Temple of The Dog – Temple of The Dog (parte II)

Temple of the Dog - Temple of the Dog

Gossard, Ament e Cornell sono letteralmente devastati dalla morte di Wood. Più volte nel corso degli anni hanno affermato che la morte di Andy (una vera e propria forza della natura costretta impotente, sul letto) li ha privati della loro innocenza, del sentirsi giovani belli e immortali, portandoli ad una riflessione sulle loro vite.

Nel frattempo nella scena di Seattle si affaccia un giovane benzinaio e surfista di San Diego, che fa recapitare una demo tape (con appunto le demo di Once, Alive e Footstep) a Gossard e Ament… il suo nome è Eddie Vedder.

Vedder riesce a colmare – con la sua timidezza, il suo carisma introverso e la sua voce – il vuoto lasciato dalla morte di Wood, fungendo da stimolo per  Cornell che in lui vede una fonte d’ispirazione pari a quella di Andy.

E’ da questa concatenazione di eventi (semplificati all’osso) che nasce il progetto dei Temple of The Dog (nome derivante dalla canzone dei Mother Love Bone Man of Golden Words), un disco tributo a Andy Wood nato per volontà di Cornell (ispirato dalla morte dell’amico ha scritto 2 brani) che contattati Gossard e Ament propone loro di registrare i pezzi da lui ideati per tirarne fuori un singolo. Al gruppo si aggiungono Matt Cameron (batterista dei Soundgarden e successivamente dei Pearl Jam), Mike McCready ed Eddie Vedder.

Dal singolo si è passati alla creazione di un album che ha una vera è propria punta di diamante in Hunger Strike, dove le voci di Vedder e Cornell si incontrano in maniera continuativa fino a sembrare un’unica cosa, sopra ad un arpeggio magnetico e persuasivo. Il videoclip, che come nella maggior parte dei casi negli anni ’90 non ha senso, ci mostra prima Cornell solo in casa, con delle formiche allegre sopra un piatto che gli fanno compagnia… l’immagine switcha sugli membri della superband intenti a suonare il pezzo per tutta la giornata in riva al lago senza amplificatori e microfoni mentre un falò si accende dal nulla e Cornell li raggiunge. Sembra una cagata da come l’ho detto, ed effettivamente lo è… ma è fico lo stesso perciò fanculo l’arte concettuale e la ricerca di un senso forzato ad ogni cosa.

La pecca di questo singolo è stata il mancato successo di Hunger Strike nel breve periodo. Esso, difatti, è stato pubblicato prima dell’esplosione dei Pearl Jam e a livello commerciale questo ha penalizzato le vendite. La ripubblicazione successiva all’uscita di Ten ha fatto impennare gli acquisti, ma purtroppo è costata per un po’ la reputazione di Soundgarden e Pearl Jam accusati di commercializzazione e ruffianeria. Peccato originale del Grunge.

Temple of The Dog – Temple of The Dog (parte I)

Temple of the Dog - Temple of the Dog

Quando penso al concetto di superband è difficile per me non focalizzare l’attenzione sui Temple of The Dog. Molti di voi non conosceranno questo progetto… per carità, ce ne sono state a bizzeffe, come non pensare ai: Cream; Crosby, Stills, Nash & Young; Emerson, Lake & Palmer; Rockestra; Traveling Wilburys; Mad Season; Audioslave; Them Crooked Vultures

Però i Temple of The Dog a mio avviso spaccano di brutto e meritano di essere approfonditi prima di tutti gli altri.

Premessa…

Seattle è una città in fermento che sta vivendo una delle più importanti rivoluzioni culturali/musicali. Seattle è sicuramente paragonabile alla Firenze della metà del XIV secolo, e il Grunge è un Rinascimento musicale.

Il Grunge è un fenomeno esploso come una supernova e già consolidato in un battito di ciglia… non è  circoscrivibile solamente ai bermuda, ai capelli lunghi, ai calzettoni di spugna e alle Doc Martens. Dalla Emerald City emergono gruppi del calibro di Alice in Chains, Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden.

