Tom Jobim & Elis Regina – Elis & Tom

Dopo un lungo peregrinare siamo giunti a uno dei capisaldi della musica popolare brasiliana. Un disco – reso celebre dal brano di apertura, l’inno della beleza e alegria brasiliana, Águas de Março – che ha stabilito lo standard sofisticato di riferimento per molte delle cantanti di jazz contemporanee [lo stesso che a molti fa esclamare: “Madonna che coglioni la musica brasiliana” ndr]. 

Eh già… non me la sento di darvi completamente torto, ma è anche giusto provare ad ampliare i propri orizzonti ed esplorare situazioni non propriamente ideali: in fondo se venisse a decadere questa condizione, si resterebbe ancorati nel proprio cantuccio a cantare ad libitum le canzoni del cuore per tutta la vita.
Per carità, legittima anche questa scelta, ma che due palle eh! 

Elis & Tom è stato registrato negli Stati Uniti, lo scenario di riferimento è il seguente: Tom Jobim è l’artista di punta del Brasile, musicista acclamato a livello internazionale che vanta notevoli collaborazioni con Frank Sinatra e Stan GetzElis Regina è in una condizione non invidiabile, cantante di punta e simbolo di un regime che esalta i propri diamanti, succube della situazione fuori dal confine nazionale non gode di grande fama.
In tal senso, per premiare i 10 anni di carriera, l’etichetta della Regina gioca la carta Jobim nel tentativo di farla sfondare nel mercato internazionale. Viene predisposta, pertanto, la registrazione del disco in Los Angeles, anche se l’album in questione non avrà una beneamata cippa di americano. 

Le due personalità cozzano di brutto e nessuno arretra dinanzi l’altro, questo clima di frizione non filtra più di tanto dalla registrazione. Il duetto brioso e giocoso in Águas de Março o la dolcezza in Soneto De Separação sono per nulla presaghi di malumore.  

Durante le registrazioni sono trapelate le seguenti parole – discretamente diplomatiche – esternate dalla Regina:  

“è una merda [in riferimento al disco ndr], non c’è niente di buono, Tom è uno stronzo, un noioso, se la prende sempre con l’attrezzatura elettronica, dice che sono stonati e sintonizzati non so cosa, fa così, e la registrazione è scadente, sembra bossa-nova.” 

Ai suoi occhi, Jobim, aveva compiuto la tediosa metamorfosi da idolo a essere umano. Passati gli scazzi iniziali – e vedendo il materiale venuto alla luce – la situazione tra i due è andata migliorando, ed è lo stesso Jobim che ricorda la professionalità di Elis Regina con le seguenti parole  

“Conosce il mio repertorio meglio di me. Elis ricordava arrangiamenti che avevo già dimenticato. Qualcosa di incredibile.” 

Aldilà di Águas de Março (che giustificherebbe da sola la presenza di un disco del genere in codesto spazio digitale) ci sono altri grandissimi brani in scaletta che valgono di brutto il prezzo del biglietto: come Chovendo Na Roseira deliziosa bossa disorientante per il tempo dispari (che ad esempio troviamo sovente nella discografia degli Elii [sì, lo so, li tiro sempre in mezzo ndr]); o la magnetica Fotografia, istantanea minimale scritta da Jobim nel 1959

Fotografia è intimità pura, delicatezza disarmante, moderna ancora oggi, probabilmente il momento più alto del disco; in grado di descrivere un amore in procinto di esplodere durante un tramonto al mare. 

Águas de Março invece è concepita appena due anni prima della pubblicazione di Elis & Tom ma il successo lo ottiene grazie all’interpretazione di Elis Regina, che la veste con la sua voce e personalità.
Ispirata dalle piogge che solitamente affliggono Rio de Janeiro nel mese di marzo, è nata in un momento in cui Jobim voleva riposare, ma disturbato dal tarlo della creatività la mette nero su bianco in appena un pomeriggio. La canzone si presenta con una progressione discendente, riuscendo nell’obiettivo di rappresentare la forza del torrente che travolge tutto. 

