Elio E Le Storie Tese – Eat The Phikis

Elio E Le Storie Tese - Eat The Phikis

Perché Eat The Phikis?

Credo che qualitativamente abbia toccato delle vette che difficilmente sono state raggiunte dagli Elii negli anni successivi, ma soprattutto perché risulta l’ultimo album in studio con l’amato Feiez, che come contributo creativo ha sempre avuto un peso specifico non trascurabile.

Eppoi perché ho amato tantissimo la copertina dello squalo con l’apparecchio ed ho consumato la musicassetta [già…] nella mia Twingo verde mela, mentre da adolescente macinavo chilometri nelle nottate di cazzeggio. Un album al quale sono profondamente legato perché ci sono cresciuto… in particolare sono affezionato alla Terra Dei Cachi, brano che ha contribuito all’effettiva consacrazione degli Elio E Le Storie Tese, con il conseguimento del disco di platino in poche settimane dalla pubblicazione di Eat The Phikis.

Un brano che fotografa l’Italia del passato, presente e futuro, con una dovizia di particolari meravigliosa. Una struttura che strizza l’occhio agli stilemi pop-folk dello stivale (Papaveri e Papere di Nilla PizziUna Lacrima Sul Viso di Bobby SoloLa Donna Cannone di De Gregori), con un vorticoso e frenetico uso di calembour che è impossibile non amare. Accettata al festival di Sanremo, rischia seriamente di vincere. Già, rischia, perché anni dopo si è scoperto che la vittoria è stata ottenuta veramente sul campo.

Proprio loro, quelli che 4 anni prima suonavano fuori dall’Ariston, al Controfestival, prendendo per culo alcuni partecipanti parodiando le loro canzoni (come dimenticare Ameri, Sono Felice o le versioni di Vattene Amore e Verso L’Ignoto), per un pelo non vengono classificati vincitori al concorso da loro schernito. Oltre ciò, Elio E Le Storie Tese hanno avuto il merito di vivacizzare un concorso imbolsito e ingessato, con esibizioni degne di memoria:

  • Una serata Elio si presenta con il braccio finto;
  • L’ultima esibizione avviene con la band travestita da Rockets;
  • Durante la penultima serata si compie la meraviglia, quando anziché proporre un estratto da un minuto del proprio brano, propongono il brano quasi per intero eseguendolo velocissimamente (in 55” per essere precisi, che potete ascoltare a chiusura del disco in Neanche Un Minuto di Non Caco, citando Lucio Battisti).

Fuori concorso si classifica la versione, altrettanto spettacolare, con Raul Casadei; un taglio in salsa balera che rende il brano ancora più nazionalpopolare, nonostante voglia di fatto buggerare quello stereotipo. La Terra Dei Cachi segna anche l’inizio del sodalizio tra gli Elii e il maestro Vessicchio.

Concettualmente Eat The Phikis si conferma come un’evoluzione dei precedenti album, pertanto nella scelta di un brano quale Burattino Senza Fichi possiamo scorgere l’eredità della favoletta del Vitello Dai Piedi Di Balsa, dove il protagonista è un Pinocchio adolescenziale su cui facili si sviluppano dei doppi giochi (tra i quali il fatto che sia stato fatto con una sega e altri divertenti cliché).
Mentre T.V.U.M.D.B. racconta l’ennesima sfaccettatura della donna, quella romantica e giovane, interpretata da Giorgia che sogna il bomba dei Take That (Gary Barlow)sulla base della melodia di After The Love Has Gone degli Earth, Wind and Fire (band citata a detta di Faso per non cadere nel plagio). C’è il tempo anche per salutare Piattaforma ed il famoso PAM (“Senti come grida il peperone?”). Il meraviglioso assolo di sassofono eseguito da Feiez in questo brano, aprirà il successivo Craccracriccrecr in sua memoria.

I cameo sono ormai consuetudine e alcune ospitate sono consolidate, come nel caso di Enrico Ruggeri che appare in Lo Stato A, Lo Stato B, presenziano al disco anche Aldo (dal trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo) in Mio Cugino, il meraviglioso James Taylor (in First Me, Second Me che interpreta Peak Of The Mountain, storico brano composto agli inizi di carriera dagli Elii dal testo tradotto in un inglese maccheronico ma reso immortale dal cantautore di Boston) ed Edoardo Vianello in Li Mortacci, brano compendio nel quale vengono citati i grandi morti dell’universo musicale all’interno di uno stornello romano che sembra eseguito direttamente a La Parolaccia.

