La nascita del Duca Bianco e la Trilogia Berlinese

trilogia-berlinese

Eurospin di Los Angeles1975

Scena abituale alla cassa:

“Ehilà, mi scusi?! Ehi! Prego, è il suo turno”

Immaginate il nastro che fa scorrere un sacchetto di peperoni verdi, un altro di peperoni rossi, qualche bottiglia di latte intero ed una stecca di Gitanes.

BIP BIP BIP BIP

“Fanno 29 dollari e 70 cent”.

Un tizio di poco più di 40 kg sulla soglia dei 30 anni, con dei fulgidi capelli rossi tirati all’indietro, estrae il portafoglio, paga e se ne torna a casa. Appoggia la busta della spesa sul tavolo, prepara una striscia e tira su con precisione tutt’altro che chirurgica.

C’è del romanzo in questo breve incipit – nel senso che il protagonista della nostra storia vive da recluso nella sua villa di Bel Air e non la lascia così facilmente per far spesa all’Eurospin – ma che comunque lascia intendere su quali basi (non) fosse stato ragionato Station to Station, all’apparenza uno dei dischi più incomprensibili di Bowie che è pronto ad abbandonare il – “così-definito da lui” – plastic-soul di Young Americans, dirottando ancora una volta il proprio stile musicale verso lidi a lui non proprio familiari.

Ah bhé, ne da di grattacapi David in quel periodo, ci sono alcune voci torbide – che cominciano a girare con una certa insistenza – si dice che sia rimasto ammaliato dalla dottrina nazista e che subisca una forte ascendenza verso la magia nera. Voci che assumono una consistenza in questi anni quando comincia uno dei periodi più gagliardi della storia della musica contemporanea. Station to Station, è prodromo della Trilogia Berlinese Bowiana. Come per la Trilogia Oscura di Young, alla base vi è un forte disagio ed un abuso di sostanze psicotrope, alle quali vanno aggiunte l’esuberanza e lo stato di insanità mentale nella quale versa Bowie dopo la morte di Ziggy Stardust (celebrata nel concerto all’Hammersmith Odeon del 1973).

L’immedesimazione nell’alter-ego alieno ha grandi ripercussioni su Bowie, che si trova in una condizione psicofisica più che discutibile; l’assenza di una forte personalità alla fonte – dietro la creazione di Ziggy – ha condotto Bowie ad una follia alimentata dalla propria sete di conoscenza (da fagogitatore di letture quale era).

Come anni dopo Carlos Alomar – il chitarrista che lo stesso Bowie assunse da Station to Station fino al 1984 – ha tenuto a sottolineare: “David era ciò che leggeva in quel preciso momento”, e in quel momento i suoi testi preferiti spaziavano dal signor Crowley al signor Goebbels, libri che attecchiscono fertilmente su una mente debole e dai quali è difficile cogliere sfumature se letti in condizioni alterate.

Prende vita così il Thin White Duke: un individuo algido e distinto, un gerarca nazista privo di sentimenti, all’apparenza superiore e considerato ariano nella sua perfezione.

Il sottile Duca Bianco è diametralmente opposto al glam di Ziggy: si veste in camicia bianca e gilet nero. E’ il mezzo che consente a Bowie di scrivere ed interpretare Station to Station – la sua corazza contro i malefici e le fatture – uno degli album più confusi, dicotomici e simbolici non solo della carriera di Bowie ma del mondo della musica in generale. Le voci sulle simpatie naziste di Bowie – già presenti dai tempi di Oh! You Pretty Things – scorreranno con maggiore insistenza fino a quando lo stesso si troverà costretto a smentire con forza questi rumors.

Dal prossimo articolo ci addentreremo in un labirinto di connessioni tra chi è stato influenzato e chi ha influenzato la Trilogia Berlinese, mi auguro di raccontarvelo nel migliore dei modi.

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David Bowie – Hunky Dory

David Bowie - Hunky Dory

Mai titolo è stato più azzeccato.

Hunky-Dory è un termine inglese che significa meraviglioso, soddisfacente o magnifico. Insomma un aggettivo che ben descrive la sensazione che si ha nell’ascoltare questo album, il quarto di David Bowie. Hunky Dory indica la consacrazione del Duca e l’inizio della scalata senza fine verso la leggenda. Come lui stesso ha ammesso “Hunky Dory è stata come una meravigliosa ondata. Suppongo mi abbia messo in condizione – per la prima volta nella mia carriera – di raggiungere un pubblico ampio. Intendo persone che venivano da me a dirmi ‘Bell’album, belle canzoni!’, qualcosa di mai accaduto sin lì. Ho cominciato a comunicare ciò che avrei voluto”.

Non stiamo parlando assolutamente di un disco innovativo, bensì di un piacevole incontro tra folk – un ritorno alle origini – e pop, ma soprattutto di un album che rappresenta il codice genetico della carriera musicale di Bowie.

Hunky Dory mette in evidenza una delle caratteristiche principali sulle quali David Jones ha basato la sua carriera: catturare i pregi e difetti musicali di altri artisti, portandoli al limite e migliorandoli. Dimostrando un’attenzione oculata verso il panorama musicale che lo ha circondato e senza precludersi sperimentazioni di ogni tipo.

