Lou Reed – Transformer

Lou Reed - Transformer

Ci sono tre tipologie di reazioni che si possono avere pensando a Lou Reed: un profano esclamerebbe “Perfect Day!”; un meno-profano “Transformer!”; una persona più o meno preparata direbbe “il co-fondatore dei Velvet Underground!”; un ignorante direbbe “ghi è Lù Rìd nghééé?!”.

Bene ignorante, è il tuo giorno fortunato! Visto che oggi la pillola scelta dallo staff del sito (cioè me) è Transformer – ovvero l’album decisamente più commerciale e celebre di Lou Reed.

In questo caso è coadiuvato dal suo prezioso amico David Bowie – vero e proprio tuttofare in quegli anni – che fa da produttore e presta la propria voce come corista. Il Duca Bianco attuerà in questo caso una vera e propria opera di beneficenza nei confronti di un suo grande mito, quel Lou Reed che lo aveva fortemente ispirato con i Velvet Underground; qualche anno dopo ripeterà un’operazione simile con Iggy Pop, producendogli The Idiot. Bowie ha avuto la capacità di semplificare le sonorità di entrambi, consentendo di recuperare terreno commerciale dopo dei periodi poco fortunati.

Bando alle ciance e partiamo dall’origine di Transformer, che è un album estremamente orecchiabile e veloce da ascoltare, rivestito di glam e pieno di storie che lo rendono un narratore di favole perverse – Reed appare come l’Omero della New York grottesca di fine anni ‘60 e ‘70 – ma soprattutto segna il distacco netto dai Velvet Underground, creatura wharoliana di successo e influenza imponente.

Come già scritto per Hunky Dory, Transformer appare come un greatest hits, ricco di canzoni importanti, tra le quali spiccano: Perfect Day, Walk on the Wild Side, Satellite of Love e Vicious.

Perfect Day è l’inno alla semplicità per antonomasia. Brano arrangiato da Mick Ronson – chitarrista di Bowie, cardine dei The Spiders From Mars e co-produttore dell’album – è il resoconto di una giornata perfetta trascorsa da una coppia, le interpretazioni a riguardo sono essenzialmente due: la prima vuole che la canzone sia stata scritta da Lou Reed in preda alla nostalgia per i momenti trascorsi assieme ad una sua vecchia squinzia di nome Shelley Albin; l’altro punto di vista vuole che la canzone sia rivolta a Bettye Kronstadt, sua moglie dell’epoca sposata per cercare di stabilizzare la propria vita, matrimonio poi naufragato in un battito di ciglia – probabilmente per il cognome impronunciabile della dolce Bettye – che ha poi ispirato le storie narrateci in Berlin.

Walk on the Wild Side è la cronaca cruda e schietta della NY del periodo, quella Grande Mela della trasgressione più totale che aveva il proprio fulcro nella Factory di cui Reed faceva parte fino ad una manciata di anni prima. Ritroviamo perciò i protagonisti di quel momento come Joe Dallesandro, muso ispiratore di molti film di Andy Wharol (Little Joe, tra lui e Reed non scorreva buon sangue), l’attore Joe Campbell (Sugar Plum Fairy), Holly Woodlawn, Candy Darling e Jackie Curtis (rispettivamente Holly, Candy e Jackie, tre trans che bazzicavano gli ambienti wharoliani). Lou Reed riesce a trasportare con dovizia di particolari l’ascoltatore nella wild side, grazie anche ad un accompagnamento musicale ridotto al minimo con un suono del basso rotondo che carica di maggior significato il testo. Testo censurato dalle radio non tanto per via delle tematiche raccontate (come transessualità, sessualità e tossicodipendenza) bensì per il “doo doo-doo” associato alla frase “And the colored girl say” inteso dai perbenisti dell’epoca come un insulto razzista.

La parte di sassofono è stata eseguita da Ronnie Ross, musicista jazz ed insegnante di sax di Bowie durante la giovinezza (sassofonista anche nel brano di chiusura di Transformer ovvero Goodnight Ladies e nel White Album dei Beatles in Savoy Truffle).

Il leit motiv dell’album resta Andy Warhol, che come per Bowie è figura centrale ed essenziale per la carriera di Lou Reed. Facciamo perciò un salto indietro di 4 anni dalla pubblicazione di Transformer, siamo nel 1968, Valerie Solanas – frequentatrice abituale della Factory e femminista radicale, membro della S.C.U.M. – spara un colpo di pistola a Warhol attentando alla sua vita. Nonostante si pensi il peggio, Warhol sopravvive e da quel giorno ha una cicatrice sulla spalla a ricordargli quanto accaduto. Quella cicatrice viene omaggiata da Lou Reed in Andy’s Chest.

Anche per il brano di apertura – Vicious – c’è un simpatico aneddoto da riportare, nel quale Warhol mette il suo zampino rivolgendosi a Reed in questi termini “Hey, sacco di merda, perché non scrivi la canzone su di un violento?”, Luigi Giunco (vero nome di Lou Reed) gli risponde “ma che tipo di violento intendi di grazia?”, ed Andreino gli risponde “Oh, sciocchino, tipo io che ti colpisco con un fiore!”.

