Os Mutantes – Os Mutantes

Con gli Os Mutantes immagino abbiate già preso confidenza; ma per darvi ulteriore dimensione del loro spessore (se ne aveste bisogno e non vi fidaste delle parole da me già spese), hanno goduto della stima di David Byrne e Kurt Cobain, e trovo che si siano dimostrati l’ingranaggio essenziale del tropicalismo.  

Gli Os Mutantes probabilmente hanno incarnato nel migliore dei modi i valori del movimento, dimostrando di saper coniugare la forte influenza di Sgt. Pepper’s e la psichedelia dei Pink Floyd barrettiani all’interno della musica brasiliana, cannibalizzando i suoni che, metabolizzati, hanno creato un’identità rispettosa dei paradigmi suggeriti dal Manifesto Antropofago di Oswald de Andrade

Con l’ascolto di Tropicalia: ou Panis et Circencis vi siete sicuramente spoilerati gran parte delle canzoni presenti in questo disco d’esordio, ma l’ascolto col sound psichedelico e la voce di Rita Lee ed i fratelli Dias propone una chiave di lettura di differente intensità rispetto a quanto offerto nel lavoro collettivo di Tropicalia (che cronologicamente trova pubblicazione un mese dopo l’esordio discografico degli Os Mutantes).  

L’ascesa degli Os Mutantes è rapida e il merito è imputabile al compositore Rogério Duprat reo di aver messo in contatto il gruppo con Gilberto Gil, col quale hanno partecipato al Festival della Canzone. Questo primo evento si rivela un domino che fa svenire le tessere una dopo l’altra, in un annodare continuo di relazioni e collaborazioni con altri interpreti della scena e culminante con la registrazione del manifesto tropicalista

Os Mutantes conta su molti brani prestati da altri autori piuttosto che composizione autonome, difatti: Gil Veloso offrono il candomblé di Bat Macumba e il carosello onirico di Panis et Circencis, che stando alle parole di Rita Lee fu scritta in appena 15 minuti; lo stesso Caetano regala l’iconica  Baby, che catapulta l’ascoltatore in una lanchonete paulista nel pieno clima Iê-Iê-Iê; da Jorge Ben JorRita Lee si fa regalare il samba di A Minha Menina e riesce ad ottenere la presenza di Jorge alla chitarra; dai Mamas and Papas prendono in prestito Once Was a Time I Thought adattando la versione scritta da John Phillips in Tempo no Tempo (cucendogli un arrangiamento in pieno stile antropofago), stessa sorte tocca a Le Premier Bonheur du Jour (reinterpretata in versione mistico-gregoriana in stile Vashti Bunyan), che forse avrete sentito nell’interpretazione di Françoise Hardy; in ultimo Adeus Maria Fulô composta dal divino Sivuca (che avremo modo di conoscere nei prossimi racconti) con Humberto Texeira ed edita nel 1951, scelta da Rita Lee per dare un tocco di brasilianità al suono del gruppo. 

Quindi dopo questo paragrafo infinito, nel quale è stato difficile anche prendere il fiato, avrete avuto modo di constatare ulteriormente quanto gli Os Mutantes abbiano lavorato – più che proporre brani di proprio pugno – nel rendere inediti brani già editi, fornendo un’impronta sonora unica, riconoscibile, lavorando sulla modernizzazione richiesta da Oswald de Andrade. In quest’ottica rientra anche la scelta della copertina, nel quale gli Os Mutantes sono ritratti da Olivier Perroy in abiti fuori contesto (un poncho indiano, un mantello di velluto nero e un kimono), ma che comunque contribuiscono all’identità che i membri del gruppo hanno forgiato.  

Os Mutantis è un disco seminale, piacevole, scorrevole e – per il periodo in cui ha visto la luce – di rottura; ha scosso violentemente il panorama musicale brasiliano e ancora oggi viene vissuto come un lavoro di culto da molti ascoltatori internazionali, a dimostrazione di quanto il pensiero di Oswald de Andrade fosse condivisibile a più livelli e non solo entro le mura domestiche verdeoro. 

