Neu! – Neu!

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Il divertimento è nel cercare punti in comune e divergenti tra i protagonisti della Kosmische Music. Il 1972 è l’anno di Ege Bamyasi, Irrlicht, Hosianna Mantra, Zeit, Cluster II, cos’hanno in comune? Il mio intento è complicare ulteriormente il gioco mettendo il carico con uno dei pezzi da 90.

Il processo che porta alla formazione dei Neu! è simile a quello della riforma luterana, una scissione interna in seno ai Kraftwerk porta alla creazione dei Neu! da parte di Dinger e Rother. Le differenze tra Kraftwerk e Neu! sono marcate, Dinger e Rhoter percepiscono una mancanza di visione. I Neu! in ottica internazionale pagano dazio ottenendo un impatto maggiore nelle decadi successive dopo la riscoperta da parte di critici e pubblico negli anni a venire. La divergenza ce la spiega Dinger – più assoluto nella filosofia che contraddistingue il progetto rispetto a Rother:

“è una protesta contro il consumismo e contro i nostri colleghi del krautrock che hanno uno stile ed un gusto differente. All’epoca seguivo molto l’arte contemporanea, la Pop-Art ed Andy Warhol. Sono sempre stato molto visivo nel mio pensiero. Perciò durante questo periodo – per mantenere lo spazio nel quale vivevo (una comune) – ho fondato un’agenzia pubblicitaria unicamente per annunci cartacei. La maggiorparte delle persone con le quali vivevo cercarono di irrompere nel mercato pubblicitario (scippandomi le commissioni), quindi ero circondato da questi novellini (Neu!) per tutto il tempo”

Rispetto ai contemporanei del 1972, le composizioni hanno una durata media inferiore e offrono una naturalezza desueta oltre che un ventaglio molto più ampio di sonorità e di paesaggi musicali. La versatilità che dimostrano nell’elettronica li erge a ruolo di padrini dell’elettronica pop e dell’industrial. Tratto distintivo è il beat endlose gerade, anche conosciuto come Motorik – un tempo 4/4 poi riproposto in Autobahn dai Kraftwerk – che da il senso del movimento e che ha ispirato tutte le band a venire (Sonic Youth, Radiohead su tutti).

I Neu! sono la novità, il sound è simile a quello dei Kraftwerk – progetto al quale hanno contribuito attivamente – sicuramente l’opera prima può essere considerato come prodroma di Autobahn. Alle sonorità del disco ha messo a disposizione la propria professionalità Konrad Plank – collaboratore di Rother e Dinger durante la militanza nei Kraftwerk – che ha annoverato nei propri studi anche Brian Eno – con Before And After Science – e Devo – per Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!.

Cluster – Cluster II

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Continua il viaggio nel 1972, questa magnifica annata che ha elargito perle di Kosmische Musik a destra e a manca. E’ il turno dei Cluster e di Roedelius e Moebius. Ho sempre pensato a loro come a Mario e Wario, non tanto per le personalità contrapposte, quanto per l’assonanza dei nomi.

Come al solito affrontando il discorso Kosmische si deve specificare quale è il lato del movimento percorso dai Cluster; per dare un’idea si può dire che è un compromesso tra Tangerine Dream e Neu!, per via del distinguibilissimo sound Motorik con sfumature psichedeliche. In ogni caso, riflette in pieno il sound della Berlino di quei giorni “Erano giorni caotici a Berlino, forse è questo il motivo per il quale abbiamo deciso di cominciare a suonare forte ed in modo rumoroso, perché la polizia sfrecciava per la strada tutti i giorni weee wooo weee wooo” ricorda Roedelius.

A dire il vero Cluster II è un album che un po’ si perde nel mare magnum della Kosmische, perché meno distinguibile rispetto alle pubblicazioni degli altri gruppi, ma in ogni caso sarebbe sciocco non parlarne soprattutto perché Moebius ha fortemente ispirato il suono di Heroes e Low, e la collaborazione di Roedelius e Moebius in Before And After Science di Eno non può certo passare inosservata. Poi c’è la figura di Konrad Plank – produttore centrale nella scena Kosmiche ma anche una della figura di riferimento del gruppo – di fatto considerato come parte integrante dei Cluster.

“Avevamo dei background differenti rispetto agli altri gruppi della zona, non avevamo alcun interesse in quello che le altre persone volevano fare, li incontravamo tutti i giorni e li conoscevamo, ma loro pensavano in maniera più commerciale. Noi non abbiamo mai pensato in maniera commerciale. Questa forse è la differenza. La si può riscontrare nella nostra musica” ricorda Moebius. Di fatto è vero, e risulta anche molto semplice comprendere quali siano i gruppi provenienti dalla Kosmische con un sound più accessibile e gli altri meno comprensibili ad un primo ascolto. Ciò non significa voler screditare gli uni più degli altri, bensì cerco solo di porre in evidenza quanto fosse ampio il concetto di Kosmische e quanti sentieri sono partiti da questo centro musicale.