Il testo si adegua all’impeto della musica, alternando picchi di positività a depressione, iperboli ed antitesi, tra grande ispirazione dalla poesia di Olavo Bilac Il cacciatore di smeraldi  (“Foi em março, ao findar da chuva, quase à entrada / do outono, quando a terra em sede requeimada / bebera longamente as águas da estação […]“), e in parte da un ponto de macumba di J.B. de Carvalho che comincia proprio con la linea “É pau, é pedra, é seixo miúdo, roda a baiana por cima de tudo” e per il quale Jobim è stato accusato di plagio. 

Naturalmente l’accusa di plagio è decaduta e passata in giudicato come citazione colta da parte di Jobim, resta però il fatto che mi sono dilungato eccessivamente e di questo disco ho scritto poco o nulla, anche se – per quante informazioni si trovano in giro – rispetto a tanti altri dischi di cui abbiamo discusso ci sia molto meno da scrivere. Va bè, il tempo a nostra disposizione si sta esaurendo, anche se il tempo lo decido io potrei plasmarlo in base alle mie esigenze, ma fottesega per dirla alla francese. 

Ascoltatevi il disco e perdetevi nei fraseggi di Elis & Tom, vi assicuro che lo ascolterete più e più volte senza esservene resi conto: vi entrerà sotto pelle. Non è una minaccia. 

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Tom Zé – Estudando o Samba

La parabola di Tom Zé, se non fosse reale, sembrerebbe provenire da una narrazione cinematografica statunitense intrisa di stucchevole retorica, ma essendo reale è capace di offrire un insegnamento senza tempo: mai desistere, se la qualità è reale prima o poi il mondo se ne accorgerà.  

Solitamente la vita si fa beffe degli artisti, non è casuale il rapporto tra morte e successo; come se la dipartita fosse un sigillo di garanzia per coloro che se ne vanno, una sorta di autentica del valore artistico di qualcuno che in vita ha visto la meritata considerazione col binocolo. 

Certo, la statistica è un monito, ma non mancano le volte in cui lo sfizio della ribalta mediatica in vita qualcuno se lo riesce a togliere. È il caso di molti degli artisti ospitati in questo spazio digitale, a cui fortunatamente va ad aggiungersi Tom Zé che – nonostante avesse partecipato alle turbolente manifestazioni tropicaliste – , ha inciso molti album di pregevole fattura, ma non avendo più appeal di critica e pubblico si è visto costretto ad abbandonare malinconicamente tutto per andare a fare il benzinaio. 

Per chi non lo conoscesse, Tom Zé è un fico assoluto, un giovane vecchio che maschera di rughe una giovinezza inscalfibile, un freak che a più di 80 anni ancora si tinge i capelli e presenzia sui social con più convinzione ed efficacia di me. Della mia stessa idea è David Byrne artefice di questa sua rinascita artistica e del successo internazionale che ha investito Tom

La partecipazione alla prima ondata tropicalista non è scontata, Zé si definì per gioco vanguardista retardista (nel senso di avanguardista che si ispira al passato anziché al futuro) dimostrandosi atipico rispetto agli altri artisti. Fatica con la teoria ma vola con le idee e la pratica: influenzato dalla musica dodecafonica ha saputo creare una dimensione parallela nell’ambito della musica popolare brasiliana.  

Sperimentava con maggiore decisione rispetto ai colleghi del periodo (potete confrontare la sua discografia con quanto offerto in Araça Azul, che risulta un pelo più sterile).
Nonostante ciò Zé ricorda con umile reverenza il periodo in compagnia di Veloso Gil, esaltandone la creatività e la verve politica due e lamentando di fatto una propria incapacità nel saper essere ficcante quanto loro nel dibattito nazionale e contro il regime.
Eppure per lui non c’è stato esilio bensì due arresti passati nelle carceri brasiliane, e nonostante ciò ha avuto il coraggio di partorire perle di dissidenza criptiche, come ad esempio la copertina del grandioso Todos Os Olhos sul quale campeggia un buco di culo con una biglia in mezzo (che può essere tranquillamente confuso per un occhio da lontano o per una bocca atta a imprigionare una biglia tra le labbra).  

Insomma, materiale che ridimensiona notevolmente gli individui che al giorno d’oggi si spacciano per sovversivi e dominano le nostre vite mediatiche con i loro 15 minuti di celebrità [spengo immediatamente la polemica da matusa ndr]. 