Nello specifico vengono citati

  • er Chitara: Jimi Hendrix 
  • er Mafrodito: Freddie Mercury 
  • er Rastamanno: Bob Marley 
  • er Guardiano der Faro: Federico Monti Arduini 
  • er Pelvicaro: Elvis Presley 
  • ‘a figlia der Pelvicaro: Lisa Marie Presley
  • er Trilleraro: Michael Jackson 
  • er Canaro: malvivente della Magliana (alla cui figura è stato ispirato il film diretto da Garrone Dogman)
  • er Lucertolaro: Jim Morrison 
  • er Quattrocchi Immaginaro: John Lennon 
  • er Tromba: uno tra Louis Armstrong, Miles DavisChet Baker (giudicando la morte violenta direi proprio quest’ultimo)
  • er Vedraro: Luigi Tenco 
  • l’Impiccato: Ian Curtis 
  • er Fucilense: Kurt Cobain  
  • er Piscina: Brian Jones 

(grazie infinite a marok.org per la lista)

Per citare altri easter egg degni di nota, al termine di El Pube, viene raccontata una barzelletta tramite il MacinTalk della Apple. L’effetto ottenuto è quello del Central Scrutinizer, narratore di Joe’s Garage, (uno dei vari inchini al grande idolo della band, Frank Zappa). Altra checca… ups chicca, è presente in Omosessualità, un trash metal che vede Elio al basso, in quanto Faso si è rifiutato di interpretare il brano per l’odio nei confronti di questo genere musicale. Omosessualità, apprezzato e di molto dai circoli omosessuali per l’onestà intellettuale e l’apertura mentale (nonostante il linguaggio crudo), si è aggiudicato il premio dal circolo di cultura Mario Mieli.

Il brano simbolo – però – gli Elii lo piazzano alla fine, quel Tapparella che narra il dramma del ragazzino eterno complessato, sfigato, bullizzato e pisciato da chiunque alla festa delle medie. Uno spleen [d’altronde in Eat The Phikis è presente anche il brano Milza ndr] decadente di frustrazione totale che si conclude in un’estasi collettiva dal momento che il ragazzetto scioglie l’aspirina nell’amarissima aranciata. Il brano è un omaggio palese ad Hendrix con Little Wing ed Hey Joe che dominano il tema musicale iniziale.

Tapparella è un inno generazionale per chi è stato underground; inno con il quale gli Elii hanno chiuso concerti dal 1996 al 2018 e che dal 1999 è la consuetudine con la quale viene salutato ogni volta il vuoto enorme lasciato dal grande Panino: Paolone Feiez.

FORZA PANINO!

Ebbene sì! Non smetterò mai di ringraziare infinitamente il sito Marok.org dal quale ho attinto diverse informazioncine preziose. Come di consueto, se voleste approfondire, consiglio vivamente di spulciarvi tutte le chicche che i ragazzi hanno raccolto.

http://www.marok.org/Elio/Discog/phikis.htm

 

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Mazzy Star – Among My Swan

Mazzy Star - Among My Swan

Ok, ok, non sta diventando un tributo a Rick & Morty ok?  Meglio mettere le cose in chiaro altrimenti sono cazzy e mazzy. 

Invece di schifarvi, dovreste accogliere questi espedienti narrativi di serie C con somma maraviglia!  

Che poi, cioè… la battuta si chiamava da sola, non è tanto colpa mia, non credete? 

Va be torniamo a noi su e parliamo di Among My Swan, un disco che per molti anni ha rappresentato l’ultimo dei Mazzy, una band che ha sempre dimostrato verve (ma senza Richard Ashcroft) e joie de vivre a palate. La perseveranza con la quale Hope Sandoval ha seguito il proprio credo è oltre l’encomiabile, rifiutare centilioni di soldi – quando lo showbiz e le etichettone vengono tutte da te ad elemosinare i tuoi servigi – non è una cosa da poco e sfido voi a fare la sua stessa scelta.  