La sensazione che si prova ascoltando Cluster II è di cadere in un lento stato di ipnosi soggiogato dai rumori bianchi, se durante l’ascolto dietro le vostre spalle comparisse Giucas Casella gridando “solo quando ve lo dico io” cadreste in trance (che si legge trans, ma in quel caso cadere potrebbe fare piuttosto male, in qualunque modo tu cadi, cadresti male).

Vorrei far presente che non è che mi stia dilungando perché non so cosa scrivere, solo che non saprei veramente cosa dire di più. Fondamentalmente Cluster II serve ad avere un quadro un po’ più completo della scena elettronica tedesca e di come questa sia andata ad defluire in maniera massiccia nel mainstream.

Tangerine Dream – Zeit

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Edgar Froese – con l’uscita di Klaus Schulze – assume il controllo totale sui Tangerine Dream proseguendo sul sentiero tracciato in passato, quello che guida i Tangerine al titolo di gruppo kosmische musik per eccellenza. Con Baumann e Franke compone la nuova formazione dei Tangerine Dream, quella più “longeva” (6 anni all’incirca).

Nel vero senso del termine, possono essere catalogati come i massimi esponenti ed esecutori della musica cosmica, etimologicamente parlando. Questo li rende meno accattivanti ed a tratti più annoianti rispetto agli altri gruppi coevi e del movimento, ma ogni tanto non fa male ascoltarli nonostante siano prolissi e ridondanti. I Kraftwerk si lamentarono per la scelta da parte di Froese del nome in inglese, sostenendo che un gruppo tedesco non avrebbe dovuto dimenticare le proprie origini mantenendo un’identità culturale (questo discorso è un filino nazionalista).

In Zeit i Tangerine Dream abbandonano gli strumenti classici (fatta eccezione per gli archi di Birth Of Liquid Plejades) e danno vita ad un album eterogeneo, dimostrandosi estremi in questa scelta “cosmica” di molto affine alle composizioni di Karlheinz Stockhausen. I riverberi magnetici – garantiti anche dal Moog di Florian Fricke nel brano di apertura del disco – proiettano l’ascoltatore in un galleggiamento spaziale, nello Zeit (tempo) dove il tempo stesso non esiste realmente, ma solo nelle convenzioni sociali e nelle nostre menti. E’ una visione nichilista nel quale il mio Io è l’intero dell’esistente, l’assoluto è pari al niente ed il niente è annullamento del nulla. Il tempo totalizzante annulla il concetto di tempo stesso. In parole povere – evitando di inciampare ulteriormente in campi non di mia competenza – è come quando la professoressa ti tira le orecchie perché sottolineando ogni singola riga di una pagina del testo da studiare era come non aver sottolineato nulla.

Se il mattoncino di una sfumatura di ambient viene posto dai Popol Vuh con Hosianna Mantra, possiamo tranquillamente affermare che le fondamenta sono state scavate dai Tangerine Dream. La classica e la contemporanea ispirano in maniera consistente le armonie di Froese e soci che spingono il suono verso derive minimali, mano a mano che il disco si avvicina al termine, le composizioni si spogliano delle loro sovrastruttura diventando sempre più essenziali, come è il cosmo, essenziale nella sua complessità, assente nella sua presenza.

Roxy Music – Roxy Music

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I Roxy Music sono quel gruppo con gente travestita e fintamente effemminata con il cantante che sembra l’incrocio tra Will Ferrell e Donald Trump. I Roxy Music sono quel gruppo che ha fatto il Glam (con la G maiuscola) con Bolan e Bowie. I Roxy Music sono quel gruppo con musicisti cazzuti e che faceva qualsiasi genere volesse fare perché in grado di farlo.

“Stavo ascoltando dopo anni The Bob (Medley), una mini-suite di 6 parti, e mi venne da ridere. Era puro prog. L’album suona veramente strano, un mischiaticcio di robe. I Roxy non sarebbero stati messi sotto contratto al giorno d’oggi.” Phil Manzanera ci da l’idea di come sia cambiato il mercato musicale in 40 anni.