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Elio E Le Storie Tese – Eat The Phikis

Elio E Le Storie Tese - Eat The Phikis

Perché Eat The Phikis?

Credo che qualitativamente abbia toccato delle vette che difficilmente sono state raggiunte dagli Elii negli anni successivi, ma soprattutto perché risulta l’ultimo album in studio con l’amato Feiez, che come contributo creativo ha sempre avuto un peso specifico non trascurabile.

Eppoi perché ho amato tantissimo la copertina dello squalo con l’apparecchio ed ho consumato la musicassetta [già…] nella mia Twingo verde mela, mentre da adolescente macinavo chilometri nelle nottate di cazzeggio. Un album al quale sono profondamente legato perché ci sono cresciuto… in particolare sono affezionato alla Terra Dei Cachi, brano che ha contribuito all’effettiva consacrazione degli Elio E Le Storie Tese, con il conseguimento del disco di platino in poche settimane dalla pubblicazione di Eat The Phikis.

Un brano che fotografa l’Italia del passato, presente e futuro, con una dovizia di particolari meravigliosa. Una struttura che strizza l’occhio agli stilemi pop-folk dello stivale (Papaveri e Papere di Nilla PizziUna Lacrima Sul Viso di Bobby SoloLa Donna Cannone di De Gregori), con un vorticoso e frenetico uso di calembour che è impossibile non amare. Accettata al festival di Sanremo, rischia seriamente di vincere. Già, rischia, perché anni dopo si è scoperto che la vittoria è stata ottenuta veramente sul campo.

Proprio loro, quelli che 4 anni prima suonavano fuori dall’Ariston, al Controfestival, prendendo per culo alcuni partecipanti parodiando le loro canzoni (come dimenticare Ameri, Sono Felice o le versioni di Vattene Amore e Verso L’Ignoto), per un pelo non vengono classificati vincitori al concorso da loro schernito. Oltre ciò, Elio E Le Storie Tese hanno avuto il merito di vivacizzare un concorso imbolsito e ingessato, con esibizioni degne di memoria:

  • Una serata Elio si presenta con il braccio finto;
  • L’ultima esibizione avviene con la band travestita da Rockets;
  • Durante la penultima serata si compie la meraviglia, quando anziché proporre un estratto da un minuto del proprio brano, propongono il brano quasi per intero eseguendolo velocissimamente (in 55” per essere precisi, che potete ascoltare a chiusura del disco in Neanche Un Minuto di Non Caco, citando Lucio Battisti).

Fuori concorso si classifica la versione, altrettanto spettacolare, con Raul Casadei; un taglio in salsa balera che rende il brano ancora più nazionalpopolare, nonostante voglia di fatto buggerare quello stereotipo. La Terra Dei Cachi segna anche l’inizio del sodalizio tra gli Elii e il maestro Vessicchio.

Concettualmente Eat The Phikis si conferma come un’evoluzione dei precedenti album, pertanto nella scelta di un brano quale Burattino Senza Fichi possiamo scorgere l’eredità della favoletta del Vitello Dai Piedi Di Balsa, dove il protagonista è un Pinocchio adolescenziale su cui facili si sviluppano dei doppi giochi (tra i quali il fatto che sia stato fatto con una sega e altri divertenti cliché).
Mentre T.V.U.M.D.B. racconta l’ennesima sfaccettatura della donna, quella romantica e giovane, interpretata da Giorgia che sogna il bomba dei Take That (Gary Barlow)sulla base della melodia di After The Love Has Gone degli Earth, Wind and Fire (band citata a detta di Faso per non cadere nel plagio). C’è il tempo anche per salutare Piattaforma ed il famoso PAM (“Senti come grida il peperone?”). Il meraviglioso assolo di sassofono eseguito da Feiez in questo brano, aprirà il successivo Craccracriccrecr in sua memoria.

I cameo sono ormai consuetudine e alcune ospitate sono consolidate, come nel caso di Enrico Ruggeri che appare in Lo Stato A, Lo Stato B, presenziano al disco anche Aldo (dal trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo) in Mio Cugino, il meraviglioso James Taylor (in First Me, Second Me che interpreta Peak Of The Mountain, storico brano composto agli inizi di carriera dagli Elii dal testo tradotto in un inglese maccheronico ma reso immortale dal cantautore di Boston) ed Edoardo Vianello in Li Mortacci, brano compendio nel quale vengono citati i grandi morti dell’universo musicale all’interno di uno stornello romano che sembra eseguito direttamente a La Parolaccia.

