Ultravox – Vienna

Ultravox - Vienna.jpg

C’è voglia di raccontare l’Europa in musica, una voglia che probabilmente cresce dopo Trans-Europe Express, una comunità che sta rivedendo i propri confini e un tema che tocca tutti direttamente. L’Europa questa volta ce la raccontano gli Ultravox post-John Foxx.

Foxx Forever, Ure Never!”, il ritornello che i fan scandiscono non lascia nulla all’immaginazione, l’accoglienza non è delle migliori, Midge Ure impone un cambio di rotta sostanziale, virando verso il sound del pop elettronico inaugurato da Neu! e sfruttato dai Kraftwerk, perciò la scelta del produttore ricade su Conny Plank che mixa il disco nel suo studio di Colonia. Vienna è stato registrato in 3 settimane, in scioltezza, dopo un periodo di prove e concerti abbastanza allenante per la nuova formazione degli Ultravox.

Come andava di voga dire negli anni ’80, un plagio di tastiere elettroniche è sicuramente meno grave di un plagio di chitarra elettrica, ciò non toglie il fatto che ci sia molto di già sentito in Vienna. Ma con Ure gli Ultravox gestiscono al meglio le varie anime della band, non abbandonando i sincopati di chitarra ma li rendono più accessibili. Celebre è lo stile in New Europeans che farà scuola e verrà replicato in tutte le salse. Ci sono tracce leggere dei barocchismi sui quali si poggeranno le fortune di Duran Duran e Spandau Ballet.

Sentiamo già la mano di Ure sulla magnifica Astradyne e il suo pitch al sintetizzatore che varia di tonalità mano a mano che la cavalcata musicale avanza. Reputo Astradyne una delle composizioni più belle ed incisive degli anni ’80.

Un altro dei picchi del disco viene toccato con Mr.X, una long take della sigla di Attenti A Quei Due in chiave anni ’80, perfettamente riuscita, misteriosa e oscura, in grado di evidenziare una dicotomia presente nel disco: quella tra musica dell’est e dell’ovest. L’attrazione verso un est dietro la cortina ed impenetrabile, evidenziata dall’alone di mistero di Mr.X e continuata in Western Promise – dove Ure si fa promotore di un salvataggio “culturale” da parte dell’ovest -con quell’intro arabeggiante che sfocia in una voce disturbata.

All Stood Still è un saluto alla new-wave dei Devo, ai loro giochi di parole scanditi con cadenza distinta ad ogni ritornello. Non apporta nulla di nuovo, dimostra più che altro quanto le influenze di Eno e Plank – entrambi collaboratori dei Devo – abbiano influito sugli Ultravox.

Ma il portone si apre con Vienna, o meglio… Vienna apre un portone e ne chiude un altro, salutando il pubblico innamorato della new-wave di Foxx.

“Volevamo registrare la canzone e renderla incredibilmente pomposa nel mezzo, lasciando aleatori la parte iniziale e successiva, ma terminando con il classico finale straordinario.”

Vienna è la title-track con il tipico taglio pop-elettronico, un climax di drum machine razziato da chiunque durante gli anni ’80. Vienna vienne (perdonatemi) scelta come terzo singolo con un videoclip affidato – come per Passing Stranger – a Russell Mulcahy (per i più distratti il regista di Highlander I & II oltre che di un fottio di altri video). La maggioranza delle scene sono state girate al centro di Londra e altre al nord, il resto a Vienna. Quando l’addetto alle riprese è stato mandato in avanscoperta nella capitale austriaca trovò gran parte dei posti segnalati per le riprese chiusi o in fase di ristrutturazione, così la statua che abbiamo modo di vedere nel video è di una tomba del cimitero principale di Vienna.

Un appunto finale va alla foto nella cover dell’album che vede la band catturata da un giovane Anton Corbijn.

Joy Division – Unknown Pleasures

joy-division-unknown-pleasures

The Idiot che risuona nel giradischi e La Ballata di Stroszek come ultimo film prima che il destino si compia. Gli ultimi momenti di Ian Curtis sono segnati da Herzog e Iggy Pop, quest ultimo è proprio il ponte che ci ritrascina all’interno della Trilogia Berlinese.

Facciamo un passo indietro al 1979 – ad un anno prima del suicidio di Curtis – l’anno della pubblicazione del grande disco di esordio Unknown Pleasures, a posteriori il più rinomato dei Joy Division per via dell’artwork così minimale.

*

L’immagine di Unknown Pleasures è stata fin troppo strumentalizzata da ragazzetti e profani che l’hanno piazzata un po’ ovunque – come la faccia del Che -, pertanto ritengo di dover spiegare brevemente cosa rappresenti la cover del disco. L’immagine deriva da una pubblicazione del 1977 L’Enciclopedia Astronomica di Cambridge, all’interno del quale è possibile trovare questa prima rappresentazione grafica delle radiofrequenze ricevute da una pulsar (effettuata nel 1967). L’immagine è stata presa da Peter Saville e riversata in negativo nella forma che tutti noi conosciamo.

*

Torniamo al contenuto del disco: il fatto che per Curtis, The Idiot, rappresentasse il disco preferito può lasciar intendere quanto è stata forte l’influenza di Pop e del Bowie di Low, con quelle sonorità claustrofobiche e fortemente cadenzate.

Forse non tutti sanno che durante la prima ondata punk, il nome scelto dai ragazzi mancuniani è stato Warsawa, probabilmente in onore della canzone simbolo di Low, a questo periodo risale la scrittura di alcuni brani come Shadowplay ed Interzone. Cambiando il nome – per evitare confusioni con un’altra band di Londra – cambia anche l’approccio musicale che da punk aggressivo matura dirigendosi verso lidi meno scontati.

Chi conosce la figura di Ian Curtis non può non aver notato i suoi movimenti concitati, le sue danze epilettiche (non mi riferisco alle crisi epilettiche alle quali era soggetto Curtis e oggetto della canzone She’s Lost Control, ma ad una sorta di trance prestazionale nella quale Curtis cadeva facendola sfociare in una danza del derviscio), l’aura di malinconia che avvolgeva la sua persona, un’inquietitudine che ha influito sulle sonorità dei Joy Division e gli ha conferito l’immortalità artistica: “non scrivo di niente in particolare, ciò che scrivo proviene dal subconscio. Lascio l’interpretazione della canzone aperta a seconda di chi sia l’ascoltatore”. Un subconscio fortemente influenzato anche dai Bauhaus e dal loro stile gotico, un ascendente molto forte nonostante il gruppo di Murphy avesse all’attivo solo due singoli (tra i quali Bela Lugosi’s Dead) ed un album in cantiere.

Peter Hook e Bernard Sumner hanno lamentato un sound troppo etereo – in origine – prediligendo una scelta più dura e sferzante, ma con il passare degli anni hanno cambiato opinione dando ragione al lavoro del produttore Martin Hannett – che esalta la pregevolezza dei brani – tributandogli il ruolo di creatore del sound dei Joy Division. Ian Curtis, probabilmente ammaliato dall’idea di Hannett, ha trovato nella versione definitiva di Unknown Pleasures la sua dimensione.