L’intento condiviso non è quello di fare le comparse – da one-hit-band – bensì l’idea musicale precisa è di non essere underground ma garantire un’offerta musicale di livello. “Quando abbiamo cominciato non pensavamo di essere commerciali […] ci vedevamo come una band di studenti d’arte […] King Crimson ad un estremo, Bowie all’altro, noi in mezzo”. Ferry capisce che la miscela può diventare più interessante se degli elementi vengono pescati dalle altre arti, il brano di apertura Re-Make/Re-Model – per essere fedele al proprio titolo – include la linea di basso di Day Tripper e La Cavalcata delle Valchirie, un vero e proprio rifacimento e ri-modellamento di composizioni che hanno influenzato direttamente i Roxy Music.

La musica classica è presente anche in Ladytron dove la linea di oboe rende tributo al concerto per piano n°3 di Prokofiev mischiandosi ad una canzone dai tratti hippy e che fa ciao ciao con la manina ai Jefferson Airplane. Il resto del disco ha una forte connotazione cinematografica, per questo motivo i riferimenti alle pellicole sono diversi: Chance Meeting ispirata a Breve Incontro, The Bob a I Lunghi Giorni delle Aquile (titolo originale Battle Of Britain acronimo di Bob) e 2HB a Casablanca. Curioso che in un album del genere sia presente anche un accenno di country con tanto di steel guitar simulata – con lo slide per fare l’effetto Ben Keith – certo, poi si evolve in una cagiara Glam con l’oboe di MacKay che sale in cattedra come se ci trovassimo davanti il Lol Coxhill di Shooting At The Moon.

Il lato  definito Crimsoniano lo troviamo nei cambi di ritmo di 2HB – tipici del prog – e in The Bob (Medley), come ci ha ricordato Manzanera. La produzione di Sinfield – figura cardine della prima fase Crimson – è il trait-d’union tra l’ispirazione e la realtà, mentre in precedenza l’amicizia tra Ferry e Fripp ha permesso di ottenere il contratto discografico con la Island Records (già etichetta dei King Crimson).

Non è un caso che il disco termini con un brano che ammicca agli anni ’50 e al doo-woop – nel quale Ferry fa quel che gli riesce meglio sfoggiando le sue doti da crooner con voce impostata – l’ennesimo genere del disco, sapientemente omogeneizzato che mostra a tutti quanto i Roxy siano bravi a fare tutto e bene. Brian Eno imparerà la lezione, mostrandocela 5 anni dopo in Before And After Science, lavorando di stiletto ad un disco che avrà tanto dei Roxy Music.

Can – Ege Bamyasi

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Il gombo è una verdura che ho avuto modo di mangiare a mia insaputa durante un viaggio in Asia, viene spacciato per un cibo afrodisiaco, personalmente pensavo fosse una pianta grassa. Ha un gusto strano, tipo peperone crudo… Vabè, fatto sta che si parla di gombo perché Ege Bamyasi è la traduzione in turco di Gombo dell’Egeo. E’ come se io chiamassi un disco Pomodori San Marzano o chessò, Radicchio Trevigiano. Un calembour che gioca col nome della band Can (barattolo in inglese) e il barattolo di gombo che indica il legame con la musica tradizionale da parte dei componenti del gruppo.

La scatoletta con i gombo me fa salire il male di vivere, mi ricorda quei cibi puzzosi che i tedeschi si mangiano in campeggio a qualsiasi ora in qualsiasi condizione mentre il conato sale e fino ad esprimersi in un leggiadro rutto di disprezzo (non ho niente contro i tedeschi, ma quando aprono quelle mega-lattine uscite direttamente dal progetto Dharma, appena mi sono svegliato, resto confuso per tutta la mattinata).

Come avrete intuito, continua il viaggio nella Kosmische Music con un altro gruppo di riferimento di questo panorama musicale. I Can offrono un’altra faccia di questo movimento, mostrandoci un tipo di musica diverso da Kraftwerk, Schulze e Popol Vuh. In questo disco dimostrano di capire quando una persona è malata di scorbuto (carenza di vitamina C), mi auguro solo che la loro cura non preveda la somministrazione di verdure in latta di dubbia provenienza :/

Le origini del disco: i Can fanno il botto con Spoon, come singolo vende 300.000 copie.

Risultato: i Can usano gli introiti di Spoon per affittare un cinema, per registrare e viverci.

Le cose non vanno mica lisce come l’olio, difatti Suzuki e Schmidt preferivano spendere intere giornate a sfidarsi a scacchi; lavorare al disco diventava perciò una procedura sempre più convulsa tanto da costringere i Can a registrare tutto in presa diretta, aggiungendo successivamente Spoon – a chiusura del disco – come riempitivo per far fronte alla penuria di materiale. La peculiarità di Spoon è nella realizzazione mediante una drum machine in aggiunta ad una batteria live.