Nello specifico vengono citati

  • er Chitara: Jimi Hendrix 
  • er Mafrodito: Freddie Mercury 
  • er Rastamanno: Bob Marley 
  • er Guardiano der Faro: Federico Monti Arduini 
  • er Pelvicaro: Elvis Presley 
  • ‘a figlia der Pelvicaro: Lisa Marie Presley
  • er Trilleraro: Michael Jackson 
  • er Canaro: malvivente della Magliana (alla cui figura è stato ispirato il film diretto da Garrone Dogman)
  • er Lucertolaro: Jim Morrison 
  • er Quattrocchi Immaginaro: John Lennon 
  • er Tromba: uno tra Louis Armstrong, Miles DavisChet Baker (giudicando la morte violenta direi proprio quest’ultimo)
  • er Vedraro: Luigi Tenco 
  • l’Impiccato: Ian Curtis 
  • er Fucilense: Kurt Cobain  
  • er Piscina: Brian Jones 

(grazie infinite a marok.org per la lista)

Per citare altri easter egg degni di nota, al termine di El Pube, viene raccontata una barzelletta tramite il MacinTalk della Apple. L’effetto ottenuto è quello del Central Scrutinizer, narratore di Joe’s Garage, (uno dei vari inchini al grande idolo della band, Frank Zappa). Altra checca… ups chicca, è presente in Omosessualità, un trash metal che vede Elio al basso, in quanto Faso si è rifiutato di interpretare il brano per l’odio nei confronti di questo genere musicale. Omosessualità, apprezzato e di molto dai circoli omosessuali per l’onestà intellettuale e l’apertura mentale (nonostante il linguaggio crudo), si è aggiudicato il premio dal circolo di cultura Mario Mieli.

Il brano simbolo – però – gli Elii lo piazzano alla fine, quel Tapparella che narra il dramma del ragazzino eterno complessato, sfigato, bullizzato e pisciato da chiunque alla festa delle medie. Uno spleen [d’altronde in Eat The Phikis è presente anche il brano Milza ndr] decadente di frustrazione totale che si conclude in un’estasi collettiva dal momento che il ragazzetto scioglie l’aspirina nell’amarissima aranciata. Il brano è un omaggio palese ad Hendrix con Little Wing ed Hey Joe che dominano il tema musicale iniziale.

Tapparella è un inno generazionale per chi è stato underground; inno con il quale gli Elii hanno chiuso concerti dal 1996 al 2018 e che dal 1999 è la consuetudine con la quale viene salutato ogni volta il vuoto enorme lasciato dal grande Panino: Paolone Feiez.

FORZA PANINO!

Ebbene sì! Non smetterò mai di ringraziare infinitamente il sito Marok.org dal quale ho attinto diverse informazioncine preziose. Come di consueto, se voleste approfondire, consiglio vivamente di spulciarvi tutte le chicche che i ragazzi hanno raccolto.

http://www.marok.org/Elio/Discog/phikis.htm

 

Mark Lanegan – Whiskey For The Holy Ghost

Mark Lanegan - Whiskey For The Holy Ghost

Continua il nostro fantastico viaggio nel tempo alla ricerca degli album che ti danno botte di morale à gogo. 

Vi prometto che al termine del suddetto ciclo di pubblicazioni – previsto per il 28 di Dicembre – potrete comporre la vostra perfetta compilation: struggente; per cuori solitari e finto-intellettuale. 

Dopo aver scaldato un po’ le dita scrivendo qualche cazzata, sono pronto a concentrarmi sul secondo disco solista di Mark. Gli Screaming Trees vengono alternati alla carriera solista, The Winding Sheet ha raccolto consensi e la nuova fase della carriera di Will Ferrell è cominciata; si percepisce un clima diverso nel disco, il grunge ha toccato l’apice così come il deterioramento di alcuni dei principali interpreti.  