“Ho dovuto implorare affinché potessi recedere dal mio contratto con la Capitol. Loro mi volevano far lavorare con dei produttori importanti. Io volevo produrre la mia musica, loro non volevano questo. Sono sicura che siano stati felici di avermi lasciato andare”. 

E quindi i Mazzy sono scomparsi (vi piacciono i fuoristrada che sto facendo per non parlare troppo del disco?), salvo poi tornare nel 2013, dopo un lungo digiuno e qualche ruga in più a solcare il volto di Hope e David. 

Ma torniamo ad Among My Swan, intriso della malinconia ed epurato dai fastidiosi eco che permeavano i precedenti lavori, si dimostra un disco maturo, introspettivo, molto legato ai cliché delle band psych anni ‘60, oltre che ad un cantautorato visionario. 

David ne sa molto più di me su musica e strumentazioni. Conosce a menadito i Velvet Underground, mentre io non più di tanto. […] Quando ho cominciato a lavorare con David, ha acceso il mio interesse su alcuni musicisti o gruppi. Mi piacciono cose recenti come Soul II Soul, ma anche altre più datate tipo Syd Barrett ed i Rolling Stones“. 

Hope cita alcune delle ispirazioni dietro i brani, ovvio che l’allegria non è mai appartenuta all’universo di Sandoval Roback, certo anche che la chitarra di quest’ultimo ha la capacità di costruire spazi là dove non esistono, a dire il vero si ha quasi l’idea di galleggiare sopra una nuvola soffice, sospesi ed alleggeriti dai pensieri.   

“Non ci siamo mai preoccupati del mondo esterno, è un processo interno quello che sviluppiamo. Il mondo esterno non è nei nostri pensieri […] stiamo facendo tutto ciò nel nostro mondo per noi stessi. Siamo legati alle storie dietro ad ogni canzone.” ci spiega Roback e non so il perché, ma ho come l’impressione che nell’idea dei due una canzone come Look On Down From The Bridge (nella quale il narratore in un gioco di prospettive – che si consuma con lo scorrere della canzone – ha lo sguardo diretto verso il basso durante la sua caduta libera piuttosto che guardare verso l’alto, verso il suo passato) –  a chiusura di Among My Swan sia stata pensata come canto del cigno, in un finale che sarebbe suonato perfetto qualora nel 2013 non ci fosse stato alcun ritorno. 

Rachel’s – Music For Egon Schiele

Rachel's - Music For Egon Schiele

Rachel’s hanno in parte raccolto la sfida lanciata dai Penguin Cafe Orchestra, offrendo al pubblico una musica da camera in un periodo storico nel quale il rumore, la rabbia ed i suoni artificiali dominano incontrastati, la scelta della band di Louisville appare in forte controtendenza con quanto proposto dalla scena musicale di quel periodo.

Da Louisville provengono gli Slint, e forse sarebbe stato più lecito aspettarsi un’idea affine a quella di McMahan Pajo, invece i Rachel’s sorprendono per un approccio distante, ma per questo forse più rispettabile se confrontato a quanto fatto da tanti altri gruppi coevi. Per chi non li conoscesse, vi basti sapere che prendono il nome dalla pianista Rachel Grimes, che dimostra così di essere la capoccia della situazione.

Music For Egon Schiele nasce come colonna sonora per un balletto sulla vita del pittore austriaco, giudicato buon disco ma definito – talvolta – prolisso e pigro da parte degli esperti del settore, sento il dovere – a distanza di vent’anni – di spezzare una lancia a favore, un po’ per gusto personale un po’ perché funzionale al ciclo di articoli in fase di pubblicazione.

Rachel’s preferiscono l’improvvisazione in fase compositiva per poi attenersi allo spartito nelle esecuzioni live, dimostrando un’attitudine a doppia corrente. Si privilegia la musica alle parole, come se fosse lo specchio dell’anima, il focus è nelle note che evidenziano la cifra stilistica e la necessità di esprimere sentimenti senza il bisogno di applicare un messaggio verbale a quello musicale, in una libertà interpretativa che lascia molto spazio all’immaginazione (veicolandola tramite i titoli delle canzoni e dell’album).