Nonostante tutte queste premesse, il successo di Ege Bamyasi è superiore a quello di Tago Mago e viene considerato – alla stregua del predecessore – una colonna portante della discografia dei Can. Geoff Barrow lo mette nella sua personale classifica dei dischi preferiti, mentre Thurstone Moore ne comprò una compia a 49 cents incuriosito dalla copertina e senza sapere chi fossero i Can – consumandolo nei giorni successivi – trovando nel contenuto del disco qualcosa di totalmente diverso da quanto fosse stato concepito sino ad allora.

Oltre Spoon al quale si deve il successo crescente dei Can, sarebbe sacrilego non nominare Vitamin C che è senza ombra di dubbio il pezzo pop per eccellenza del disco, dove il ritmo tribale delle percussione assieme al ritornello strillato da Damo Suzuki rende impossibile da dimenticare la canzone. Che oltretutto è stata adoperata da Paul Thomas Anderson all’interno del film Inherent Vice.

Popol Vuh – Hosianna Mantra

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L’ascesa della kosmische musik coincide con una riscoperta della spiritualità orientale (e non) da gran parte dei principali interpreti del movimento. Curioso è il caso dei Popol Vuh con Hosianna Mantra, un album coevo ad Irrlicht.

Schulze per necessità si affida ad una ensamble classica e a strumenti danneggiati ma acustici, spianando il terreno ad un futuro uso consistente dell’elettronica in Cyborg; al contrario i Popol Vuh tornando alle origine acustiche lasciano l’elettronica – e lo fanno per poter esprimere al meglio la sacralità della musica – toccando vette sin lì nemmeno sfiorate da altri, stabilendo uno dei punti più alti della storia musicale.

L’uno appartiene al tutto ed il tutto è il cosmo, siamo ciò che ci circonda, siamo la diversità, yin e yang, questo è l’Hosianna Mantra. Hosianna Mantra è la visione che unisce due parole mistiche ed estreme, provenienti da culture millenarie diametralmente opposte, ma che secondo Fricke hanno in comune la voglia di parlare direttamente al cuore. Si evidenzia la devozione che viene applicata ai concetti di Osanna e Mantra, il credere nell’Ascensione al cielo del Cristo e la preghiera del mantra – un pensiero positivo ripetuto allo sfinimento nella cieca credenza che si realizzi (un po’ come Renato Pozzetto in Da Grande quando ripete “Voglio diventare grande, voglio diventare grande, voglio diventare grande”).

Una sacralità esaltata dall’assenza di percussioni e dalla voce celestiale di Djong Yun, dal piano di Fricke e dal tamboura suonato da Wiese, compiendo la perfetta sintesi tra occidente ed oriente. Una sacralità espressa anche dai titoli dei brani, soprattutto:

Kyrie (il Kyrie Eleyson della liturgia Cristiana)

Hosianna Mantra (di questo abbiamo già discusso sopra)

Abschied (addio)

Segnung (benedizione)

Andacht (preghiera)

Siamo dinanzi a musica sacra, non nell’accezione dei Requiem, dei canti gregoriani o di Symbolum77 (ovverò nell’accezione puramente Cattolica), bensì nella totalità, nell’assenza di esclusione. Hosianna Mantra è il tentativo di trascendere le barriere culturali e la fede per affrontare un discorso più ampio, un approccio alla kosmische musik molto aperto; i Popol Vuh non flirtano più con l’ossessione – che possiamo sentire a tratti anche in Schulze – questo è un richiamo di amore totale, è musica liquida che pone un altro mattoncino per l’ambient e le fondamenta per quella che sarà denominata new-age.

Klaus Schulze – Irrlicht

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Ci hanno provato oltremanica e dall’altra parte dell’oceano a ridimensionare la musica tedesca, seppur inconsapevolmente, con quel nomignolo “kraut” – ad indicare la provenienza – accanto al suffisso “rock“, pronto ad inglobare come uno slime qualsiasi produzione provenisse dalla Germania.

Uno scherno che molte personalità tedesche si sono legate al dito, anche perché il termine coniato ad hoc per indicare il movimento tedesco è Kosmische Musik (intuibilmente musica cosmica) la cui punta di diamante è indiscutibilmente Irrlicht, capolavoro firmato da Klauss Schulze ex-membro dei Tangerine Dream.

Fortunatamente, dopo aver mollato quest’ultimi, il contratto con la casa discografica della band – la Ohr – è ancora in essere e questo rapporto consente a Schulze di pubblicare un album d’avanguardia spinta, decisamente difficile da accettare per ogni altra etichetta.

