Bob Dylan – Blonde On Blonde

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Blonde On Blonde è la cosa che più si avvicina al sound che sento nella mia testa. Un sottile e spontaneo suono, come fosse mercurio”,

Bobbe bobbe dopo averci deliziato con Highway 61 Revisited butta là un altro asso dalla manica, Blonde On Blonde non ha assolutamente nulla che sia fuori posto, e c’è da dirlo… per quanto Zimmy mi stia cordialmente sulle balle, Blonde On Blonde una volta che lo fai partire devi lasciarlo qualche ora a suonare, perché è giusto che ogni sua nota riempia tutte le stanze di casa.

Dopo essersi attirato dei signori insulti e rabbie da puggile, con Highway 61 Revisited e la famosa svolta elettrica (di pari fama alla scissione dell’Impero Romano) Bobby intraprende un tour durante il quale prende corpo Blonde On Blonde e l’idea nata con Highway assume maggiore consistenza. Il rhyhtm and blues fa da sfondo al disco nel quale svettano testi di una intensità tale da rendere leggenda vivente Dylan e – da lì in poi – pietra miliare per tutti i cantautori.

Blonde On Blonde è la rottura di schemi definitiva, il primo doppio album della storia (giusto per una manciata di settimane d’anticipo su Freak Out!) con una copertina tanto storica quanto sfocata.

“Troppo veloce per essere messo a fuoco” diranno di lui, di fatto si innescò un processo di idealizzazione volto alla beatificazione quasi istantanea di Dylan per il messaggio celato dietro la scelta dell’immagine, s’è sempre pensato che fosse un’alterazione voluta per dar l’idea a chi osservava la fotografia di esser sotto l’effetto di droghe, ma la verità è che Jerry Schatzberg – autore dello scatto – e Dylan stavano letteralmente congelando. Era febbraio ed entrambi vestivano solo di una giacca, l’effetto stonato è quindi totalmente casuale, dovuto dal tremolio di entrambi… poi la scelta della foto comunque l’ha fatta Dylan, quindi molto culo ebbe. Ma tanto quando deve girare, gira bene.

In fondo la fortuna aiuta gli audaci, si perché il lavoro svolto da Dylan è a tutto campo ed estremo: la comunicazione visiva, la sua musica i suoi testi. Inoltre destò stupore la volontà di spostarsi da New York – vero e proprio centro culturale da mignolo perennemente alzato e scoregge trattenute, dove oltre alle scoregge tratteneva le idee – al ben più spiccio Tennessee – stato nel quale dopo aver sparato un rutto esulti anziché vergognarti – per registrare il disco.

Dalla prima sessione di registrazione esce la splendida Visions of Johanna – nata Freeze Out in quel di New York – dopo ben 14 versioni nel quale il suono viene centrato e diventa mercurio, ovvero rilucente e metallico. Visions of Johanna è letteratura pura, è uno dei motivi principali per il quale Dylan si è aggiudicato il Nobel, è la sua canzone preferita in Blonde On Blonde.

Le sessioni si rivelano impegnative e alcuni brani richiedono svariate versioni, come per la meravigliosa Stuck Inside of Mobile With The Memphis Blues Again – che subisce le influenze del Tennessee – e la chiusura del lato A del primo disco, la meravigliosa One Of Us Must Know (Sooner Or Later) maturata per intiero a Nashville, nella quale Dylan ci racconta la fine di un amore. L’amore è un sentimento ricorrente nell’album, I Want You – uno dei brani più celebri e pop del disco – racconta la voglia genuina che Dylan provava per l’allora sposa Sara Wilentz, per quanto i geniacci dell’analisi del testo ci hanno visto comunque un riferimento all’eroina.

Eroina… eroina everywhere! La ggente ci vive nei complotti cazzo.

Fatto sta che anche I Want You è stata sottoposta a numerose revisioni e rielaborazioni, lo stesso Dylan dirà a proposito “posso sentire il suono delle cose che voglio dire”, la ricerca di questo suono passa attraverso un lavoro certosino e metodico.