Prima dell’ascesa di queste grandissime band, Stone Gossard, Jeff Ament (futuri creatori dei Pearl Jam) e Bruce Fairweather provenienti dai Green River, coinvolgono nel loro progetto il vocalist dei Malfunkshun, tale Andrew Wood creando i Mother Love Bone.

I Mother Love Bone sono una band ibrida che prepara il terreno all’ascesa del Grunge a Seattle, riuscendo a guadagnarsi il rispetto di tutte le band della zona (annoverando tra i vari gruppi spalla persino gli Alice in Chains) grazie al carisma ed al fascino dello stesso Wood, vero e proprio guru ed ispiratore delle band emergenti.

Andrew Wood è stato anche coinquilino di Chris Cornell col quale molto spesso ha collaborato aiutandolo nella stesura dei testi e nella creazione delle armonie dei brani. Nel periodo parallelo alla lavorazione dell’album dei Mother Love Bone, Wood comincia ad affrontare dei seri problemi di tossicodipendenza che degenerano in breve tempo e lo inducono ad un coma che si protrae per 3 giorni (giusto il tempo per dare l’opportunità ai suoi conoscenti di salutarlo per l’ultima volta) sino alla morte.

Questo è l’evento che porterà alla creazione dei Temple of The Dog… per maggiori dettagli, seguite il prossimo post 😉

Soundgarden – Superunknown

Soundgarden - Superunknown

Il 1994 è un anno importante per la storia del rock, la morte di Cobain, l’uscita di Vitalogy (album sperimentale dei Pearl Jam) e l’uscita di Superunknown sono il canto del cigno del Grunge che chiude una parentesi gloriosa della storia rock, quella che ha visto una città della West Coast, Seattle, grazie alla presenza del gotha musicale di quegli anni, ergersi a portavoce del disagio provato dalla stragrande maggioranza dei giovani.

Superunknown si discosta dai precedenti lavori dei Soundgarden distinti da un sound metal bello pesante; per questa ragione gran parte dello zoccolo duro dei fan ha tacciato la band di essersi commercializzata (peccato originale per i gruppi Grunge).

Qui si da il via libera alla sperimentazione e a sonorità psichedeliche gestite alla grande dalla chitarra di Kym Thayil (che infonde anche influenze orientali al tutto), assieme ad una maggiore autonomia ed attenzione nella scrittura, nella creazione e nell’arrangiamento. Le canzoni vengono registrate una alla volta con la precedenza data alle parti di basso e batteria e le successive sovraincisioni di chitarre e voci a completare il tutto. Alla base del disco, come per tutte le opere Grunge, ci sono storie di vita vissuta in prima persona dagli artisti, tematiche come la depressione, il suicidio, l’abuso di sostanze stupefacenti, che rendono il lavoro criptico e cupo (argomenti già trattati da Neil Young, antesignano del movimento).

La canzone simbolo di questo capolavoro è sicuramente Black Hole Sun, scritta in un quarto d’ora da Chris Cornell, deve il suo nome ad una scultura a forma di ciambella con un buco in mezzo dal quale è possibile guardare l’orizzonte, presente in un parco di Seattle. Cornell ha messo insieme delle visioni suggestive ed edulcorate della realtà, giocando con le parole ed evidenziando la mancanza di un tema portante, un non-sense che ne esalta la psichedelia. Il successo di questo brano è frutto anche del video che ha accompagnato l’ascesa mediatica del gruppo tra i più. Un videoclip con colori carichi, angosciante e apocalittico, deprimente, surreale, grottesco e a tratti ridicolo ispirato alle opere di David Lynch e al celebre telefilm Doctor Who.

Un altro brano che contraddistingue quest’album è il primo singolo estratto da Superunknown, ovvero Spoonman. Scritta inizialmente per il film Singles di Cameron Crowe (che ha visto come protagonisti i principali gruppi della scena di Seattle), il brano è stato rielaborato ed introdotto nell’album. Il titolo è stato suggerito da Jeff Ament, bassista dei Pearl Jam, ed è un tributo ad Artis the Spoonman, l’artista di strada che suona i cucchiai in quel di Seattle.