La Ohr sostiene che, il contratto, essendo stato firmato durante la militanza nei Tangerine Dream, li rende naturali detentori dei diritti sul prossimo disco in pubblicazione. Situazione, al contrario di quanto si possa pensare, accolta con grande piacere da Schulz “ero felice che il disco fosse uscito. Qualsiasi altra etichetta mi avrebbe mandato via ascoltando un lavoro del genere”.

Irrlicht significa fuoco fatuo e come tale appare all’ascolto, flebile, tenue ma distinguibile con uno sforzo iniziale. Mano a mano c’è una evoluzione nella struttura, una sorta di crescita esponenziale, un muro che assorbe i suoni e li restituisce con intensità sempre più elevata.

Il primo movimento – Satz Ebene (normale) – si evolve su un tempo dilatatissimo trasformandosi da compagnia ad una presenza ingombrante, caotica e aggressiva. Dal suono del cosmo si cade in una trance scandita da ritmi martellanti. Satz Gewitter (temporale) comincia con un fragoroso botto – a indicare l’inizio della perturbazione – per addolcirsi e avvicinarsi al concetto di musica ambientale che ritroviamo nel terzo movimento Satz Exil Sils Maria. La piacevolezza di sentirsi cullati dalle onde cosmiche che come un rumore bianco distruggono ogni scoria nervosa in chi lo ascolta. Si suppone che quest’ultima composizione fosse ispirata alle vacanze che solitamente Nietzsche maturava a Sils Maria (un’ulteriore prova a rafforzare la tesi di quanto racconta Karl Bartos riguardo l’origine del sound tedesco e kosmische).

Questo capolavoro di Klaus Schultze concettualmente parlando è vicino alla kosmische musik, in termini esecutivi meno. “Non ero in possesso di sintetizzatori all’epoca. Perciò lo trovo più affine alla musica concreta”, il disco è stato registrato con: un organo danneggiato; un’orchestra le cui tracce sono state poi manipolate al contrario – e rese impercettibili – in studio; utilizzando un amplificatore danneggiato per rendere il suono finale ancora più artefatto.

Poche sono le parole che voglio spendere ulteriormente per Irrlicht, come poche sono quelle che ho usato, giusto perché è uno di quei dischi che aiuta a ripristinare una connessione con la propria immaginazione, spingendo a ricreare mentalmente una relazione diretta tra musica, mente e corpo. Accade sicuramente se l’ascolto non avviene in maniera distratta; sarà piacevole poi perdersi completamente in Irrlicht.

David Bowie – The Rise And Fall of Ziggy Stardust and The Spiders From Mars

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Vince Taylor dopo un bel crollo nervoso crede ci siano legami palesi tra Gesù Cristo e gli alieni…

Legendary Stardust Cowboy, è un cazzo di texano pazzo furioso – un ibrido tra un cowboy all’apice della sfiga e la genialità senza paletti di Daniel Johnston… Ziggy, invece, è il nome di una sartoria di Londra davanti alla quale passava spesso Bowie.

Beh, sono questi i capisaldi alla base del concept per eccellenza: la personalità dal primo, lo stile e parte del nome dal secondo.

Signore e Signori ecco a voi Ziggy Stardust. Il prototipo di rockstar, promiscuo, invischiato nelle droghe, ma portatore di messaggi di pace e amore. Vince Taylor e Stardust Cowboy non sono gli unici a contribuire alla formazione dell’Adriano Meìs albionico; è possibile scorgere tratti di Lou Reed, Marc Bolan e Iggy Pop, tutti grandi amici e ispiratori di Bowie – con i quali collaborerà consistentemente nel corso degli anni alimentando pezzi di storia di cui parleremo o abbiamo già parlato.

“Ci sono 5 anni prima della fine del mondo [facendo direttamente o indirettamente riferimento all’Orologio dell’apocalisse]. E’ stato annunciato che finirà per via di una carenza di risorse naturali. Ziggy è come se fosse un bambino che può accedere alle cose che pensava di volere. Gli adulti invece hanno perso ogni contatto con la realtà ed i bambini sono stati abbandonati a loro stessi a saccheggiare qualsiasi cosa. Ziggy era in una rock and roll band e i bambini non volevano il rock. Non c’è nemmeno elettricità per suonarlo. Il consulente di Ziggy gli consiglia di cercare delle novità e cantarle, perché adesso come adesso… non ci sono delle notizie da raccontare. Così Ziggy fa questo e porta solo delle novità terribili. All The Young Dudes è una canzone su queste novità, non è un inno alla gioventù come pensa la gente… è l’opposto.

La fine arriva quando l’Immensità giungerà. E’ il buco nero, ma ho dato al pubblico questa definizione perché era veramente dura spiegare sul palco cosa fosse questo buco nero.