Detto ciò, è un’altra copertina che fa svoltare la vita a Tom, quella di Estudando o Samba, nella quale il filo spinato si intreccia ai cavi, definita da stesso [perdonate il gioco di parole da trattoria ndr] “una trappola” con la quale è riuscito a ghermire un innocente David Byrne – recatosi a Rio de Janeiro per un festival del cinema nel 1986.
Byrne rimase stupito dal fatto che su un disco di samba non ci fossero dei culi in copertina.  
 ha ideato una gabola da pubblicitario navigato che tende a catturare l’attenzione grazie al sapiente uso della parola samba accompagnata – con carattere minuscolo – dal gerundio “estudando” in riferimento agli “studi” che fanno parte del ramo della musica classica. 

In aggiunta, la deliziosa scaletta posizionata sul retro-copertina, sembra redatta in base agli stilemi della poesia futurista fatta di monosillabi e bisillabi (ad eccezione dell’interpretazione di A Felicidade del duo Jobim Moraes, e Índice):  

TocVaiUi!DoiMãeHein?Se

David Byrne resta folgorato dall’ascolto di questo disco [l’influenza che ha avuto sulla concezione di musica pop di Byrne è tangibile, basti pensare a Toe Jam ndr] e un paio di anni dopo riesce a mettersi in contatto con Tom Zé; lo strappa da un destino lontano dal mondo musicale, e lo mette sotto contratto con la sua casa discografica, garantendogli la giusta visibilità che avrebbe meritato già da tempo. 

In tutta questa tempesta Tom Zé ha mantenuto la barra dritta, dimostrando la sincerità di chi non si piega a nessuna logica di mercato, sacrificando – in misura – il successo in confronto ad altri colleghi più quotati ma meno incisivi. Ha sempre rispettato la propria urgenza artistica, farlo per oltre cinquant’anni non è mestiere per molti e questo penso che sia un motivo valido per ascoltare questa pietra miliare della musica mondiale. 

Gilberto Gil – Louvaçao

Non si può raccontare di tropicalismo senza portare in cascina almeno un disco di Gilberto Gil, e allora perché non scrivere del suo esordio discografico? Prima di tutto tengo a fare una precisazione su Gilberto Gil: ad inizio carriera sembrava molto più vecchio e cattivo rispetto ad oggi; sarà per quel pizzetto che già negli anni ‘60 appariva anacronistico, per gli occhi luciferini, o per altro, ma comunque dimostrava 40 anni quando ne aveva poco più di 20 anni. 

Gilberto Gil è un autentico monumento della cultura e della musica brasiliana, alfiere della rivoluzione sonora che ha investito il paese nel quale si è sempre contraddistinto per il grande spessore umano. Sin da bambino ha dimostrato di avere le idee chiare riguardo il suo futuro: “Quando avevo due anni e mezzo, ho detto a mia madre che sarei diventato un musicista o Presidente del mio paese” 

La congiunzione da disgiuntiva per poco non si è trasformata in semplice, difatti oltre ad aver intrapreso sin da piccolo il percorso musicale la via politica non è stata accantonata: da tropicalia alla dissidenza – col conseguente arresto e l’esilio nella terra d’Albione -, Gilberto ha continuato a mantenere una coscienza politica molto radicata, prendendo spesso posizioni distinte sull’apartheid e sul fronte antropologico (il documentario Gil Viramundo, prende proprio il titolo dal brano Viramundo contenuto in Louvaçao), arrivando a raggiungere la carica di Ministro della Cultura durante il primo governo Lula

Tornando alla sua carriera musicale, la madre è colei che crede fermamente nelle capacità di Gilberto, comprandogli anche una fisarmonica (sulle orme di Luiz Gonzaga), strumento che troviamo nella già citata Viramundo; apprende inoltre i rudimenti della batteria e della tromba. Sempre in giovane età incontra Dorival Caymmi – proveniente direttamente dalla epoca de ouro della musica brasiliana – che influenza il suo stile con il suo modo di intendere la samba. Ulteriori elementi che catalizza l’attenzione di Gilberto sono gli artisti di strada e i musicisti forró tipici della tradizione nordestina

In ultimo, con la ventata della bossa nova portata da João Gilberto e Tom Jobim, sceglie come strumento principale la chitarra, che lo accompagnerà per tutta la carriera artistica. 