La cover dell’album è una rappresentazione fotografica distorta dei volti dei membri della band sopra ad una foresta in fiamme rovesciata, un concetto rovesciato al concetto stesso trasmesso dal nome stesso della band (ovvero un parco fiorito e rigoglioso).

Pearl Jam – Vitalogy

Pearl Jam - Vitalogy

Svolta sperimentale per i Pearl Jam reduci dal doppio successo di Ten e Vs., la terza fatica in studio della band di Seattle è importantissima, non solo perché ci viene consegnato un album di uno spessore artistico eccezionale, ma anche perché dimostra che i Pearl Jam non sono solamente quelli visti nei primi due album, ma musicisti pronti a sperimentare e ad uscire dai propri confini, qualità che gli permetterà in futuro la sopravvivenza ed il mantenimento di un’identità propria mai messa in discussione in più di 20 anni di carriera.

Vitalogy è stato registrato durante il tour di Vs. ed è stato rilasciato prima in vinile (in quanto Eddie Vedder è un feticista dei vinili) e successivamente in CD. Sicuramente il packaging ha influito molto nelle vendite dell’album, l’artwork si rifà totalmente ad un libro medico di inizio ‘900 il Vitalogy che letteralmente significa “studio della vita”, trovato da Eddie Vedder in un mercatino dell’usato. I contenuti del Vitalogy non sono stati importati nel booklet per questioni di copyright, contenuti perciò sostituiti con documenti, schizzi, appunti sul benessere e sulla salute, riflessioni sulla vita e sulla morte, commenti alle canzoni, poemi (come nel caso di Aye Davanita brano strumentale che però nel booklet è presente sotto forma di poema). E’ stata inserita anche una lastra dei denti dello stesso Vedder accanto alla pagina dedicata a Corduroy.

Gli equilibri all’interno della band cominciano a spostarsi, Vedder ha sempre più voce in capitolo nelle scelte della band, ora contribuisce anche come chitarrista, e stranamente, in questo caso, con 3 chitarre presenti vi è una penuria di assoli rispetto ai precedenti lavori. McCready lo definisce per questo motivo un album prettamente “ritmico”.

Questo è l’aspetto che forse lo rende più originale e canzoni come Aye Davanita, Pry, To (il ritornello continuo “P-R-I-V-A-C-Y is priceless to me” è una preghiera che Vedder rivolge ai suoi fan, il grunge essendo esploso come una bomba in mano, in pochi attimi ha portato celebrità a dei ragazzi con una vita normalissima e che volevano solamente esprimere i loro sentimenti rancorosi verso una società incapace di comprenderli, ad esempio Cobain non è riuscito a salvarsi), Bugs (dove Vedder suona la fisarmonica) e Hey Foxymophandlemama, That’s Me (una specie di Revolution 9 degli anni ’90, creata assemblando registrazioni reali di alcuni pazienti di un ospedale psichiatrico) portano a galla la voglia di novità, di slegarsi in parte dal concetto passato di Pearl Jam.

Vedder si sente vulnerabile, i suoi testi vengono travisati da gran parte della gente e ciò lo rende triste e arrabbiato, questa contraddizione lo spinge a scrivere Not For You (un’accusa verso l’industria discografica e la Ticketmaster, una guerra portata avanti dai Pearl Jam per garantire dei concerti ad un prezzo accessibile) e Corduroy (che cerca di esporre la relazione di una persona con milioni di fan).

Poi c’è Betterman (che assieme a Nothingman e Letherman compone il ManTrio) ballata, scritta da Vedder durante le scuole superiori, che parla di una donna intrappolata in una relazione infelice (e come molte canzoni dei Pearl Jam dei primi tempi, è autobiografica).