Poi ad una certa giunge il momento Signorini, dal quale è impossibile fuggire, e arriva su Just Like A Woman, oggetto di ricerche per scoprire chi fosse la donna della canzone. Naturalmente tutti questi scienziati della fica vogliono che Dylan si riferisse alla musa di Warhol, Edie Sedgwick (la prima Nico per intenderci, quella che quando Nico è arrivata è stata messa in disparte da Warholino), ma secondo altri invece è dedicata a Joan Baez, altra con la quale Zimmy avrebbe ficcato, prima naturalmente di Sara eh.

Insomma ci siamo capiti no?

Una menzione va al carattere cazzone di Dylan che in Fourth Time Around omaggia l’omaggio dei Beatles in Norwegian Wood; canzone che risente dello stile di Dylan, perciò si crea questo cortocircuito che venne esaltato al tempo come Dylan che canta Lennon che canta Dylan. Tipo ti sei scopato tua nonna, quindi sei il padre di tua madre (o padre, a seconda della nonna che ti sei ficcato [se ti ficchi entrambe le nonne non ho idea del casino spazio-temporale che si può innescare]). Vabè comunque, la tonalità e il tempo sono gli stessi, perciò se vi voleste divertire ad ascoltarle in parallelo, sentireste quanto le due canzoni siano simili.

Il disco termina con Sad Eyed Lady of the Lowlands, anch’essa dedicata a Sara, nasce come una canzone di celebrazione del matrimonio e soprattutto per essere breve. Si trasforma nella versione – che conosciamo – da più di 11 minuti. Elaborata principalmente al Chelsea Hotel, anch’essa fu terminata e registrata a Nashville per la gioia dei turnisti alle 4 di mattina (dopo sessioni durate tutta la serata), chiude teneramente il disco con un altro brano straordinariamente emotivo.

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The Doors – The Doors

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Scrivere qualcosa sui The Doors è molto molto difficile… cosa mi metto a raccontare? Cioè è già stato detto tutto quanto, in tutti i modi possibili immaginabili.

Mi sono cacciato proprio in un cul-de-sac… però è anche vero che – di primo acchito – se una pagina dove si tratta di musica non scrive nulla sui The Doors fa la figura da pagina peracottara. Quindi qualcosa mi inventerò, sperando che l’ovvietà non domini questo articolo.

Cominciamo l’angolo Alfonso Signorini, la scelta dell’articolo è ricaduta sui The Doors oltre che per la relazione intercorsa tra Morrison e Nico, anche perché poco dopo la morte di Jim Morrison fu presa in considerazione – dai membri della band – l’idea di proseguire il progetto con Iggy Pop al microfono. Iggy e Nico sono due dei principali protagonisti di questo mini-ciclo; e non è finita qui!

Andy Warhol era invaghito del fascino di Jimbo, un’attrazione che rasentava il grottesco, tanto da voler svolgere il ruolo di voyeur durante lo zicchezzacche tra i due. Andy chiese a Jim di prender parte ad uno dei film che stava girando (I, A Man), ma il manager dei The Doors glielo impedì… tutto questo era giusto per mettere un po’ di ciccia nell’articolo.

Va bene dai, parliamo del disco di esordio di Morrison e amici bbelli, che è praticamente un best of: lo mettete sul piatto e via, vi immergete direttamente nelle loro poesie, in quelle meravigliose pentatoniche di Krieger, nelle atmosfere di Manzarek e nel tiro di Densmore. Ma cosa ha reso speciali i The Doors?

Jim Morrison.

Riduttivo? Forse, ma il carisma, la presenza scenica, il distacco e l’aura mistica, la capacità di essere feroce animale e al tempo stesso intellettuale, sono caratteristiche che non trovate in nessun altro.