La voce di Lanegan rispetto al disco d’esordio risulta più matura – stanca – come se fosse sempre sotto sforzo e alcolizzata, a tratti appare come una goffa imitazione di Tom Waits. “Here come the Devil, prowlin’ round/ One whiskey for every ghost/ And I’m sorry for what I’ve done/ Lord, it’s me who knows what it cost.” questa parte estratta da Borracho, ha molto di autobiografico, una condanna al bere per ogni rimpianto che accompagna la propria esistenza, dove il Diavolo è il lato oscuro che lo affligge e i fantasmi sono i rimorsi che non accennano a sparire. Ma ci sono altri casi di “autoflagellazione” nel disco, come quando fugge via da “una ragazza troppo brava per essere reale” in Sunrise, o alla maledizione di “passare una vita intera a pensare a te” struggendosi nello splendido brano d’apertura The River Rise. 

Mike Endino – che ne cura ancora la produzione e lo aiuta nella stesura dei brani – ricorda “Guardando indietro, non sono sicuro che fosse pulito durante le registrazioni del secondo album, questo di sicuro ha contribuito ad alimentare la mancanza di fiducia in sé stesso in quel periodo”, le sessioni portano via tre anni nei quali gli alti e i bassi di Lanegan si sono alternati vertiginosamente, un percorso tumultuoso tanto da creare problemi anche durante il tour di Whiskey.  

Al disco non partecipano CobainNovoselic, ma J. Mascis, Dan Peters dei Mudhoney, senza dimenticare Pickerel ex batterista degli Screaming Trees, come a dire il corollario è sempre di gran livello e di qualità per consentire la riuscita del disco, ricorda in piccolo quanto fatto per Syd Barrett in The Madcap Laughs, anche se Lanegan versa in situazione di coscienza seppur alterata da droghe e alcool.  

Lo si sente dalla struttura delle canzoni – estremamente reiterate in alcuni passaggi – quasi come se si incantasse su un punto in una sorta di autismo; la condizione mentale ad un certo punto è quasi compromessa tanto che Endino riesce a fermare Mark mentre cerca di buttare nel fiume il master con le registrazioni del disco… non doveva proprio star bene, eh già. In sé Whiskey For The Holy Ghost sicuramente non passa alla storia per gli arrangiamenti o la struttura musicale, quanto per l’attitudine di Lanegan al canto e alla scrittura (nella quale fa un salto in avanti non indifferente rispetto al precedente lavoro), creando un percorso musicale coerente, di rara potenza nonostante sia volutamente lento e stordito. Ricorda molto in questo Townes Van Zandt (sia nell’alcolismo che nello stile), senza la proverbiale freddezza che permeava la maggior parte della produzione del cantautore texano. 

Lo si percepisce chiaramente nella traccia di chiusura, la stupenda Beggar’s Blues, una dilatazione musicale quasi esagerata, tanto da rendersene conto e sentirlo dire “That’s All” concludendo la sua parte mentre la musica si spegne dopo di lui, quasi come se lo seguisse fuori dallo studio di registrazione. 

Mark Lanegan – The Winding Sheet

Mark Lanegan - The Winding Sheet

Basterebbe solo questo “Mi ispiro a Jeffrey Lee Pierce. Pochi lo conoscevano, ma io ero un fan dei Gun Club“… evviva! Finalmente nel nostro spazio digitale giunge il buon Mark Lanegan, ovvero il fratello gemello di Will Ferrell e Chad Smith. 

Se qualcuno di voi è andato a controllare le date di nascita dei tre, notando delle discrepanze, non è colpa mia. Babbi che non siete altro. E se non l’aveste notato, è tornata la rubrica “Alegher, Alegher!”. 

