Devo – Q: Are We Not Men? A: We Are Devo! 

Devo - QA


I Devo sono fonte di ispirazione e stella polare di una miriade di band, purtroppo però, il loro successo è vincolato ad una acclamazione totale da parte della critica musicale (in via del tutto eccezionale) ma non dal pubblico. Perché? Forse sono troppo complessi e cervellotici, ma una band così è veramente singolare e d’impatto

Nel 1977 David Bowie ed il suo amicone Iggy Pop – durante il periodo di The Idiot e della Trilogia Berlinese – hanno ricevuto un nastro con delle demo da parte dei Devo. All’ascolto hanno presenziato anche Brian Eno e Robert Fripp (noto principalmente per esser stato fondatore dei King Crimson) che hanno espresso forte interesse nel produrre il primo lavoro della band.

Lo stesso Bowie al concerto di debutto dei Devo ha affermato: “Questa è la band del futuro, li produrrò a Tokio in inverno.”

Alla fine, Q: Are We Not Men? A: We Are Devo! è stato registrato in Germania e se n’è occupato Brian Eno, considerato che Bowie è stato incastrato nelle riprese di Just a Gigolo (una mano a Eno l’ha comunque data durante i weekend).

Le sessioni di registrazione risultano frustanti per il gruppo ed il produttore, Eno è deluso dalla scarsa tendenza dei Devo alla sperimentazione e al cambiamento dei demo registrati. Come gli stessi Devo hanno ammesso, le proposte di Eno sono state veramente interessanti, l’introduzione dei sintetizzatori e di sonorità sperimentali sicuramente avrebbero completato maggiormente l’album, ma queste modifiche sono state applicate solamente sue tre-quattro brani.

L’album vede la luce nel 1978 e rappresenta un gran bel biglietto da visita.

Sicuramente spicca la cover del brano dei Rolling Stones (I Can’t Get No) Satisfaction, che ha portato i Devo sotto le luci della ribalta ed al quale è legato un curioso aneddoto. I Devo sono portavoce di un cosiddetto manifesto sulla teoria della de-evoluzione, questo pensiero viene esplicitato attraverso Satisfaction, sostenendo che il mondo procede al contrario indi per cui la Satisfaction originale è attribuibile ai Devo, mentre i Rolling Stones sono i veri interpreti della cover.

Questa versione robotica – e denaturata – è stata molto apprezzata da Mick Jagger.

Da Joko Homo deriva invece il titolo del disco con la domanda “Are we not men?/ We are Devo” presente nel ritornello e considerata come l’inno dei Devo. Mentre Joko Homo è il titolo di un trattato contro la teoria dell’evoluzione del 1924, difatti nella canzone sono presenti elementi di satira sulla de-evoluzione.

Mongoloid invece è il primo singolo rilasciato dai Devo, anche in questo caso è presente il concetto di devoluzione, espresso in maniera sempre più esplicita. Con il passare del tempo l’uomo vive un costante degrado che viene dimostrato dal deterioramento psichico che l’americano medio si trova ad affrontare costeggiato da una società sempre più incapace (troviamo un parallelismo molto interessante con lo Zappa di Over-Nite Sensation ed Apostrophe).

L’involuzione dell’uomo perciò è direttamente proporzionale all’evoluzione tecnologica, l’incapacità di provare delle emozioni lo fa diventare sempre più una macchina. Le voci sincopate, quasi piatte ed all’unisono di Mothersbaugh e Casale fanno apparire il brano come se fosse cantato da un automa. Il soggetto della canzone è una persona affetta dalla sindrome di down che ha una vita “normale”; la frase “happier than you and me” (più felice di me e te) descrive il protagonista come più felice di tutte le persone che si considerano normali, oramai rese aride e prive di mordente dalla società che li circonda. Naturalmente la canzone è stata incompresa e criticata da gran parte dell’opinione pubblica “benpensante”,  che non ha avuto la capacità di interpretare il testo.

Nota curiosa: la cover dell’album rappresenta il golfista Juan Rodriguez.  Era una immagine presente in una tracolla da golf, illustrata successivamente da Joe Heiner per evitare di incorrere in uso improprio dell’immagine ed eventuali beghe legali tra la Warner e il golfista.

The Beatles – White Album (parte II)

The Beatles - White Album

 

Si torna con la seconda parte dedicata ad una delle pietre miliari dei Beatles

Un brano del White Album al quale sono particolarmente legato è While My Guitar Gently Weeps di George Harrison.

E’ stata scritta a casa di sua madre mentre pensava ai concetti fondamentali dell’I-Ching (in soldoni è il libro dei mutamenti fondato sul concetto di casualità legata al destino) perciò l’input per il processo creativo si è basato sulla prima parola che ha letto aprendo un libro a caso (ovvero “Gently Weeps“). Posato il libro è cominciata la vera e propria opera di creazione.

Quando il prototipo di traccia è stato presentato in studio, l’idea di Harrison non viene presa seriamente dagli altri e così è risultato abbastanza difficile lavorarci seriamente, sino a quando George non ha deciso di coinvolgere il suo grande amicone Eric Clapton che ha fornito un contributo eccezionale sia in termini musicali che disciplinari (riuscendo anche a dare una calmata agli altri anarchici presenti in studio).

Happiness Is A Warm Gum è stata una canzone proibita dalle radio perché associata, non si sa per quale motivo, all’abuso di droga. A dire il vero John Lennon ha pensato di scrivere una canzone riguardante la copertina di un periodico, mostratagli da George Martin, intitolata “La felicità è una pistola calda” (concetto folle e guerrafondaio secondo Lennon e non solo).