Ziggy – in sogno – è consigliato dall’Immensità di scrivere della venuta di Starman, ovvero la prima notizia pregna di speranza che la gente avrebbe sentito. Gli uomini delle stelle di cui Ziggy parla, sono chiamati gli Immensi, e sono dei saltatori nei buchi neri, coloro che sarebbero venuti sulla terra per invertire il destino. Sono atterrati nel Greenwich Village e non hanno alcun interesse legato alla terra o a chi vi abita. Sono semplicemente capitati nel nostro universo saltando in un buco nero, la loro intera vita è votata al viaggio da un universo all’altro. Adesso Ziggy comincia a credere in tutto ma soprattutto in sé stesso, vedendosi come un profeta dei futuri Starmen. Quando gli Immensi arrivano, prendono parti di Ziggy per diventare reali, in quanto nella loro condizione natia sono composti di antimateria e non possono esistere nel nostro mondo. Strappano i suoi pezzi sul palco durante Rock ‘N’ Roll Suicide, successivamente alla morte di Ziggy, gli immensi si appropriano dei suoi elementi rendendosi visibili.”

Questo è il disco spiegato da David Bowie a William S Burroughs ed in quest’ottica “sicuramente” il discorso “fila” senza troppi intoppi, il dubbio sul concepimento del materiale così come lo ascoltiamo oggi c’è in quanto lo stesso Bowie ammette: “da quando ho scritto i brani, la mia interpretazione degli stessi è cambiata una volta che il disco ha preso forma.”

Si comincia con uno dei brani di apertura più belli che sia stato concepito, Five Years. Una ballata grama che molto si avvicina al lirismo di Lou Reed, del tutto speculare alla altrettanto splendida chiusura in 50s style Rock N Roll Suicide, entrambe scandite da un ritmo lento in crescendo. Quest’ultima oltre ad essere la cronaca delle ultime ore di Ziggy Stardust, appare anche come un racconto autobiografico sullo status della rockstar e sulla consapevolezza nel passaggio tra giovinezza e maturazione.

Moonage Daydream – con quell’intro di chitarra memorabile di Mick Ronson – ci spiega chi è Ziggy: un androgino, un alligatore (riferimento al grande Bill Haley di See You Later Alligator), un rocker, un messia pronto a salvare la terra. Si prosegue poi con Starman, che ci racconta della venuta degli Immensi e da lì in poi il disco prosegue come ce lo ha spiegato Bowie.

The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The Spider From Mars deve tantissimo alla band e a Mick Ronson – con la quale Bowie ha registrato – che esprime un sound coinvolgente e deciso con ritmi più sferzanti rispento al folk di Hunky Dory. Il disco viene registrato per metà poco prima dell’uscita di Hunky Dory, e viene pensato come colonna sonora per una serie televisiva che avrebbe dovuto spiegare le vicissitudini di Ziggy Stardust. Le avventure dell’alter ego di Bowie proseguono anche in Diamond Dogs, ma la maggior parte della sua storia è incentrata nell’album che stiamo trattando.

Ziggy Stardust muore nel concerto all’Hammersmith Odeon del 3 Luglio 1973, nel quale Bowie riprende possesso di sé stesso eliminando la sua altra identità. L’idea dietro questa performance artistica a 360° porta Bowie ad una immedesimazione totale nel personaggio di Ziggy Stardust che spinge alla follia completa il cantante, follia che affronteremo nei prossimi articoli.

Nick Drake – Pink Moon

Nick Drake - Pink Moon

Delle volte capita che il destino ti prenda di mira, ti seduca, ti faccia credere di essere unico e poi gradualmente ti abbandoni, sino a spingerti alla depressione più profonda. Tutto questo è successo a Nick Drake bistrattato dal pubblico – che non ne ha compreso il vero potenziale – e dalla critica che non lo ha cagato quasi per niente. Tre album in crescendo, uno più bello dell’altro. Inarrivabili. Tanto belli quanto di poco successo, quasi nullo.

La sensibilità espressa dalla sua voce e dalla tecnica chitarristica non sono apprezzate dal pubblico – e probabilmente nemmeno capite – tant’è che gran parte dell’insuccesso di Drake viene imputato alla sua incapacità di approcciare il palco. E’ impossibile trovare dei nastri che testimonino esibizioni dal vivo di Nick Drake, costretto a ridurre progressivamente le proprie apparizioni live per una innegabile difficoltà ad affrontare il pubblico. Il più delle volte era costretto ad abbandonare il palco ad esibizione in corso, dopo aver bisbigliato qualche brano al microfono.