The Winding Sheet è il disco d’esordio da solista di Mark Lanegan, che apre questa parentesi tra un disco e l’altro degli Screaming Trees dimostrando di avere un percorso più a fuoco ed interessante rispetto a quanto fatto con la band… un po’ come è avvenuto per Elliott Smith con gli Heatmiser 

Il risultato è un disco profondamente grunge – più lato Alice In Chains e Nirvana che all’altra frangia di Seattle – che si trascina di canzone in canzone con forza di volontà in un viaggio all’interno del proprio stato d’animo tormentato, contribuendo a formare alcuni dei cliché del cantautorato folk maschile contemporaneo. Per questo motivo, ascoltandolo oggi potreste avere la percezione di qualcosa di trito e ritrito… ma provate a tornare indietro agli inizi anni ‘90, immaginatevi quelle atmosfere e ne riparliamo. “Non sono il tipo dalla storia interessante. Sono solo un musicista che cerca di fare dischi per essere felice ed in pace con sé stesso”, questo riporta una delle sue prime interviste, una di quelle situazioni che Mark affronta con timidezza ed ermetismo capace di annichilire chi si occupa di fargli le domande. 

Il disco è un caposaldo del grunge, non lo scrivo tanto per… effettivamente le prove corroborano quanto riporto. Siamo nel 1989, quando Kurt Cobain e Mark Lanegan si prendono una bella sbornia insieme e decidono di buttar su una band insieme… parliamo dei The Jury la band che non vedrà mai la luce, composta da Mark Pickerel alla batteria e Krist Novoselic al basso, oltre che CobainLanegan. I due riescono anche a convincere Jonathan Poneman – il co-fondatore della Sub Pop – a registrare. 

Quando Marco e Curzio si presentano in studio non hanno di fatto nulla di pronto “sai abbiamo buttato giù un po’ di canzoni, ma non le abbiamo registrate e non ce le ricordiamo [seee… come no ndr]… facciamo qualcosa di Lead Belly al posto dell’altra roba”. Lead Belly, ve lo ricordate? Ogni tanto il suono nome compare nel nostro spazio digitale, probabilmente nel prossimo futuro gli dedicherò maggiori attenzioni considerando quanto abbia influenzato tutti quanti. Lanegan ricorda questo aneddoto aggiungendo “[Lead Belly] era uno di quelli che io e Kurt apprezzavamo e ascoltavamo insieme”. 

In questa sessione viene registrata una versione di Where Did You Sleep Last Night, che poi i Nirvana riproporranno nel famoso Unplugged (live fortemente ispirato da Winding Sheet, uno dei dischi preferiti di Dave Grohl). Fatto sta che progressivamente i due perdono interesse nel progetto e lo lasciano scivolare senza troppi patemi d’animo, al che la Sub Pop intuisce comunque il potenziale della situazione e propone a Lanegan di registrare il proprio album solista. 

Novoselic e Cobain vengono rimpiazzati da Jack Endino e Mick Johnson – il co-autore della maggior parte dei brani del disco, sostituto di Lou Barlow nei Dinosaur Jr., noché produttore del disco – anche se la presenza di Kurt Cobain resta nei cori di Where Did You Sleep Last Night e in Down In The Dark, a testimoniare che The Jury seppur per un breve periodo è esistito veramente e avrebbe garantito a tutti noi qualcosa di memorabile, chissà… forse qualcosa di simile ai Temple Of The Dog (in chiave più leggera, se leggera può essere una parola da associare al grunge e alle persone che lo hanno reso uno dei movimenti socio-culturali più influenti del secolo scorso). 

Dinosaur Jr – You’re Living All Over Me

Dinosaur Jr - You're Living All Over Me

I piccoli Dinosauri hanno cesellato con dovizia e con una semplicità estrema il concetto di indie rock, un punk ordinato e una effettistica per chitarra che – coadiuvata dalla svogliatezza e disinvoltura di Mascis nel suonare – ha prodotto uno degli album più particolari e degni di nota degli anni ’80. Si anticipa tutto quello che poi verrà col grunge, dove la svogliatezza verrà sostituita dal rancore,  nel quale persisterà quel rumore di base che contraddistingue il sound della generazione X, una sorta di cuscinetto che tende a proteggere idealmente da quello che la vita ha tenuto in serbo per loro. Questo è l’album che indirizzerà i Nirvana e l’ala meno grunge del grunge, dove la distorsione della chitarra fa tutto – in comune con Cobain, il cugino It dei Dinosauri ha anche una Fender Jaguar, con la quale ricordiamo le volate chitarristiche di Curzio. Per trovare un altro anello a questa catena, possiamo dire che l’ispiratore dei riff e del ritmo “blando e scazzato” dei Dinosaur Jr è sicuramente Neil Young, col quale anche Cobain bene o male sarà ricollegato per la sua lettera d’addio.

