jazz band 

Mangiafuoco 

Travestiti 

Acrobati con il monociclo   

Ballerini voodoo e zulù 

Sembra che il tutto poi sia concluso in qualche orgia stile Zoolander. Insomma… tirate voi le somme.  

Nel corso degli anni tante voci si sono rincorse e hanno accresciuto la leggenda di questa festicciola, c’è chi smentisce parte del racconto, chi alcuni dettagli, chi invece è convinto di essersi assicurato un posto all’inferno solo per aver partecipato a qualcosa del genere.

Di certo in tutto quello che leggete in giro c’è molta verità e altrettanta finzione, ma il fatto che già si parli di verità, vi dovrebbe lasciare immaginare che festa ci siamo persi.  

Allora tanto vale accontentarci di More of That Jazz.

P.S. non posso chiudere l’articolo senza scrivere della copertina prima, quel meraviglioso turbine di cerchi concentrici che fa tanto opt art anni ’60, sembra sia stato visto da Freddie sul muro di Berlino. Beh, il cantante propone di usare l’immagine come copertina del disco e gli altri ragazzi non hanno nulla in contrario. [lo so potevo anche evitarvi queste righe finale e lasciare la chiusura alla lista degli intrattenimenti del party di New Orleans 😀 ndr]

Pubblicità

Jethro Tull – Aqualung

Jethro Tull - Aqualung

GNI GNI GNI GNI GNI (riff introduttivo di Aqualung)

Non vi metto a conoscenza di quello che credevo comunicasse Aqualung (assolutamente censurabile). Prima che capissi il senso della canzone e delle parole che Anderson ha cantato, ne è passata di aqualung sotto i ponti.

Comunque, Aqualung, non è solo una canzone, non è solo un disco. È un concetto musicale nitido che Ian Anderson in tutta la sua bruttezza è riuscito a riversare su nastro. Una struttura fortemente dal flauto di Iano che ci catapulta in epoche distanti. Ma in generale, cos’è Aqualung?

“Il titolo è un nome irrilevante tanto quanto Jethro Tull. Non credo che i nomi abbiano un grande significato. Aqualung è un titolo che fa da collegamento mentale […] e questo è veramente quello che è. È la tappa a metà tra il pensiero e la parte reale che il pensiero in sé rappresenta… ”, della serie “il nome è tutto e niente” queste sono le parole di Ian Anderson a proposito di Aqualung, parole degne di un tossico che cerca di essere filosofo senza esserlo. Fatto sta che stiamo parlando di un signor album, tanto riconoscibile quanto unico.

Ora, storia vuole che – secondo la maggioranza dei fan – il disco sia un concept album, cosa che Iano ha smentito a più riprese. Perché smentire colui che ha scritto tutte le canzoni di un disco? Fans rassegnatevi all’idea che non è un concept, può sembrarlo per la scelta dei brani, per alcuni collegamenti tra i personaggi, ma Iano ci assicura che non lo è.

Aqualung è l’uomo copertina del disco, il barbone al quale nessuno vuole avvicinarsi per timore, un concetto attuale: la paura del diverso. Il nome – che ne dica Iano – deriva dal rantolo del suo respiro, del tutto simile a quello che fanno i subbbbacquei quando sono sotttacqua.

Aqualung è un uomo patetico, “socialmente degradato” (come puntualizza l’autore), emarginato dalla società perbenista ma accolto dai suoi simili, come Mary. Avevamo già accennato ai collegamenti che intercorrono tra i personaggi cardine di ogni brano, il primo è quello tra Mary la strabica (cross-eyed), la scolaretta che si prostituisce concedendosi solamente ai barboni e agli anziani al solo scopo di renderli felici (ma soprattutto perché difficilmente qualcuno se la filerebbe). Questo tipo di surrealismo grottesco lo ritroviamo in Mother Goose che praticamente ci racconta di 100 studentesse che piangono. La prima parte del disco presenta anche due brevi passaggi come Cheap Day Return, ispirata da un viaggio in treno di andata e ritorno per andare dal padre in ospedale, o Wond’ring Aloud.