Radiohead – The Bends

Radiohead - The Bends

Dopo Pablo Honey, disco di partenza e puro calderone di generi musicali, The Bends è il lavoro che fotografa l’identità che i Radiohead hanno deciso di vestire, una ricerca di sonorità e una depressione di fondo che contraddistingueranno tutti gli album a venire. “Riconoscibilità” è  il sostantivo adatto per spiegare quest’album, tale “riconoscibilità” è stata cercata dalla band (su tutti da Jonny Greenwood) al fine di prendere le distanze dal successo troppo commerciale e popular ottenuto tramite i singoli di Pablo Honey, uno su tutti Creep, canzone richiesta incessantemente durante ogni loro concerto (l’odio dei Radiohead verso Creep è risaputo, forse per questo motivo Thom Yorke, sfregandosi le mani e ammiccando con l’occhio birbo, ha deciso di accordare a Vasco il permesso di farla odiare anche ai più). Il lavoro è stato immediatamente acclamato ed incensato dalla critica che ne ha esaltato le doti e lo ha posto nell’Olimpo delle pietre miliari del rock. Alcuni brani come Fake Plastic Trees e Street Spirit (Fade Out) sono prodromi di OK Computer, le tematiche dei testi, influenzate dal periodo di stallo vissuto tra Yorke e il resto della band, sono state sviluppate durante il tour americano e sono una critica aspra verso la società dell’epoca.

Just è forse il pezzo più rappresentativa, con quell’assolo finale che ti entra in testa e con quel ritmo ipnotico che stordisce (la canzone è dedicata ad un amico vanesio di Yorke).

La celebrità di questo brano è legata al videoclip che oltre a mostrare la band che suona e si affaccia alla finestra per vedere cosa accade, ritrae un tipo che si sdraia in mezzo ad un marciapiede attirando l’attenzione di gente curiosa che cerca di capire cosa sia successo, la conversazione tra queste persone, riportata agli spettatori mediante dei sottotitoli, raggiunge un climax che porta loro a chiedere al tizio sdraiato il perché del suo gesto. Lui risponde senza problemi ma quei simpaticoni dei Radiohead tolgono i sottotitoli e noi non capiamo un cazzo. Fatto sta che alla fine tutti si sdraiano sul marciapiede… lo so, detto così è una merda, ma che ci volete fare. Secondo alcuni detrattori sia il regista che la band non hanno mai saputo cosa far dire al tipo sdraiato, lavandosene le mani e togliendo i sottotitoli. Secondo altri le parole pronunciate potrebbero essere “Il fondo è la nuova vetta” o “I Radiohead sono alla finestra”, che dimostrerebbe già quanto il loro ego fosse spropositato sin dagli inizi.

High and Dry proviene dalle sessioni di registrazione di Pablo Honey, scartata perché a detta della band troppo simile ad un pezzo di Rod Stewart, è stata poi introdotta senza eccessivi patemi d’animo in The Bends.

Fake Plastic Trees, è nata dopo un concerto di Jeff Buckley, la band aveva trovato delle difficoltà nel concepimento di questo brano e una pausa presa per andare a vedere il concerto di Buckley è stata provvidenziale, il fascino esercitato dal cantautore statunitense ha aiutato la band a trovare la strada giusta per il completamento della canzone.

Street Spirit (Fade Out) è la tipica canzone che ti induce al suicidio, bella, bellissima, ma da non sentire durante una crisi depressiva. Lo stesso Yorke ha descritto questo pezzo come un tunnel oscuro senza la luce alla fine… insomma un segnale di speranza. Per chi volesse tagliarsi le vene e cercasse ispirazione, è stata coverizzata anche da Peter Gabriel (se siete alla ricerca di stimoli per non vivere più, ve la consiglio).

L’artwork è stato curato da Stanley Donwood in collaborazione con “sòtuttoio” Yorke, che originariamente aveva in mente di utilizzare per la copertina un polmone d’acciaio salvo poi cambiare idea. La cover è stata fatta all’ultimo minuto con una foto edulcorata di un fantoccio medico con la faccia di Yorke.