Dopo un momentino di imbarazzo, Reed si preoccupa unicamente di riportare fedelmente questa espressione rendendo celebre l’eccentricità di Warhol.

Proseguiamo rapidamente con Satellite of Love che è un brano magnifico, composto durante il periodo dei Velvet Underground anche se in versione più grossolana. Gran parte del merito per la scelta armonica si deve nuovamente al duo Ronson e Bowie che non sono sprovveduti e di musica ne capiscono veramente tanto.

New York Telephone Conversation è una perla di un minuto e mezzo che a mio avviso vale tutto l’album, forse è la canzone che più si avvicina alla musicalità del Bowie di Hunky Dory. Stesso discorso per Goodnight Ladies, una perfetta chiusura retrò che ben si sposa con la varietà sonora espressa in tutto l’album.

Per concludere, la copertina è frutto della capacità fotografica di Mick Rock che ritrae Lou Reed con colori contrastanti che lo fanno somigliare ad un Frankestein panda. In Italia il retro della copertina fu censurata per via di una foto con un tipo che aveva un erezione malcelata dai pantaloni.

Beck – Midnite Vultures

Beck - Midnite Vultures

Il 1999 è un anno prolifico musicalmente parlano, possiamo citare 13 dei Blur o Cousteau dell’omonima band, ma anche capolavori nazionali del calibro di Cristina D’Avena e i tuoi amici in TV 12 (volevo fare il figo ma non mi vengono in mente album targati 1999), il Millennium Bug ed il Giubileo sono alle porte e Nostradamus, antesignano mediatico dei Maya, minaccia i nostri sogni con previsioni apocalittiche.

In molti hanno criticato l’ultima pubblicazione del folletto alternative-underground di Los Angeles, ambasciatore e voce dei diritti di una Generazione X che ha contribuito al boom e all’espansione di MTV (quello vero, con la musica vera… non quel manipolo di vacche e ritardati che ci viene propinato ora), Beck Hansen (cognome materno) all’anagrafe Beck David Campbell, conosciuto semplicemente come Beck, ha cercato di variare questa volta, dopo Mellow Gold ed il super successo di Odelay, ma soprattutto dopo i suoni acustici di Mutations prova a sorprenderci con Midnite Vultures. Disco accolto tiepidamente da alcuni critici ed euforicamente da altri, supportato da un importante tour mondiale.

Innanzitutto la prima cosa che salta all’occhio è la cover, un collage misto all’uso di Paint (per chi non se lo ricordasse è uno dei software grafici più belli e versatili mai esistiti) che è stata creata a quattro mani da Beck e Michel Gondry.

Dal punto di vista musicale invece ciò che ha sempre contraddistinto Beck sinora è la pura sperimentazione, che anche in questo caso viene riproposta spaziando tra una moltitudine di generi musicali. Si possono sentire difatti delle influenze alla Prince nei falsetti, al funky di fine anni ’70, ai Kraftwerk e ai Velvet Underground.

La tracklist parte forte con Sexx Laws primo singolo dell’album, accompagnato da un video musicale diretto dallo stesso Beck che annovera Jack Black tra i protagonisti. Questo capolavoro visivo-concettuale è un tributo al film Mr.Freedom di William Klein, oltre alla presenza dei giocatori di football si aggiunge una chiave totalmente surreale che trova l’apice in un manichino con la testa da zebra che gira su se stesso suonando il banjo e in alcune ricostruzioni di B-movies degli anni a cavallo tra i ’60-’70 (sono presenti diverse versioni del video tra le quali una di 18 minuti!).

Anche Nicotine & Gravy, Mixed Bizness e Debra (rispettivamente traccia numero 2,3 e 11) sono accompagnate da dei video fighissimi stile fattoincasa-trash-grottesco-visionario-alternativo e quando dico alternativo intendo alternativo nel vero senso della parola (oggigiorno lemma troppo inflazionato nel contesto italiano, considerando che solitamente con musica alternativa italiana io intendo musica demmerda, comunque difficilmente Beck fallisce un videoclip). Debra è stata concepita per Odelay, ma la pubblicazione è slittata sino a Midnite Vultures.

Menzione d’onore va a Hollywood Freaks… che canzone!

P. S. Beck è un illuminato dalla Suprema Chiesa di Scientology (non credo sia il termine giusto per etichettare i seguaci di questa setta/credo o quello che è, fatto sta che mi piaceva definirlo in questa maniera) così come tanti altri artisti di egual caratura come ad esempio Tom Cruise, John Travolta, Will Smith, il compianto Isaac Hayes, Catherine Bell, Kirstie Alley, Giovanni Ribisi e Roby Facchinetti (perché inserire questa lista di gente affiliata a Scientology? Perché inserire Facchinetti? Non lo so, però aggiungo che la moglie di Beck è la sorella di Giovanni Ribisi, e dopo questo spazio Gossip disattivo la modalità Signorini e incrocio le dita per una collaborazione tra Facchinetti e Beck).