Henry Cow – Unrest

Henry Cow - Unrest

Gli Enrico Mucca sono stati un gruppo strafico, anch’esso proveniente da quel buco di culo di Canterbury. In futuro mi auguro di avere tempo per poter impostare delle ricerche socio-musicali al fine di comprendere come sia possibile che da una cittadina si venga a formare una catena virtuosa dove ogni anello è capace di alimentare quello che lo precede (non parlo solo di Canterbury, ma anche delle altre località che hanno dato vita a movimenti socio-culturali di impatto mondiale).

Va beeene, torniamo agli Enrico Mucca! Per chi non ne avesse sentito parlare, sono anche conosciuti come la band del calzino (merito dei pedalini illustrati da Ray Smith presenti in alcuni dei dischi prodotti dagli Enrico). Grandissima gruppo composto da fior fiore (non Coop) di musicisti, in grado di tirare fuori un secondo disco capolavoro, un misto tra lo Zappa orchestrale/jazz ed i Soft Machine di Third (e perché no il Lol Coxhill di Ear Of The Beholder). È il 1974, e questo disco sembra la sublimazione di un’idea musicale trasversale, dove regna sovrana l’improvvisazione di Frith alla chitarra.

La tecnica di Frith è discendente diretta degli ascolti propostigli da Tim Hodgkinson – felice di introdurlo al free jazz di Charles Mingus e Ornette Coleman – e dalla matematica, come dimostra l’applicazione del codice Fibonacci nella creazione delle armonie e del tempo in Ruins (seguendo l’esempio di Bela Bartok e dimostrando un notevole bagaglio di formazione musicale).

C’è un passaggio bellissimo nella biografia che Scaruffi dedica agli Henry Cow nel quale immortala – con una stilettata delle sue – la band “La coerenza morale e artistica si paga però in termini di insuccesso economico”, ecco potrei chiudere qui l’articolo…. e invece no.

Cerchiamo di andare un po’ più a fondo (nel tentativo di invogliarvi ad ascoltare questo capolavoro) e capire il perché voglio raccontarvi di questo disco. Prima di tutto Unrest vede la collaborazione di Mike Oldfield in veste di tecnico del suono, in secondo luogo il disco è dedicato a Uli Trepte (ex Guru GuruNeu! e Faust, insomma un peones) e a Robertino Wyatt – da poco incidentato – amico di Frith (che a sua volta ha collaborato a Rock Bottom).

Ok, ho la vostra attenzione?

In Linguaphonie i più attenti scorgeranno un tributo alle idee di Wyatt, i versi infantili, a tratti gutturali, sono sovrapposti e circondati da suoni buffi che affiorano su di una base angosciante, per rendervi l’idea si avvicina molto all’outro di Bike. La gran figata di Unrest è nel lavoro al mixer, tra loop, sovraincisioni e manipolazioni continue di suoni in un puzzle musicale di enorme complessità:

“La lavorazione di Unrest è stata un’esperienza splendida e radicale, nella quale molte situazioni personali hanno avuto un peso specifico consistente nell’insieme, almeno per me. […] Il lavoro in studio ci ha dato la possibilità di produrre dei risultati straordinari come in Deluge, che suona ancora fresca per me.” ricorda Fred Frith, in una recente intervista, e dimostra quanto Unrest fosse un disco soddisfacente in fase di realizzazione, oltre che nel risultato finale.

Spero che questo sia il primo passo verso la riscoperta di una band dalle molte idee che – come tante – poco ha raccolto, rispetto a quanto seminato.

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Van Morrison – Astral Weeks

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L’origine delle settimane astrali risiede in un lavoro di rottura con lo stile passato.

Morire per nascere, guardare sé stessi dall’alto, in maniera distaccata, riuscendo ad imprimere uno stile di scrittura desueto e finora mai approcciato. Stile che ha instillato il dubbio di una disputa tra chi fosse il miglior songwriter tra Dylan e Pulmino Van Morrison, si deve sempre trovare il migliore in tutto, un tempo queste dispute vedevano contendenti di un livello eccelso, oggi ci accontentiamo di gente come Mannarino e altra gente che sinceramente non capisco come siano riusciti a farsi notare.

Tornando a Van Morrison, questo è un album che è piaciuto una cifra anche al mitico capisciotto di nome Scaruffi oltre che a Lester Bangs. Perciò se non avessi parlato affatto sarei stato proprio uno stronzo.

Comunqueeee! Se voi cercaste in giro qualche chicca o recinzione inerente a quest’album trovereste sempre le stesse pugnette trite e ritrite di gente che dice “ma si bello bello… la title-track si bella… molto free jazz…. Molto molto bello… insomma dovete averlo blablabla” fatto sta che nessuno vi spiega perché questo album è da avere.

Se non preparate il terreno è un martello dritto dritto sui coglioni, voglio evitare questa sensazione. Astral Weeks è la ri-nascita artitstica di Van Morrison, per questo lo dovete sentire, perché se conoscevate solo Brown-Eyed Girl siete rimasti legati ad un cazzo di nulla di quello che ha fatto. Sentite Astral Weeks e poi potete continuare con Moondance, entrate nel microcosmo che ha intessuto sapientemente per voi Van Morrison, nella trama e nell’ordito della sua tela musicale di 46 minuti riuscirete a respirare ogni singolo attimo di poesia.

Il concetto di Astral Weeks è centrale – è il fulcro dell’album – e nasce a Belfast nel 1966 quando lo stesso George Ivan vede il dipinto della pittrice Cezil McCartney che aveva rappresentato una proiezione astrale. Fulminante l’idea piomba nella testa del cantautore che ne vede un segno: “[…] ricordo di aver letto come sia necessario morire per nascere. E’ una di quelle canzoni in cui puoi vedere la luce in fondo al tunnel e fondamentalmente è di questo che parla la canzone”.

Una rincorsa alla nuova vita nella speranza che porti dei benefici raggiungere una condizione ideale, lasciare il proprio corpo per osservarlo dall’esterno in maniera cosciente ma distante, una rinascita per abbandonare un fardello e non subirne più il peso. La spiritualità legata a doppio filo alla materialità rappresentata dalla donna in Astral Weeks, come a dire, a figa mi è andata male, provo a fuggire con un viaggio astrale. Troppo facile Van!

Dalle Settimane Astrali alla Ballerina, è in linea con quanto descritto prima, fuggo da questa realtà ma tanto sotto sotto alla figa ancora penso, e Ballerina naturalmente si riferisce alla sua futura moglie. Un crescendo soffice, vaporoso come la nuvola di capelli presente sul capo di George all’epoca, un vero esempio di canzone d’amore.

Van Morrison con Astral Weeks offre una delle più importanti lezioni di vita a tutti noi, come un padre premuroso, come un principe Adam degli anni sessanta (in anticipo di più di dieci anni rispetto a He-Man e i Dominatori dell’Universo), trasmette la morale del disco: anche se sei brutto, olio di gomito e canzoni ben assestate e ti trombi chiunque (vedere alla voce Max Pezzali).