Beck – Midnite Vultures

Beck - Midnite Vultures

Il 1999 è un anno prolifico musicalmente parlano, possiamo citare 13 dei Blur o Cousteau dell’omonima band, ma anche capolavori nazionali del calibro di Cristina D’Avena e i tuoi amici in TV 12 (volevo fare il figo ma non mi vengono in mente album targati 1999), il Millennium Bug ed il Giubileo sono alle porte e Nostradamus, antesignano mediatico dei Maya, minaccia i nostri sogni con previsioni apocalittiche.

In molti hanno criticato l’ultima pubblicazione del folletto alternative-underground di Los Angeles, ambasciatore e voce dei diritti di una Generazione X che ha contribuito al boom e all’espansione di MTV (quello vero, con la musica vera… non quel manipolo di vacche e ritardati che ci viene propinato ora), Beck Hansen (cognome materno) all’anagrafe Beck David Campbell, conosciuto semplicemente come Beck, ha cercato di variare questa volta, dopo Mellow Gold ed il super successo di Odelay, ma soprattutto dopo i suoni acustici di Mutations prova a sorprenderci con Midnite Vultures. Disco accolto tiepidamente da alcuni critici ed euforicamente da altri, supportato da un importante tour mondiale.

Innanzitutto la prima cosa che salta all’occhio è la cover, un collage misto all’uso di Paint (per chi non se lo ricordasse è uno dei software grafici più belli e versatili mai esistiti) che è stata creata a quattro mani da Beck e Michel Gondry.

Dal punto di vista musicale invece ciò che ha sempre contraddistinto Beck sinora è la pura sperimentazione, che anche in questo caso viene riproposta spaziando tra una moltitudine di generi musicali. Si possono sentire difatti delle influenze alla Prince nei falsetti, al funky di fine anni ’70, ai Kraftwerk e ai Velvet Underground.

La tracklist parte forte con Sexx Laws primo singolo dell’album, accompagnato da un video musicale diretto dallo stesso Beck che annovera Jack Black tra i protagonisti. Questo capolavoro visivo-concettuale è un tributo al film Mr.Freedom di William Klein, oltre alla presenza dei giocatori di football si aggiunge una chiave totalmente surreale che trova l’apice in un manichino con la testa da zebra che gira su se stesso suonando il banjo e in alcune ricostruzioni di B-movies degli anni a cavallo tra i ’60-’70 (sono presenti diverse versioni del video tra le quali una di 18 minuti!).

Anche Nicotine & Gravy, Mixed Bizness e Debra (rispettivamente traccia numero 2,3 e 11) sono accompagnate da dei video fighissimi stile fattoincasa-trash-grottesco-visionario-alternativo e quando dico alternativo intendo alternativo nel vero senso della parola (oggigiorno lemma troppo inflazionato nel contesto italiano, considerando che solitamente con musica alternativa italiana io intendo musica demmerda, comunque difficilmente Beck fallisce un videoclip). Debra è stata concepita per Odelay, ma la pubblicazione è slittata sino a Midnite Vultures.

Menzione d’onore va a Hollywood Freaks… che canzone!

P. S. Beck è un illuminato dalla Suprema Chiesa di Scientology (non credo sia il termine giusto per etichettare i seguaci di questa setta/credo o quello che è, fatto sta che mi piaceva definirlo in questa maniera) così come tanti altri artisti di egual caratura come ad esempio Tom Cruise, John Travolta, Will Smith, il compianto Isaac Hayes, Catherine Bell, Kirstie Alley, Giovanni Ribisi e Roby Facchinetti (perché inserire questa lista di gente affiliata a Scientology? Perché inserire Facchinetti? Non lo so, però aggiungo che la moglie di Beck è la sorella di Giovanni Ribisi, e dopo questo spazio Gossip disattivo la modalità Signorini e incrocio le dita per una collaborazione tra Facchinetti e Beck).