Un dato di fatto però è innegabile: la capacità e le potenzialità di Nick Drake sono state espresse solamente in minima parte e purtroppo non ne abbiamo potuto fruire maggiormente. Si potrebbe indicare in Nick Drake il padre artistico di Elliott Smith: malinconico, introverso, sfigato quel tanto che basta da renderlo uno dei pilastri della musica intima, in grado di raggiungerti solo con la propria chitarra e la voce.

Come uno sciamano silenzioso scruta l’orizzonte, ed il presagio non è certamente dei migliori, la luna rosa sta per stagliarsi alta nel cielo – lo stesso colore che la luna ha durante le eclissi e che secondo la tradizione cinese è portatrice di sventura. Una sorta di premonizione riguardante il suo futuro discografico e non, è per questo che Pink Moon assume il significato di un testamento vero e proprio di Drake. Questo disco è stato registrato unicamente in due sessioni notturne da due ore, voce e chitarra-chitarra e voce, si intrecciano sino a diventare un unico elemento semplice e complesso, di una raffinatezza difficilmente avvicinabile. Raffinatezza derivante dal background letterario – che Drake mostra nelle sue canzoni – oltre che dalla vicinanza stretta con la madre e compositrice Molly, abile pianista capace di influenzare le melodie del figlio sin dalla prima infanzia.

Al termine delle sessioni Nicola maschio d’anatra (questa è la traduzione letterale di Nick Drake) lascia i nastri di Pink Moon alla Island – la sua casa discografica – annunciando il suo ritiro dalle scene musicali.

Pink Moon è la canzone di apertura dell’album oltre ad esserne il titolo, l’unico brano a contenere delle note di pianoforte – suonato da Drake stesso – che appaiono come leggeri ed impercettibili cerchi concentrici sulla superficie dell’acqua. Drake è capace di comunicare sia cupezza che speranza, con un testo enigmatico e riflessivo dalle molteplici interpretazioni e dagli altrettanti punti di vista. Come nel passaggio che secondo alcuni rappresenta una metafora per la grande consolatrice che prima o poi tutti dobbiamo affrontare “None of you stand so tall, Pink moon gonna get you all” (nessuno di voi starà così in alto, la luna rosa vi prenderà tutti).

Il resto del disco, seppur breve è delineato da un pessimismo cosmico, una rassegnazione insita nella sua persona, un consiglio  agli ascoltatori sullo stare in guardia dall’approssimazione, dall’alterigia e dall’opportunismo, piaghe della società che ha condannato in parte Drake al suo destino.

Il destino continua a prendere di mira Drake anche da morto, come se non avesse già sofferto abbastanza; nel 1999 difatti la Volkswagen sceglie Pink Moon per l’accompagnamento di una pubblicità televisiva sulla nuova Golf Cabrio, permettendo a Nick Drake di raggiungere una notorietà spropositata e facendogli vendere più copie dei suoi album da morto in un solo mese che in tutti i suoi 26 anni di vita.

L’artwork dell’album – che evoca il surrealismo di Dalì e Mirò – è stato realizzato dal partner della sorella di Drake tale Michael Trevithick.

Lou Reed – Transformer

Lou Reed - Transformer

Ci sono tre tipologie di reazioni che si possono avere pensando a Lou Reed: un profano esclamerebbe “Perfect Day!”; un meno-profano “Transformer!”; una persona più o meno preparata direbbe “il co-fondatore dei Velvet Underground!”; un ignorante direbbe “ghi è Lù Rìd nghééé?!”.

Bene ignorante, è il tuo giorno fortunato! Visto che oggi la pillola scelta dallo staff del sito (cioè me) è Transformer – ovvero l’album decisamente più commerciale e celebre di Lou Reed.

In questo caso è coadiuvato dal suo prezioso amico David Bowie – vero e proprio tuttofare in quegli anni – che fa da produttore e presta la propria voce come corista. Il Duca Bianco attuerà in questo caso una vera e propria opera di beneficenza nei confronti di un suo grande mito, quel Lou Reed che lo aveva fortemente ispirato con i Velvet Underground; qualche anno dopo ripeterà un’operazione simile con Iggy Pop, producendogli The Idiot. Bowie ha avuto la capacità di semplificare le sonorità di entrambi, consentendo di recuperare terreno commerciale dopo dei periodi poco fortunati.

Bando alle ciance e partiamo dall’origine di Transformer, che è un album estremamente orecchiabile e veloce da ascoltare, rivestito di glam e pieno di storie che lo rendono un narratore di favole perverse – Reed appare come l’Omero della New York grottesca di fine anni ‘60 e ‘70 – ma soprattutto segna il distacco netto dai Velvet Underground, creatura wharoliana di successo e influenza imponente.

