Syd Barrett – The Madcap Laughs

Syd Barrett - The Madcap Laughs

Quando l’attesa è elevata talvolta è difficile mantenere l’aspettativa ed appagare il pubblico. L’aspettativa è prodotta dal capolavoro The Piper At The Gates of Dawn dove l’impronta barrettiana è palpabile come la nebbia in pianura padana. Le vicissitudini con i restanti Pink Floyd sfociano nella collaborazione del primo lavoro solista con l’ausilio di Gilmour e Waters, inoltre alla batteria si può fregiare dell’estro di Wyatt (in No Good Trying e Love You) oltre che dei restanti Soft Machine alle tastiere e al basso(tali Ratledge e Hopper). Delle fotografie per il book se ne occupa Mick Rock, il design della cover invece è a cura del suo amico Storm Thorgerson.

Le registrazioni cominciano nel Maggio del 1968 e terminano più di un anno dopo, la commercializzazione avviene nel gennaio del 1970… un travaglio figlio di diverse sessioni snervanti (Jenner, Jones, Gilmour & Waters) e la presenza di differenti produttori. Le condizioni deteriorate di Syd hanno inciso sulla pazienza degli addetti ai lavori e sulle tempistiche, tant’è che si possono trovare differenti versioni disponibili con vari outtakes a testimoniare ciò.

La follia più totale, come compagna che pedissequamente segue le intuizioni di Barrett, si palesa anche nella cover di The Madcap LaughsThorgerson immortala Barrett in posa nella sua camera, dove balza all’occhio il pavimento dipinto a strisce arancioni e blu. In questa sessione fotografica fa la sua comparsa – come mamma l’ha fatta – anche “Iggy The Eskimo” sua compagna dell’epoca, citata nella canzone Dark Globe. Curiosamente Iggy era totalmente all’oscuro del passato di Syd non conoscendo la sua militanza nei Pink Floyd.

Peter Jenner – manager dei Pink Floyd dell’epoca – prese a cuore la situazione di Barrett introducendolo alla EMI. Le sue sedute hanno gettato le basi per la realizzazione dell’album, considerate però le bizze espresse dall’artista, la pazienza di Jenner è venuta meno decidendo così di mollare in corso d’opera. Il progetto scivola perciò nelle mani di Malcolm Jones che vive delle difficoltà nel cercare di persuadere nuovamente la EMI a registrare Barrett. Resisi conto del materiale col quale avevano a che fare, i tecnici EMI hanno ceduto alle pressioni di Jones.

Questa seconda parte di sessioni può essere tranquillamente riassunta dalle parole di Malcolm Jones quando afferma che per i musicisti di accompagnamento, suonare con Syd era tutto meno che facile, in particolare: “Era meglio seguirlo, non suonare con lui. Loro vedevano e successivamente eseguivano… erano sempre una nota dietro”.

Jerry Shirley a tal proposito ci dice che Barrett dava sempre l’impressione di sapere qualcosa che non tu non sapevi… con tutti i cartoni che si è calato non lo dubitiamo. In questa tranche rientrano anche le registrazioni di Love You e No Good Trying accompagnato dalle Macchine Leggere Ratledge, Hopper e dal diobatteria Wyatt.  Quest’ultimo da vita ad un curioso siparietto col Signorino Sciroccato, quando da buon batterista gli chiede: “In che tonalità è, Syd?”, Barrett gli risponde “Divertente!”… come se non bastasse diobatteria successivamente alza la mano e fa: “Syd il tempo della canzone è di 5 battute [anziché delle 2,5 stabilite, con probabile vena sulla fronte e sul collo gonfia e piena di scazzo potente]”, Scirocchetto gli risponde “Vero? Rendiamo la parte centrale più buia e quella finale più pomeriggio, perché per ora è troppo ventosa e gelida.”, insomma un siparietto da bestemmia libera.

Tutto colorito, tutto molto simpatico, ma poi che succede? Accade che negli studi EMI fa capolino la folta chioma liscia di Gilmour che saluta Jones dicendogli “Sciau belu, tutto molto molto belu, ma Syd vuole me e Ruggero [Roger Waters] per terminare l’ultima parte del disco” e Jones con gesto collaudato alza il pollice in segno di ok e molla baracca e burattini. Fatto sta che cominciano a produrre materiale a manetta e in due giorni mixano non solo il loro operato ma anche quello di Jones.

Aldilà dello sforzo mastodontico degli addetti ai lavori, dei santi produttori e dei musicisti che hanno contribuito a dare un senso alla vena artistica di Barrett, in mente noi avremo soprattutto la follia che permea il disco ed i suoi limerick alla Edward Lear.

The Beatles – White Album (parte II)

The Beatles - White Album

 

Si torna con la seconda parte dedicata ad una delle pietre miliari dei Beatles

Un brano del White Album al quale sono particolarmente legato è While My Guitar Gently Weeps di George Harrison.

E’ stata scritta a casa di sua madre mentre pensava ai concetti fondamentali dell’I-Ching (in soldoni è il libro dei mutamenti fondato sul concetto di casualità legata al destino) perciò l’input per il processo creativo si è basato sulla prima parola che ha letto aprendo un libro a caso (ovvero “Gently Weeps“). Posato il libro è cominciata la vera e propria opera di creazione.

Quando il prototipo di traccia è stato presentato in studio, l’idea di Harrison non viene presa seriamente dagli altri e così è risultato abbastanza difficile lavorarci seriamente, sino a quando George non ha deciso di coinvolgere il suo grande amicone Eric Clapton che ha fornito un contributo eccezionale sia in termini musicali che disciplinari (riuscendo anche a dare una calmata agli altri anarchici presenti in studio).