Blur – Parklife

Blur - Parklife

Il 1994 è l’anno del Britpop: Oasis, Suede, Pulp, Blur… chi più ne ha più ne metta! Tre aggettivi per definire la maggior parte di loro? Prolifici, meteore e teste di cazzo. Simpatici come la candeggina negli occhi, con la spocchia di chi è andato a dormire senza bere la tazza di thè delle 6 p.m.

Il terzo album dei Blur è il disco che consacra il Britpop, un successo commerciale e di critica che aiuta l’effettiva esplosione di questo nuovo movimento, l’album che li spinge un gradino più in alto rispetto agli Oasis del periodo (guerra senza esclusione di colpi con battute pesanti da entrambi i lati, naturalmente la palma degli stronzi di turno va ai fratelli Gallagher, mentre i Suede sono tagliati fuori dal litigio). Albarn, al termine delle registrazioni di Modern Life is Rubbish, comincia a buttar giù canzoni su canzoni, pezzi pop con un tocco New-wave e anche “barrettiani”, basandosi sul suo senso critico e cinico.

Il grande ostacolo alla realizzazione di Parklife è rappresentato dalla pessima condizione finanziaria in cui versa la band che ha indotto i membri a registrare in studio nel minor tempo possibile.

Questo lavoro, grazie anche alla chitarra di Graham Coxon, riesce a ritrarre in maniera abbastanza fedele, come se fosse un’istantanea, l’Inghilterra di quel periodo, i comportamenti e le sonorità tipiche degli anni ’90.

Girl & Boys è stata una delle canzoni più redditizie per i Blur, canzone a primo acchito semplice ma con una struttura musicale più complessa di quel che si pensi (tant’è che un altro simpaticaccio della musica inglese, Thom Yorke, ha dichiarato che è la canzone che gli sarebbe piaciuto scrivere), accompagnata da un videoclip abbastanza divertente nella sua bruttezza che vede la presenza degli stessi Blur che eseguono la canzone mentre sullo sfondo vengono mandati degli spezzoni di gente in vacanza.

Per l’artwork del singolo Girl & Boys la scelta è ricaduta su un’immagine di una scatola di Durex.

Inizialmente, il produttore aveva optato per un album che avrebbe dovuto chiamarsi London, con un carro pieno di frutta e verdura presente nella cover, questa idea naturalmente è stata scartata e da quel momento in poi il produttore è stato estromesso dal processo creativo. La scelta, poi, è ricaduta su una foto che ritrae una corsa di cani in un cinodromo (una delle attrazioni più grandi per gli anglosassoni) ed il nome è cambiato in Parklife.

La cover in questione è stata scelta, assieme ad altre 9 cover di album, dalla “Royal Mail” per la stampa di una collezione di francobolli basata sui 10 artworks più rappresentative della storia britannica.

Depeche Mode – Ultra

Depeche Mode - Ultra

Nono album per i Depeche Mode, il primo senza Alan Wilder, il 1997 è considerato l’anno della rinascita del gruppo, e non solo. Dave Gahan, dopo aver tentato il suicidio negli States nel 1995, nell’anno seguente è stato dichiarato morto per 3 minuti dai suoi soccorritori per colpa di una overdose da speedball (sempre negli States, precisamente sempre in California, stato più rigido della signorina Rottermayer). La nuova esistenza lo pone di fronte ad una scelta da fare: dire stop alle droghe o essere espulso dagli Stati Uniti.

La disintossicazione funziona e Gahan torna più forte che mai, anche se il disco risulta veramente dark. I testi di Gore e le vicissitudini passate recentemente culminano nella definitiva maturazione musicale della band, poliedrica mescolanza di stili che dimostra quanto di straordinario fatto sinora da questo gruppo. Banale da dire ma invecchiando migliorano.

Come anticipato la band non vive uno dei suoi miglior periodi: Wilder ha mollato; Gahan è resuscitato; Fletcher è depresso. All’appello manca Martin Gore che, autore di tutte le canzoni, da buon leader qual’è ha preso in pugno la situazione e ha portato gli altri due membri a registrare.