Inoltre ha un filo comune con gli R.E.M. forse uno dei più importanti esempi di vero Indie Rock, un filo rosso che in dieci anni racchiude quello che l’America è e diverrà.

Mascis è il capetto sfigato che scatenerà diatribe con Barlow, allontanato nel 1989, ma quest’album aldilà delle supercazzole atomiche che ho raccontato finora, è fondamentale in quanto è uno dei pochi capolavori di genere Alternative/Rock fuoriusciti da quel medioevo musicale di nome “Anni’80”, ha un sound riconducibile agli anni ’90, ma al tempo stesso non ha quella pesantezza caratteristica della prima parte dei ninetees.

I Dinosauri sono una evoluzione naturale (o se vogliamo una necessità di sopravvivenza) dei Deep Wound – un gruppo che scoreggiava note e cazzutaggine, suonando hardcore e talvolta sfociando anche nel grindcore e nel death metal.

Il destino agisce in modi inaspettati e il Grande Tessitore volle che Mascis Barlow sconfiggessero la pubertà, ascoltassero nuovi generi e valutassero la possibilità di scrivere musica a ritmi più “rilassati” rispetto al passato.

Mascis dalla batteria passa alla chitarra, Barlow dalla chitarra al basso, alla batteria Murph completa la nuova formazione. Al Dinosaur, del nome iniziale, viene aggiunto un Jr. per evitare beghe legali dagli altri Dinosaur presenti (band composta da ex-Quicksilver ed ex-Jefferson Airplane).  L’idea del gruppo era quella di riproporre tutta la vecchia e nuova musica con una base di hardcore, il lascito di questo album è enorme, un pungolo ed una necessità soggetiva da parte dei Dino di migliorare le basi della musica. Perciò questo album resta sempre una trave portante posta dai Dinosaur Jr sul quale regge tutto quello che verrà poco dopo… come disse Mascis Barlow – durante il tour da spalla dei Dino ai Sonic Youth – : “You’re Living all over me”.

R.E.M. – Monster

 

REM - Monster

“Qual è la frequenza Kenneth?”

Siamo a New York ed è il 1986, quando due assalitori prendono di mira il reporter Dan Rather. La missione vitale dei due è scoprire la frequenza della trasmissione dei messaggi subliminali – dentro la loro testa – da parte dei media. E’ tutta una faccenda di scie chimiche e berretti di carta stagnola.

La Generazione X e la sua relazione con i mezzi di comunicazione di massa, ci viene cantata da Stipe in What’s the Frequency, Kenneth? La riflessione dietro al brano è la seguente: ” ho scritto di un protagonista che cerca di capire le motivazioni dietro le nuove generazioni, […] alla fine della canzone ciò che resta è completamente fasullo, non c’è nulla”. Buck in seguito ha rivelato che il ritmo della coda è in costante rallentamento per via dell’appendice di Mills – infiammatasi a fine registrazione. Ricoverato d’urgenza, la canzone non subirà ritocchi è verrà mantenuta come tutti la conosciamo.

Aldilà della coda in What’s the Frequency, Kenneth? Monster è sicuramente uno dei lavori più riconoscibili degli arriem, per lo stile graffiante di Buck alla chitarra, ma anche per l’interpretazione che Stipe offre nei brani dell’album (tra falsetti e reading teatrali). C’è un palese cambio di passo dopo i precedenti Out Of Time e Automatic For The People. La ricerca di un sound differente basata sull’utilizzo di una ampia gamma di strumenti acustici, viene soppiantato da una formazione classica e dai volumi elevati delle chitarre e delle distorsioni. Gli R.E.M. portano in studio 45 brani, di cui molti acustici, Stipe prende l’abitudine di cantare delle idee di canzone – sulla linea di basso – mentre è steso sul divanetto degli studi, con questo metodo ha scritto molti dei testi presentati poi in Monster.