Happiness Is A Warm Gum è stata una canzone proibita dalle radio perché associata, non si sa per quale motivo, all’abuso di droga. A dire il vero John Lennon ha pensato di scrivere una canzone riguardante la copertina di un periodico, mostratagli da George Martin, intitolata “La felicità è una pistola calda” (concetto folle e guerrafondaio secondo Lennon e non solo).

Revolution 9 è una sperimentazione di alto livello da parte di Lennon – ispirato dalla tecnica di collage musicale espressa da Paul McCartney a tempo perso – fondata sull’utilizzo di 20 loop ricavati dall’archivio della EMI, da nastri di musica classica tagliati, incollati, e mandati all’indietro. Il “Number 9” ripetuto è stato estrapolato dalla voce di un tecnico e mantenuto perché ha richiamato una numerologia, e generato un aspetto simbolico, del tutto casuale in quanto Lennon è nato il 9 ottobre, ha vissuto al numero 9 di Newcastle Road e lo ha considerato come il numero più alto dell’universo (dopo il 9 si torna all’1).

Helter Skelter è una canzone proto-metal, creata da Macca che si è ispirato a delle parole di Pete Townshend ascoltate in radio. La ricerca di una canzone fuori di testa ha portato alla creazione di un brano realizzato nel pieno dell’isteria e della follia generale.

Praticamente Paul ha cominciato ad urlare e l’ha realizzata in quel momento.

La registrazione è avvenuta dopo un intera giornata di prove, supportate da uno straordinario Ringo Starr che termina la registrazione con un “I’ve got blister on my fingersssss” (“Ho le vesciche sulle dita”), vesciche procurate nel tentativo di far suonare il più forte possibile la sua batteria durante la sessione di registrazione.

Purtroppo questa canzone negli States è stata interpretata in maniera totalmente folle, in particolare Charles Manson ha identificato l’Helter Skelter come un segnale dell’apocalisse e ha fatto quel casino di cui tutti siamo a conoscenza (se non lo sapete c’è wikipedia).

Menzione finale va a Savoy Truffle grande canzone scritta da Harrison e che tratta della passione di Clapton per i cioccolatini, che vede al sax la partecipazione di Ronnie Ross (maestro sassofonista di David Bowie).

The Beatles – White Album (parte I)

The Beatles - White Album

L’equazione di massima di Pillole Musicali 8 Bit è “Doppio Album = Doppio Post”.

Cominciamo subito col dire che il White Album è un doppio album e non ha un vero è proprio titolo… cioè… sarebbe The Beatles, ma considerando che la cover è completamente bianca, gli è stato affibbiato questo epiteto.

L’idea per la copertina è stata suggerita dall’artista Richard Hamilton, amico di Paul McCartney, che ha aiutato anche per quanto riguarda il naming dell’album e l’artwork minimalista, con una numerazione ad hoc per scatenare una guerra tra collezionisti… la copia numero 1 è in mano a Ringo Starr.

Prima di entrare nel dettaglio c’è bisogno di fare chiarezza riguardo la situazione all’interno della band.

L’aspetto creativo si è moltiplicato rispetto ai precedenti lavori in quanto non vi è più un lavoro di simbiosi come un tempo, ognuno ha portato una quantità di brani non indifferente (ispirati dal viaggio in India, dalle parole di Maharishi e da Donovan) al produttore George Martin, persino il quieto Ringo Starr con la fantastica e scanzonata Don’t Pass Me By si è scoperto produttivo in tal senso (George Harrison ha presentato 5-6 brani, Paul McCartney una dozzina e John Lennon su per giù 15) tutto questo ha palesato l’effettiva mancanza dell’amalgama di un tempo per via dei dissidi interni. L’egocentrismo di ogni membro dei Beatles è identificabile nel doppio album, difatti dei più di 30 pezzi presentati una minima parte è stata scartata. Ma c’è un ulteriore spiegazione, una gabola che ha permesso pubblicando più brani in un album di liberarsi celermente dal proprio contratto con la EMI stabilendo l’inizio della fine dei Fab Four. Effettivamente questo lavoro presenta quattro anime distinte in un unico elemento, senza alcun filo conduttore tra un brano e l’altro, generi diversi, stili divergenti, ognuno ha potuto realizzare la propria canzone come avrebbe voluto.

Un clima fondamentalmente ostile si è instaurato tra i 4, tant’è che un simpatico siparietto si è venuto a creare tra Ringo Starr e gli altri membri della band. Stanco di tutto e vedendo Harrison, Macca e Lennon felici, si è sentito tagliato fuori dal gruppo, perciò – deciso più che mai a rassegnare le dimissioni – è andato prima a casa di John Lennon, dichiarandogli:

<<Me ne vado dal gruppo perché non sto suonando bene e mi sento poco amato e tagliato fuori, e voi tre siete molto uniti>>

ma la risposta di John è stata:

<<Pensavo foste voi tre a volermi tagliare fuori!>>

Poco dopo è andato a casa di Paul ripetendogli lo stesso discorso, e naturalmente la risposta di Paul è stata la stessa di Lennon! Morale della favola? C’è una sorta di “odio” reciproco all’interno della band che ha indotto Ringo – esaurito dalle continue seghe mentali – a farsi una vacanza in Sardegna senza nemmeno prendersi la briga di passare da George Harrison a presentare le proprie dimissioni…