Tutte queste influenze si uniscono in Louvaçao, un disco che a dispetto di quanto scritto riguardo tropicalia, non si nutre delle altre culture (tranne che nel testo della marziale Lunik 9 nel quale affronta un tema caro alla corrente tropicalista come l’esplorazione spaziale), bensì radica la propria esistenza nelle ricchissime fondamenta melodiche del Brasile, come dimostra Ensaio Geral, singolo che lancia il disco, risultando un abile compendio del forró, della samba, della bossa nova, del baião nordestino, senza tralasciare il tema religioso – che spicca in Procissão – che si inserisce tra i testi dallo spiccato accento sociale (come Roda o Água de Meninos che racconta dell’incendio divampato nelle banchine del porto, avvenuto durante l’omonima fiera molto comune nei piccoli centri abitati del nordest). 

Louvaçao vive anche del sodalizio tra Gilberto Gil e gli altri parceiros José Carlos Capinam e Torquato Neto, quest’ultimo co-autore di molti dei brani presenti in questo esordio e che abbiamo già visto in Vento de Maio, brano dell’omonimo disco di Nara Leão. Al disco partecipa anche Caetano Veloso, che lo stesso Gilberto ha conosciuto nel 1963 presso l’Università Federale di Bahia a cui son seguiti gli incontri con Tom ZéMaria Bethania e Gal Costa, coi quali saranno gettate le basi del tropicalismo (come abbiamo avuto modo di vedere in Tropicalia: ou Panis et Circencis). 

Caetano regala a Gil un prototipo di canzone, Beira-Mar, chiedendogli di completarla. Gilberto si è interrogato a lungo sulla bontà del testo già steso da Veloso, recalcitrante nel mettere mano a qualcosa che reputava già buono ha poi trovato le parole giuste per completarlo ed interpretarlo, incastrandosi naturalmente nella tracklist di questo disco d’esordio. Louvaçao, molto più di altri dischi presentati in questo ciclo, offre un ampio spettro delle sonorità brasiliane; un disco che ai primi ascolti può apparire sottotono, ma che acquisisce uno spessore di volta in volta che risuona.  

Sono sicuro troverete un posto nel vostro cuore per questi 41 minuti e 50 secondi. 

Egberto Gismonti – Egberto Gismonti

-Buongiorno sig. Pillole, oggi quale storia ha intenzione di raccontarci? 

-Buondì, proporrei il disco d’esordio Egberto Gismonti

-Mi perdoni, ma con tutto il popò di robetta bela gostosa che ci offre Brasil lei mi va a pescare un tizio dal nome campagnolo che sembra provenire dalle Marche sporche? Chi è Egberto Gismonti e perché ha deciso di raccontarci proprio di lui? 

-Beh sicuramente in quanto italo-brasiliano, quindi la sua presenza calza a pennello all’interno di questo ciclo di pillole. Poi perché è discretamente bravo il ragazzo e ha avuto una carriera di tutto punto, diciamo che non devo essere io a farvelo scoprire. Anzi, se non lo conoscete è una grossa pecca vostra, visto che non è che sia di primo pelo è può contare già oltre le 70 primavere. 

-Ok chiaro, allora ci può evidenziare i punti di tangenza tra la sua idea musicale e quella di altri artisti già trattati in questo ciclo, o magari tra gli altri che si andranno a trattare? 

-La contaminazione è l’argomento principe quando si analizza la musica brasiliana, figlia dell’incontro tra anime e diverse culture, sapientemente espressa da Milton Nascimento, nel quale troviamo affinità lapalissiane quando andiamo a scoprire il lato più pop della musica di Gismonti. Poi direi che in Gismonti è possibile ritrovare tutta la scena del choro e del jazz brasiliano – con le felici declinazioni internazionali – quindi è facile trovare un ampio respiro nella sua musica, che non va solo da MorceiroPixinguinhaVillas Lobos e Jobim ma arriva a Getz Brubeck. Insomma, far coesistere tutto questo popò di roba con naturalezza non parmi cosa da poco.  