Il 1994 non è solo l’anno di pubblicazione di Monster, è un crocevia musicale non indifferente: il Grunge comincia il suo rapido declino, Kurt Cobain si suicida e Stipe scriverà per lui Let Me In. L’intero album viene invece dedicato alla memoria dell’altro amico di Stipe River Phoenix (la sorella Rain farà da coro su Bang and Blame – cavallo di battaglia della band). Questi lutti definiscono in modo sostanziale MonsterStipe li subisce emotivamente, venendo colpito da un blocco creativo.

La prima canzone che vede la luce successivamente a questi eventi è Crush With Eyeliner – anche in questo caso per i cori la band si avvale di un ospite d’onore, Thurston Moore dei Sonic Youth – brano fortemente ispirato dai New York Dolls e dalla loro capacità di “esagerare”. Il videoclip è diretto da Spike Jonze, collaborazione che proseguirà in Essere John Malkovich, film prodotto da Stipe pochi anni dopo.

Strange Currencies, è il singolo che viene rilasciato ad un anno dalla scomparsa di River Phoenix, e vede nel videoclip la comparsa di Samantha Mantis (ultima ragazza dell’attore). Per via della somiglianza melodica con Everybody Hurts, la band lavorò in modo determinato sul ritmo per differenziarla.

La chiusura dell’articolo è dedicata a Tongue, canzone rigorosamente in falsetto che parla di cunnilingus. Nel 1995, durante l’esecuzione di questo brano, Bill Berry abbandona il palco per un mal di testa, che poi sfocerà nell’aneurisma cerebrale che lo porterà a lasciare la band.

Ad ogni ascolto della canzone dal vivo, Berry non nasconde di provare una forte senso di angoscia… supponiamo non sia legato al discorso cunnilingus.

Soundgarden – Superunknown

Soundgarden - Superunknown

Il 1994 è un anno importante per la storia del rock, la morte di Cobain, l’uscita di Vitalogy (album sperimentale dei Pearl Jam) e l’uscita di Superunknown sono il canto del cigno del Grunge che chiude una parentesi gloriosa della storia rock, quella che ha visto una città della West Coast, Seattle, grazie alla presenza del gotha musicale di quegli anni, ergersi a portavoce del disagio provato dalla stragrande maggioranza dei giovani.

Superunknown si discosta dai precedenti lavori dei Soundgarden distinti da un sound metal bello pesante; per questa ragione gran parte dello zoccolo duro dei fan ha tacciato la band di essersi commercializzata (peccato originale per i gruppi Grunge).

Qui si da il via libera alla sperimentazione e a sonorità psichedeliche gestite alla grande dalla chitarra di Kym Thayil (che infonde anche influenze orientali al tutto), assieme ad una maggiore autonomia ed attenzione nella scrittura, nella creazione e nell’arrangiamento. Le canzoni vengono registrate una alla volta con la precedenza data alle parti di basso e batteria e le successive sovraincisioni di chitarre e voci a completare il tutto. Alla base del disco, come per tutte le opere Grunge, ci sono storie di vita vissuta in prima persona dagli artisti, tematiche come la depressione, il suicidio, l’abuso di sostanze stupefacenti, che rendono il lavoro criptico e cupo (argomenti già trattati da Neil Young, antesignano del movimento).

La canzone simbolo di questo capolavoro è sicuramente Black Hole Sun, scritta in un quarto d’ora da Chris Cornell, deve il suo nome ad una scultura a forma di ciambella con un buco in mezzo dal quale è possibile guardare l’orizzonte, presente in un parco di Seattle. Cornell ha messo insieme delle visioni suggestive ed edulcorate della realtà, giocando con le parole ed evidenziando la mancanza di un tema portante, un non-sense che ne esalta la psichedelia. Il successo di questo brano è frutto anche del video che ha accompagnato l’ascesa mediatica del gruppo tra i più. Un videoclip con colori carichi, angosciante e apocalittico, deprimente, surreale, grottesco e a tratti ridicolo ispirato alle opere di David Lynch e al celebre telefilm Doctor Who.