Revolution 9 è una sperimentazione di alto livello da parte di Lennon – ispirato dalla tecnica di collage musicale espressa da Paul McCartney a tempo perso – fondata sull’utilizzo di 20 loop ricavati dall’archivio della EMI, da nastri di musica classica tagliati, incollati, e mandati all’indietro. Il “Number 9” ripetuto è stato estrapolato dalla voce di un tecnico e mantenuto perché ha richiamato una numerologia, e generato un aspetto simbolico, del tutto casuale in quanto Lennon è nato il 9 ottobre, ha vissuto al numero 9 di Newcastle Road e lo ha considerato come il numero più alto dell’universo (dopo il 9 si torna all’1).

Helter Skelter è una canzone proto-metal, creata da Macca che si è ispirato a delle parole di Pete Townshend ascoltate in radio. La ricerca di una canzone fuori di testa ha portato alla creazione di un brano realizzato nel pieno dell’isteria e della follia generale.

Praticamente Paul ha cominciato ad urlare e l’ha realizzata in quel momento.

La registrazione è avvenuta dopo un intera giornata di prove, supportate da uno straordinario Ringo Starr che termina la registrazione con un “I’ve got blister on my fingersssss” (“Ho le vesciche sulle dita”), vesciche procurate nel tentativo di far suonare il più forte possibile la sua batteria durante la sessione di registrazione.

Purtroppo questa canzone negli States è stata interpretata in maniera totalmente folle, in particolare Charles Manson ha identificato l’Helter Skelter come un segnale dell’apocalisse e ha fatto quel casino di cui tutti siamo a conoscenza (se non lo sapete c’è wikipedia).

Menzione finale va a Savoy Truffle grande canzone scritta da Harrison e che tratta della passione di Clapton per i cioccolatini, che vede al sax la partecipazione di Ronnie Ross (maestro sassofonista di David Bowie).

Frank Zappa – Hot Rats

Frank Zappa - Hot Rats

Hot Rats è il settimo album in studio dal 1966 di Frank Zappa ed il primo da solista dopo lo scioglimento dei Mothers Of Invention.

E’ veramente difficile scegliere un lavoro di Zappa, il problema è che il livello di ogni singolo album sfornato è eccelso, la mole musicale sin qui prodotta dall’italoamericano è frutto di un lavoro stacanovista e certosino che quasi sfiora il patologico… le 18 ore di composizione musicale giornaliera sono un ritmo insostenibile per quasi chiunque, se poi pensate che dietro non vi è nessun uso di sostanze stupefacenti vi rendete conto di quanto quest’uomo abbia dato alla musica, rinunciando praticamente a quasi tutti i sentimenti umani (un ritmo simile è stato tenuto da David Bowie poco prima della trilogia berlinese, quando vivendo a LA è riuscito a star sveglio 6 giorni consecutivi – più per merito della cocaina che per la voglia di lavorare – con tanto di avvistamenti alieni e paura dei complotti in ogni dove).

Hot Rats è un album, composto e arrangiato completamente da Zappa, caratterizzato dalle molte influenze jazz ed è quasi completamente strumentale (Willie the Pimp è l’unico brano cantato dal grande Don Van Vliet, conosciuto dai più come Captain Beefheart).

Secondo la critica Hot Rats è da considerare il primo album di jazz-fusion della storia, esso mette in luce il lato di Zappa sconosciuto ai più, quello di grande compositore di musica contemporanea pronto a spingersi sino al limite estremo della sperimentazione (grazie anche all’ausilio di tecniche di registrazione all’avanguardia per l’epoca, mixer a svariate tracce, sovraincisioni, accelerazioni e cazzi vari).

Durante le sessioni dell’album, Zappa, si è consultato col produttore di musica jazz Dick Bock che gli ha presentato il violinista Jean-Luc Ponty che ritroviamo in It Must Be a Camel ed in altre collaborazioni (successivamente anche in King Kong, un altro album di Zappa).

Un pensiero va sicuramente a quel mostro di musicista che è Ian Underwood, polistrumentista capace di suonare i fiati e le tastiere e di coprire la mole di lavoro di dieci musicisti. Anche Zappa, per quest’album, ha accantonato in parte la chitarra per suonare piano e batteria.

Peaches en Regalia è la canzone probabilmente più conosciuta di Frank Zappa, un capolavoro assoluto e forse uno dei brani più commerciali e di facile comprensione per via della melodia che cattura l’ascoltatore grazie ad un ritmo atipico (tre note riprodotte nello spazio di due), e ad un ossatura armonica composta da 4 temi principali. Direte: “Mecoglioni!“. Anche giustamente aggiungo.

Willie the Pimp, interpretato vocalmente da Captain Beefheart – amico di infanzia di Frank Zappa e autore di quel grande album che è Trout Mask Replica (prodotto dallo stesso Zappa) – ci racconta la storia di un pappone che parla, con allusioni sessuali, a una ragazza della sua scuderia. Uno dei classici temi alla Zappa.

E’ inutile inoltrarsi ulteriormente nelle spiegazioni dei brani considerando che si andrebbe incontro a dei tecnicismi che mi farebbero perdere i pochi lettori che ho, concludo dicendo che la cover del disco è una foto di Ed Caraeff (autore anche della copertina di Uncle Meat) scattata a Beverly Hills, che immortala una groupie amica di Zappa mentre fa capolino da una piscina vuota come se fosse uno zombie che esce da una tomba.