-Mi ha trasmesso quasi voglia di ascoltare questo Egberto Gismonti, anche se faccio una gran fatica a non inciampare nella pronuncia sdrucciola e piana di questo nome tanto italiano quanto straniero. Come posso fare caro signor Pillole? 

-Si rivolga ad un logopedista, è tutta una questione di pratica, come avviene per gli scioglilingua. A proposito ha mai provato a ripetere velocemente e più volte “mazzo di carte, carte di mazzo”? 

-Sì, ci ho provato, ma intendevo che bramo qualche guizzo pecoreccio, voglio dire… questa pillola fin qui è più piatta della pianura padana, sa meglio di me che la gente vuole il sangue e noi dobbiamo dargli il sangue, accenda la scintilla della curiosità nei nostri lettori più pigri, suvvia! Sollevi la coscia come Sharon Stone, ci regali un brivido che dal coccige scorra fin la cervicale e si irradi lungo la cartilagine delle orecchie. 

-Lei è un marpione incontentabile, sempre a pensare alle donnine. Siamo qui per parlare di figa o di musica, ma insomma! Quindi vuole qualche suggerimento su Pornhub o preferisce altri portali? 

-No, di grazia, il guizzo deve appartenere all’artista in questione, non divaghiamo signor Pillole ho semplicemente usato la metafora di Sharon Stone

-La prossima volta non sia così criptico e viscido ma si limiti a rivelare subito la sua anima signor intervistatore. Comunque, le peculiarità di Gismonti sono relative alle proprie origini italiane (madre catanese) e libanesi. Eccellente chitarrista (non è un caso che ci sia un tributo a Wes Montgomery, che ammicca fortemente al miglior periodo di David Axelrod) e pianista, nel suo umore coabitano le influenze europee e mediterranee fuse nel ritmo brasiliano, in una via sperimentale e che difficilmente può essere reputata noiosa da chi si imbatte in Gismonti

Ad esempio, prenda O Gato, lì si respira lo spirito metropolitano del Brubeck di Jazz Impressions of Japan. Tanta roba. Un crescendo, un continuo precipitarsi claustrofobico in fughe pianistiche con tiro clamoroso. Mentre l’orchestrazione di Clama-Claro ci ricorda (per l’ennesima volta, se fosse necessario… e a quanto pare lo è) che Sufjan Stevens non si è inventato nulla. 

-Ok, ora sì che mi ha acceso la scintilla, devo ammettere sinceramente che non riesco ancora a vincere una resistenza. Difatti mal digerisco chi non è nativo di una certa cultura musicale e se ne appropria. Nello specifico, lei ha sottolineato come la cultura musicale europea e mediterranea abbraccino quella brasiliana. Trovo un po’ forzata questa definizione, soprattutto per un disco d’esordio, quando uno è giovane non può avere la piena consapevolezza musicale delle proprie origini.  

-Non mi soffermerò più di tanto sul fatto che lei è un tanghero miope e di quanto modesto e fallace sia il suo dubbio, forse pensare troppo a Sharon Stone negli anni ha contribuito a ridurre il suo campo visivo e ad annebbiarle i pensieri. Piuttosto mi soffermo nello specifico caso alla formazione musicale di Gismonti, che oserei definire universale.  

-Lei è esagerato Pillole, usa delle iperboli per ridicolizzare un dubbio legittimo.  

-Esagerato un cazzo. Pensi che Gismonti già all’età di 6 anni ha cominciato a studiare pianoforte al Conservatório Brasileiro de Música, dopo 15 anni di studi classici viene accettato come allievo di Jean Barraqué, a sua volta ex-allievo di Arnold Schönberg e Anton Webern, quindi vira verso la dodecafonia. Successivamente può fregiarsi di essere stato allievo anche di Nadia Boulanger, con la quale ha approfondito l’analisi musicale e compositiva.  

Sarà proprio la Boulanger – che negli anni ha avuto come studenti Philip Glass e Astor Piazzolla – a riportare il suo cono visivo diretto alla musica brasiliana, lasciandogli intendere quanto fosse importante far confluire quanto appreso con la musica del suo paese nativo. 

Quindi come vede, non c’è nessuna forzatura, Gismonti si è semplicemente fatto il culo e può permettersi di applicare un’idea musicale del genere senza apparire tracotante. 