Alla base di Hunky Dory vi è prima di tutto l’avvicendamento tra Tony Visconti – che in seguito diverrà il produttore storico di Bowie – e Ken Scott, in secondo luogo una band estremamente capace che dall’album successivo cambierà nome in The Spider From Mars.

L’album in sé, appare quasi come un greatest hits, comincia con quello che poi sarà un classico della discografia di Bowie, Changes, canzone che tratta il tema del cambiamento artistico – fulcro della carriera del Duca – e  nata come “una parodia buttata là di una canzone da Night Club“.

Hunky Dory prosegue con Oh! You Pretty Thing – una delle prime canzoni del disco ad essere registrata. Bowie si sveglia nel cuore della notte con un motivetto ben preciso in testa che deve fissare al pianoforte, ricorda a tratti la storia di Paul McCartney con Yesterday.

Scanzonata all’apparenza ma con diversi messaggi che hanno dato vita a numerosi dibattiti e a dietrologie sul credo politico di Bowie e sul suo stile di vita. Si è sempre pensato che il Duca avesse simpatie naziste, o comunque una discreta affinità con l’idea di una razza superiore. Tale tesi è rafforzata dai riferimenti al pensiero di Nietzsche, in particolar modo in Oh! You Pretty Thing si fa riferimento al concetto di übermensch –  l’oltreuomo – una sorta di evoluzione dell’uomo capace di superare i propri limiti e legittimare la propria superiorità imponendosi sulla società.* L’homo superior si riferisce con molta probabilità alle nuove generazioni, bombardate dai media e capaci – secondo Bowie – di sviluppare anticorpi emotivi.

Oltre a Nietzsche c’è un altro pallino di Bowie nascosto in questa canzone, quello di Alister Crowley e dell’occultismo; un file rouge che attraversa la carriera del cantautore in tutta la sua interezza, sino a Black Star.

Altre curiosità sono legate a Life On Mars?, difatti leggenda vuole che fosse ispirata a My Way. My Way è una canzone dalla genesi complessa, Claude François nel 1967 scrisse la canzone Comme d’Habitude – fece il boom e venne chiesto a Bowie di adattarne il testo nell’anno seguente. Prende così forma Even a Fool Learns to Love, un titolo a posteriori definito cafone dallo stesso Bowie. Fatto sta, che alla fine della giostra l’adattamento del testo scelto è quello scritto da Paul Anka, reso poi celebre dall’interpretazione di Frank Sinatra. Dalle ceneri di quell’esperienza e da quel giro d’accordi Bowie tira fuori Life On Mars?, una canzone zeppa di riferimenti pop e glam, uno zapping alla Warhol. Life On Mars? È l’esaltazione del bombardamento mediatico al quale è sottoposto l’homo superior, la celebrazione di un mondo che sta sempre più diventando di plastica, ma soprattutto della fetta di celebrità che ognuno di noi avrà per 15 minuti.

Warhol che viene celebrato nell’omonima Andy Warhol, un brano reso celebre dalla trama delle chitarre ancor prima del testo. C’è un curioso aneddoto legato a Bowie e Warhol, un incontro  presso la Factory nel quale il Duca cercò di impressionare – facendo il mimo – l’artista cecoslovacco che però rimase più che freddo di fronte allo spettacolino messo in atto da Bowie. Nonostante la “bocciatura” subita, Bowie non smetterà di vedere in Warhol una delle figure più ispiranti della propria carriera.

I riferimenti pop non finiscono con Warhol e Life On Mars? Ma proseguono con Song for Bob Dylan, l’omaggio che Bowie rende al cantautore di Duluth è una parodia della canzone Song for Woody, brano composto da Dylan per Woody Guthrie.

Gli aneddoti sono infiniti e sarebbe più consono scrivere un libro piuttosto che un breve articolo a riguardo, mi limito però a chiudere con Queen Bitch, il brano dedicato da Bowie all’amico Lou Reed – anche nello stile il Duca attinge a piene mani dalla scrittura “urbana” tipica di Lou Reed (Queen nel gergo newyorkese sta a significare “omosessualità”). Possiamo considerare questo brano come un assaggio di ciò che andiamo a trovare un anno dopo in Transformer.

In Queen Bitch si parla anche di Flo & Eddie, i fondatori di The Turtles, ex membri dei Mothers Of Invention di Zappa e supporto di Marc Bolan con i T.Rex.

La cover dell’album trae ispirazione da una foto di Marlen Dietrich che Bowie portò con se durante il servizio fotografico. Giusto a suggellare tutti i riferimenti pop presenti nell’album, Hunky Dory è la fotografia di un mondo e la previsione di dove quel mondo finirà di lì a breve.

 

*Mi limito semplicemente a riportare una interpretazione estremizzata del pensiero di Nietzsche, da parte di alcuni studiosi, che naturalmente non può essere sintetizzata in poche righe. Ci sono numerose interpretazione sulle parole di , ma naturalmente non essendo una pagina dedicata alla filosofia mi limito ad invitare chi fosse interessato ad approfondire l’argomento.