Break On Through rompe gli schemi e inaugura il disco, il messaggio – che viaggia sopra ad una bossanova lisergica – è quello di aprire le porte della percezione (suggerite da Huxley nel suo The Doors of Perception) e spingersi verso orizzonti sconosciuti e inimmaginabili. Di fatto, mentre Huxley abusò di mescalina per scrivere le sensazioni vissute in prima persona, Morrison non seguì la ricetta fedelmente, sostituendo l’ingrediente principe con dosi di LSD (così dicono)…

La versione originale del brano non ebbe grande distribuzione radiofonica e fu ostracizzata dai baciamadonne puristi ammerigani per via del ritornello che incita in maniera esplicita all’uso delle droghe; perciò fu registrata una versione alternativa da poter trasmettere su Radio Maria nella quale “She gets high” diventa un ben più sobrio e insignificante “She gets…“. Fortuna che con gli anni siamo tornati all’originale… questa è stata solo la prima di una lunga serie di guai tra Morrison e l’opinione pubblica che lo porteranno ad essere un osservato speciale per l’FBI.

Altro celebre tentativo di censura è quello incorso all’ Ed Sullivan Show, dove Ed Sullivan in persona chiese a Morrison di modificare il testo di Light My Firehit nata dalla mente di Krieger – da “girl, we couldn’t get much higher” ad un più triste “girl, we couldn’t get much better“… insomma, è come se Pippo Baudo chiedesse ai Dari di cambiare il ritornello di Wale (Tanto Wale) arrogandosi il diritto di sostituire frasi e cambiando di fatto il senso della frase.

Va be, Morrison gli da il contentino “Certo Mr. Sullivan, sì sì”, e poi TAC! non cambia un cazzo…(è bellissimo vedere il sorrisino di Krieger sullo sfondo nel momento in cui Morrison decide di far come gli pare) Jim la canta in maniera naturale e non in modo forzato come viene riproposto nel film da Oliver Stone. Il povero vetusto conduttore si rifiutò di stringer la mano a Morrison una volta sceso dal palco, maledicendolo e dicendogli che non avrebbero più suonato nella sua trasmissione. Poco male Ed, ha vinto Jimbo, e di brutto.

Sempre a Light My Fire è legato un aneddoto che mostra l’integrità morale di Morrison, che impedisce l’utilizzo della canzone per uno spot televisivo della Buick, buttando di fatto 68mila dollari che gli altri 3 membri della band avevano accettato senza troppo rimuginarci sopra.

Tornando al disco è un susseguirsi di capolavori, con Soul Kitchen e Crystal Ship (canzone d’amore scritta da Jim Morrison alla ragazza con la quale aveva rotto recentemente, tale Mary Werbelow), proseguendo per Alabama Song (cover estratta dall’operetta Little Mahagonny di Kurt Weill – che musicò le parole di Bertolt Brecht e della collaboratrice Elisabeth Hauptmann) dove Jimbo intervenne su qualche verso. È un disco che corre veloce con il blues di Back Door Man e con il trittico stordito di I Look At You, End Of The Night e Take It As It Comes, preparatorio a The End, vera e propria carta d’identità della band.

Father?/ Yes, son?/ I Want To Kill You. Mother, I want to …

The End desterà scandalo alla prima esibizione al Whiskey A Go Go, quando Morrison – in un flusso di coscienza delirante di 12 minuti all’incirca – raggiunge il climax con questo verso che racconta un complesso di Edipo in piena regola. Ciò, come ha spiegato Manzarek, non significa che Morrison avrebbe voluto fare ciò ai suoi genitori, era solo per mettere un po’ di pathos nell’esecuzione.

Jim ci riassume il significato di The End in queste poche righe “Tutte le volte che ascolto questa canzone, significa sempre qualcosa di diverso per me. È cominciata come una semplice canzone di arrivederci… probabilmente per una ragazza [sempre per Mary Werbelow ndr], ma l’ho vista come un possibile arrivederci ad una certa infanzia. Veramente, non lo so. Penso sia sufficientemente complesso e universale nel suo immaginario che possa significare ciò che vuoi che significhi.”