Barrel of a Gun è la canzone d’apertura ed il primo singolo estratto dall’album, con un sound molto industrial e pesante correlato ad un videoclip cupo, girato in Marocco, che ci mostra un Dave Gahan che gira per un locale come un’anima in pena, il tutto mentre Fletcher e Gore se la dormono beati (alcuni hanno voluto interpretare questo video come una sorta di tributo allo stato di morte apparente del cantante, cosa peraltro non confermata da nessuna fonte ufficiale).

La canzone forse più rappresentativa dell’album però è Home perché vede il ritorno al microfono di Martin Gore (ultima performance in One Caress) ed è una ballata molto toccante che mi ha fatto scoprire i Depeche Mode in tenera età e mi permetteva di fare il figo con i compagni di scuola che ascoltavano 883 o altri gruppi scrausi. La tristezza, trasmessa non solo dalla canzone, sta nel fatto che ho sempre pensato che, nel videoclip, il tipo che gira per le case – e va a visitare le famiglie consolandole – fosse un fantasma di un familiare o un caro morto da poco tempo, ma sono stato smentito… a quanto pare è un Alieno (ho interpretato per 15 anni un video a cazzo).

Altri singoli di gran spessore presenti in questo lavoro sono It’s No Good e Useless entrambi i videoclip sono stati diretti da Anton Corbjn (così come per Barrel of a Gun), mentre per quanto riguarda la copertina del singolo di Home, l’artwork è stato disegnato dalla figlia di Corbjn.

R.E.M. – Up

REM - Up

Difficile, quando una carriera musicale dura così a lungo, scegliere un album preferito, scegliere il migliore ed il più rappresentativo. Capita per tutte le rock-band che si rispettino, capita per i più grandi, ed é sinonimo di eccellenza e magnificenza, ma soprattutto significa aver impresso la propria traccia in maniera indelebile in tre decadi di storia.

Pensando R.E.M. mi viene in mente “Up“, un disco col quale sono cresciuto, il primo album registrato senza Bill Berry, sostituito inizialmente da una drum machine, ritiratosi dopo l’aneurisma ed il divorzio dalla moglie (oltre un intolleranza galoppante verso la band e le sue sperimentazioni presenti massicciamente in “New Adventures in HI-FI“), é un album definito anomalo da Stipe e soci ma significativo perché creato durante un periodo di crisi nera, definita dai critici come il momento del declino della band di Athens. Le ripercussioni sono devastanti sia sulla loro musica che sulla loro persona, Mills è entrato in un vortice depressivo motivato dal fatto che i turnisti suonassero più di lui nel suo disco, Buck l’unico (con i turnisti) ad arrivare alle prove puntuale, mentre Stipe deve fare i conti con una forte sterilità creativa. La mancanza di Berry si fa sentire, è stato una sorta di collante tra gli altri membri e permetteva una certa omogeneità nella composizione dei brani. Effettivamente, dopo la sua dipartita, é come se i R.E.M. si fossero sciolti e rimessi assieme in un periodo brevissimo.

L’album è stato completato semplicemente perché la casa discografica aveva imposto una scadenza e c’era da onorare un contratto, perciò Stipe ha cominciato a sturare la sua vena creativa creando canzoni di una profondità disarmante e ponendo interrogativi di grande importanza all’interno dei testi, chiedendosi ad esempio quanto il progresso tecnologico si opponga o si integri nello sviluppo spirituale dell’ IO, immedesimandosi in personaggi immaginari che gli hanno permesso di scrivere quelle che lui stesso ha definito “le ultime volontà” del gruppo.

I R.E.M. sono riusciti a sopravvivere lo stesso per altri 13 anni regalandoci 4 album in studio, sicuramente “Up” non é un prodotto di facile ascolto soprattutto perché ci sono dei richiami a Brian Eno che potrebbero allontanare i timpani poco raffinati.

Chiudo dicendo solamente che “Daysleeper” vale il prezzo del disco.