Con il secondo lato si porta alla luce il tema religioso – in alcuni casi sacrilego – My God ad esempio nei suoi 7 minuti vuole denunciare l’ipocrisia ecclesiastica e nel concetto di Dio (inteso nella trasversalità del termine). Una critica all’adorazione di default di un dio:

“È molto insoddisfacente per me che i bambini siano portati a seguire lo stesso Dio nel quale credono i genitori. Dio è un’idea astratta che l’uomo sceglie di adorare; non DEVE adorare. Dico che deve solo essere riconosciuto. I bambini vengono portati ad essere ebrei, cattolici o protestanti solo come conseguenza della loro nascita, non per una loro scelta. Penso che sia una cosa presuntuosa e immorale da fare. […] La religione crea una linea di divisione tra gli esseri umani e ciò è errato.”

Concetto molto chiaro e diretto quello di Iano, che torna sul tema della religione anche nei seguenti brani, parlando di morte in Sleepstream e nella stupenda Locomotiv Breath, o di Gesù in Hymn 43. Aqualung è un album che punta veramente in alto andando a discutere di tematiche estremamente delicate e tuttora contemporanee, estremamente presuntuoso nell’intento, ma comunque riuscito.

The Who – Tommy (1914-1984) Parte II

The Who - Tommy

Dopo avervi spoilerato tutto Tommy, torniamo con la seconda parte della recensione…

Questo in soldoni è la storia di Tommy.

Non ci avete capito nulla? Guardatevi il film… ma siate coscienti, ci sono delle variazioni come:

– l’ambientazione post seconda guerra mondiale (la canzone da 1921 diviene 1951);

Tommy non è un bambino ma è Roger Daltrey;

–  numerosi brani aggiunti;

– chi muore non è l’amante ma il padre.

Poi c’è la partecipazione di Elton John, Eric Clapton, Tina Turner, Jack Nicholson, Keith Moon nella parte dello zio pedofilo, e gli altri due Who che compaiono qua e là. Insomma se non l’avete visto, dovete!
La canzone simbolo dell’album è sicuramente Pinball Wizard, incisa per ultima, ci spiega l’unica via attraverso il quale Tommy riesce ad avere delle sensazioni. Sensazioni provocate dalle vibrazioni del flipper stesso e che gli permettono di diventare un campione del giuoco.

Townshend ha odiato questo pezzo in principio, ritenendolo sciocco, sembra poi che la scelta di scrivere una canzone su un flipper sia stata adottata al fine di entrare nelle grazie di uno dei maggiori critici musicali dell’epoca (riuscendoci naturalmente). Nel film il pezzo viene interpretato in maniera magistrale da Sir Elton John che figura proprio nella parte del Pinball Wizard.
E’ necessario parlare anche delle canzoni di chiusura We’re Gonna Take It/See Me, Feel Me.

La prima è un brano antifascista e racconta l’insurrezione dei fedeli della setta di Tommy che decidono di destituirlo; la seconda è il file rouge che fa da collante per tutto il disco (comparendo anche in altri brani) che si esalta nella preghiera, ispirata da Meher Baba e scritta da Townshend, Listening to You.
La canzone, rispetto al film, è stata resa immortale dall’interpretazione a Woodstock, dove durante l’interpretazione, il palco è stato irradiato dai raggi solari rendendo la scena irripetibile.
A tal proposito John Enwistle ha dichiarato: “Dio è stato il nostro tecnico luci”… come dargli torto?

Ratzinger ha spiegato l’arcano recentemente affermando che Dio, all’epoca dei fatti, veniva considerato un gran fan degli Who.
La cover dell’album (di Michael McInnerney) rappresenta una sorta di gabbia a forma di sfera con delle grate azzurre (a raffigurare il cielo) nuvole e colombe presenti, imprigionati nella sfera ci sono i ritratti dei componenti del gruppo. Una copertina che ben rappresenta il senso di solitudine e l’estraniazione dal mondo che circonda Tommy.