Scelta lodevole e riuscita, nei “passaggi a vuoto” sono percepibili le sfumature travagliate della vita di Schiele – portato via troppo presto dalla febbre spagnola – e del suo espressionismo, in un disco godibilissimo e a tratti romantico che catapulta chi l’ascolta nella mitteleuropa del secolo scorso.

Il pensiero è rivolto alla fonte di ispirazione, ma la relazione non è così stabile come si pensa, come disse Rachel(‘s) Grimes la ricerca è nel tentare di ricreare delle sensazioni che un’artista come Schiele ha trasmesso tramite le oltre trecento opere prodotte nella sua breve seppure intensa carriera, in un percorso diametralmente opposto a quello di Stravinskij con i propri quadri astratti.

Nel complesso non ci troviamo di fronte a nulla di memorabile o dall’impatto storico determinante, ma resta un tentativo anacronistico capace di mantenere vivo l’interesse verso un approccio alla musica che si è perso nel tempo, oltre che rappresentare un risultato qualitativamente valido nel combinare arte figurativa, performance e musica.

R.E.M. – New Adventures In Hi-Fi

REM - New Adventures In Hi-Fi

Questo è un disco al quale sono molto affezionato, ma è troppo lungo… veramente. E’ il più lungo degli arriem, e batte di poco Up. Alcuni brani si dilungano in maniera eccessiva, tolta questa critica, restano molti i punti a favore di New Adventures in Hi-FI.

E’ un album fondamentale se circoscritto alla storia della band, in cui si raggiunge la consapevolezza di quanto Stipe e soci siano affiatati e tengano l’un l’altro; oltretutto è foriero di addii, in quanto è l’ultimo lavoro con Bill Berry oltre che con lo storico produttore Scott Litt e il manager Jefferson Holt. Alcune registrazioni vengono effettuate durante il tour del 1995, queste tracce sono state successivamente riutilizzate per realizzare le canzoni (uno dei motivi per il quale gli R.E.M. si sono ispirati a Time Fades Away di Neil Young).

Sicuramente nella mente dei più restano due dei brani più rappresentativi degli R.E.M., presenti in questo album: E-bow the Letter ed Electrolite.

La prima vede una collaborazione con Patti Smith, madrina spirituale della band (un po’ come Neil Young con i Pearl Jam). L’ascendente che Smith ha su Stipe si nota fortemente nell’espressività e nelle performance dal vivo degli R.E.M., Michele Stipite attinge a piene mani da ciò che è stata Patrizia Fabbro. Per chi non lo sapesse, l’E-bow è uno strumento magnetico che posto vicino alle chitarre offre un effetto riverberato e continuo (a mò di violino), accoppiato al canto di Patti Smith trasmette una sensazione di espiazione e di litania – probabilmente rivolta a River Phoenix (così come tutto Monster).

Curioso invece l’aneddoto che va a costituire poi Electrolite, ispirata dal terremoto del 1994 a Northridge (California, verso Los Angeles). Stipe in quel periodo viveva a Santa Monica e svegliandosi per il terremoto, si affacciò dalla finestra vedendo le luci notturne di Mullholand Drive, definita da Stipe “iconica”.

La citazione di tre dei principali figli dell’industria di Los Angeles come Dean, McQueen e Sheen – rappresenta le diverse sfaccettature di mascolinità, uno dei principi cardine del ventesimo secolo. Quasi a voler porre l’accento sul forte dualismo tra modernismo e futurismo sull’idea di società da creare, stigmatizzando lo stereotipo di uscire dal passato rimpiazzandolo con qualcosa di necessariamente migliore.

Stipe a Storytellers racconta un aneddoto curioso “ero dal dentista, che casualmente era lo stesso di Martin Sheen ed in quel momento si trovava lì per una devitalizzazione, perciò mi sono alzato e gli ho detto ‘hey sai che abbiamo un disco che uscirà entro un paio di settimane, e tu sei menzionato in una canzone? Lo abbiamo fatto per ammirazione e non voglio che tu pensi che il nostro intento fosse quello di prenderci gioco di te.’ E lui con la bocca aperta e col dentista che lavorava sui suoi denti rispose ‘GVAFFIE MHILLEHH'”

Mi sono dilungato anche troppo su questo articolo, termino scrivendo che la parte di piano di Electrolite invece viene composta da Mike Mills nel suo appartamento prima di essere condivisa con il resto della band.