Come già scritto per Hunky Dory, Transformer appare come un greatest hits, ricco di canzoni importanti, tra le quali spiccano: Perfect Day, Walk on the Wild Side, Satellite of Love e Vicious.

Perfect Day è l’inno alla semplicità per antonomasia. Brano arrangiato da Mick Ronson – chitarrista di Bowie, cardine dei The Spiders From Mars e co-produttore dell’album – è il resoconto di una giornata perfetta trascorsa da una coppia, le interpretazioni a riguardo sono essenzialmente due: la prima vuole che la canzone sia stata scritta da Lou Reed in preda alla nostalgia per i momenti trascorsi assieme ad una sua vecchia squinzia di nome Shelley Albin; l’altro punto di vista vuole che la canzone sia rivolta a Bettye Kronstadt, sua moglie dell’epoca sposata per cercare di stabilizzare la propria vita, matrimonio poi naufragato in un battito di ciglia – probabilmente per il cognome impronunciabile della dolce Bettye – che ha poi ispirato le storie narrateci in Berlin.

Walk on the Wild Side è la cronaca cruda e schietta della NY del periodo, quella Grande Mela della trasgressione più totale che aveva il proprio fulcro nella Factory di cui Reed faceva parte fino ad una manciata di anni prima. Ritroviamo perciò i protagonisti di quel momento come Joe Dallesandro, muso ispiratore di molti film di Andy Wharol (Little Joe, tra lui e Reed non scorreva buon sangue), l’attore Joe Campbell (Sugar Plum Fairy), Holly Woodlawn, Candy Darling e Jackie Curtis (rispettivamente Holly, Candy e Jackie, tre trans che bazzicavano gli ambienti wharoliani). Lou Reed riesce a trasportare con dovizia di particolari l’ascoltatore nella wild side, grazie anche ad un accompagnamento musicale ridotto al minimo con un suono del basso rotondo che carica di maggior significato il testo. Testo censurato dalle radio non tanto per via delle tematiche raccontate (come transessualità, sessualità e tossicodipendenza) bensì per il “doo doo-doo” associato alla frase “And the colored girl say” inteso dai perbenisti dell’epoca come un insulto razzista.

La parte di sassofono è stata eseguita da Ronnie Ross, musicista jazz ed insegnante di sax di Bowie durante la giovinezza (sassofonista anche nel brano di chiusura di Transformer ovvero Goodnight Ladies e nel White Album dei Beatles in Savoy Truffle).

Il leit motiv dell’album resta Andy Warhol, che come per Bowie è figura centrale ed essenziale per la carriera di Lou Reed. Facciamo perciò un salto indietro di 4 anni dalla pubblicazione di Transformer, siamo nel 1968, Valerie Solanas – frequentatrice abituale della Factory e femminista radicale, membro della S.C.U.M. – spara un colpo di pistola a Warhol attentando alla sua vita. Nonostante si pensi il peggio, Warhol sopravvive e da quel giorno ha una cicatrice sulla spalla a ricordargli quanto accaduto. Quella cicatrice viene omaggiata da Lou Reed in Andy’s Chest.

Anche per il brano di apertura – Vicious – c’è un simpatico aneddoto da riportare, nel quale Warhol mette il suo zampino rivolgendosi a Reed in questi termini “Hey, sacco di merda, perché non scrivi la canzone su di un violento?”, Luigi Giunco (vero nome di Lou Reed) gli risponde “ma che tipo di violento intendi di grazia?”, ed Andreino gli risponde “Oh, sciocchino, tipo io che ti colpisco con un fiore!”.

Dopo un momentino di imbarazzo, Reed si preoccupa unicamente di riportare fedelmente questa espressione rendendo celebre l’eccentricità di Warhol.

Proseguiamo rapidamente con Satellite of Love che è un brano magnifico, composto durante il periodo dei Velvet Underground anche se in versione più grossolana. Gran parte del merito per la scelta armonica si deve nuovamente al duo Ronson e Bowie che non sono sprovveduti e di musica ne capiscono veramente tanto.

New York Telephone Conversation è una perla di un minuto e mezzo che a mio avviso vale tutto l’album, forse è la canzone che più si avvicina alla musicalità del Bowie di Hunky Dory. Stesso discorso per Goodnight Ladies, una perfetta chiusura retrò che ben si sposa con la varietà sonora espressa in tutto l’album.

Per concludere, la copertina è frutto della capacità fotografica di Mick Rock che ritrae Lou Reed con colori contrastanti che lo fanno somigliare ad un Frankestein panda. In Italia il retro della copertina fu censurata per via di una foto con un tipo che aveva un erezione malcelata dai pantaloni.