Un altro brano che contraddistingue quest’album è il primo singolo estratto da Superunknown, ovvero Spoonman. Scritta inizialmente per il film Singles di Cameron Crowe (che ha visto come protagonisti i principali gruppi della scena di Seattle), il brano è stato rielaborato ed introdotto nell’album. Il titolo è stato suggerito da Jeff Ament, bassista dei Pearl Jam, ed è un tributo ad Artis the Spoonman, l’artista di strada che suona i cucchiai in quel di Seattle.

La cover dell’album è una rappresentazione fotografica distorta dei volti dei membri della band sopra ad una foresta in fiamme rovesciata, un concetto rovesciato al concetto stesso trasmesso dal nome stesso della band (ovvero un parco fiorito e rigoglioso).

Pearl Jam – Vitalogy

Pearl Jam - Vitalogy

Svolta sperimentale per i Pearl Jam reduci dal doppio successo di Ten e Vs., la terza fatica in studio della band di Seattle è importantissima, non solo perché ci viene consegnato un album di uno spessore artistico eccezionale, ma anche perché dimostra che i Pearl Jam non sono solamente quelli visti nei primi due album, ma musicisti pronti a sperimentare e ad uscire dai propri confini, qualità che gli permetterà in futuro la sopravvivenza ed il mantenimento di un’identità propria mai messa in discussione in più di 20 anni di carriera.

Vitalogy è stato registrato durante il tour di Vs. ed è stato rilasciato prima in vinile (in quanto Eddie Vedder è un feticista dei vinili) e successivamente in CD. Sicuramente il packaging ha influito molto nelle vendite dell’album, l’artwork si rifà totalmente ad un libro medico di inizio ‘900 il Vitalogy che letteralmente significa “studio della vita”, trovato da Eddie Vedder in un mercatino dell’usato. I contenuti del Vitalogy non sono stati importati nel booklet per questioni di copyright, contenuti perciò sostituiti con documenti, schizzi, appunti sul benessere e sulla salute, riflessioni sulla vita e sulla morte, commenti alle canzoni, poemi (come nel caso di Aye Davanita brano strumentale che però nel booklet è presente sotto forma di poema). E’ stata inserita anche una lastra dei denti dello stesso Vedder accanto alla pagina dedicata a Corduroy.

Gli equilibri all’interno della band cominciano a spostarsi, Vedder ha sempre più voce in capitolo nelle scelte della band, ora contribuisce anche come chitarrista, e stranamente, in questo caso, con 3 chitarre presenti vi è una penuria di assoli rispetto ai precedenti lavori. McCready lo definisce per questo motivo un album prettamente “ritmico”.

Questo è l’aspetto che forse lo rende più originale e canzoni come Aye Davanita, Pry, To (il ritornello continuo “P-R-I-V-A-C-Y is priceless to me” è una preghiera che Vedder rivolge ai suoi fan, il grunge essendo esploso come una bomba in mano, in pochi attimi ha portato celebrità a dei ragazzi con una vita normalissima e che volevano solamente esprimere i loro sentimenti rancorosi verso una società incapace di comprenderli, ad esempio Cobain non è riuscito a salvarsi), Bugs (dove Vedder suona la fisarmonica) e Hey Foxymophandlemama, That’s Me (una specie di Revolution 9 degli anni ’90, creata assemblando registrazioni reali di alcuni pazienti di un ospedale psichiatrico) portano a galla la voglia di novità, di slegarsi in parte dal concetto passato di Pearl Jam.

Vedder si sente vulnerabile, i suoi testi vengono travisati da gran parte della gente e ciò lo rende triste e arrabbiato, questa contraddizione lo spinge a scrivere Not For You (un’accusa verso l’industria discografica e la Ticketmaster, una guerra portata avanti dai Pearl Jam per garantire dei concerti ad un prezzo accessibile) e Corduroy (che cerca di esporre la relazione di una persona con milioni di fan).

Poi c’è Betterman (che assieme a Nothingman e Letherman compone il ManTrio) ballata, scritta da Vedder durante le scuole superiori, che parla di una donna intrappolata in una relazione infelice (e come molte canzoni dei Pearl Jam dei primi tempi, è autobiografica).