-Credo che Lei la stia prendendo un po’ sul personale, ma facciamo finta di nulla. Quindi stando a quanto dice la musica brasiliana dovrebbe restare il fulcro della poetica musicale di questo disco d’esordio di Gismonti

-Non solo, O SonhoEstudo N°5SalvadorPr’Um Samba sono solo alcuni brani presenti nel disco d’esordio che corroborano quanto sostenuto in precedenza, ma la brasilianità è centrale nell’intera carriera di Gismonti, non è un caso che subito dopo lo studio sostenuto con la BoulangerEgberto si ritrovato nella regione amazzonica dello Xingu con la tribù degli Yualapeti contribuendo a modellare ulteriormente il manifesto musicale e personale del Gismonti

-Insomma un approccio antropologico alla Levi-Strauss, o per essere ancora più pertinenti, alla Alan Lomax

-Sì corretto, Lei dopotutto non è un babbeo come sembra. 

-La ringrazio, sempre parco coi complimenti. 

-Di nulla.  

Qui da pillolemusicali8bit.com è tutto, ascoltate questo album, sono sicuro che questo disco saprà rapire le vostre orecchie già al primo ascolto. E se vi fermerete ad un ascolto e basta, siete delle persone male. Chiudo la polemica tra me e il sottoscritto, che ha condizionato l’andamento di questo racconto.  

Sergio Endrigo – Exclusivamente Brasil

Si torna a raccontare Sergio Endrigo e lo si fa sempre in occasione del ciclo brasiliano, già, perché Endrigo probabilmente è stato il più brasiliano degli italiani (o il più italiano dei brasiliani), e tanto della delicatezza e della poetica di Endrigo si è radicata nel cantautorato brasiliano, in un do ut des vivace e vincente.  

Questa volta porto alla luce un disco che ahimè non è conosciuto quanto dovrebbe dalle nostre parti, o meglio non è che sia proprio conosciuto in giro, un disco inedito in Italia, pubblicato esclusivamente in Brasile in vinile e “também em musicassete” ma mai su CD, addirittura sulla pagina wikipedia non compare nella cronologia delle pubblicazioni discografiche e nel web è difficile trovare informazioni degne di nota, figuriamoci su Spotify). 

Il rapporto tra Sergio Endrigo ed il Brasile è sedimentato e con robuste radici: nasce nel 1964 con il primo concerto sostenuto a San Paolo, in quell’occasione ha avuto modo di conoscere artisticamente Vinícius de Moraes, portandolo all’attenzione di Sergio Bardotti. Qualche anno dopo Bardotti ha conosciuto de Moraes, presentandolo a Endrigo e conducendoli all’ideazione di La Vita Amico È l’Arte dell’Incontro (con il quale Endrigo ha fatto conoscere Toquinho con de Moraes). 

Quindi, considerare Exclusivamente Brasil “exclusivamente” una registrazione ad hoc per il pubblico brasiliano sarebbe una interpretazione miope e ingenerosa nei confronti di Endrigo; certo il Brasile e i brasiliani hanno dimostrato a più istanze il proprio affetto nei confronti del nostro amato cantautore, facendolo sentire a casa nonostante la distanza oceanica, tanto che nelle 12 tracce del disco sciorina con disinvoltura un eccellente portoghese zuccherino. Ma Exclusivamente Brasil è perlopiù un disco di amicizia, tributo e ringraziamento nei confronti dei tanti degli interpreti che hanno contribuito ad arricchire l’espressività musicale di Endrigo (e che sono stati trattati nel ciclo brasiliano di pillole). 

Troviamo ad esempio il Samba em Preludio accompagnato alla voce da una giovane Fafá de Belém di Vinícius de Moraes e Baden Powell, incisa nell’ultimo album di Baden Powell Le Monde Musical de Baden Powell, eseguita nel tempo anche da Toquinho con Vinícius, e con traduzione di Bardotti assieme a Ornella Vanoni in La Voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria. Presenzia Morena do Mar di Dorival Caymmi e interpretata in Vento de Maio da Nara Leão, sempre con interpretazione dalla Leão – assieme a Chico Buarque (su un’inequivocabile composizione di Sivuca) – c’è João e Maria presente in Os Meus Amigos São Um Barato. 

Carinhoso di PixinguinhaTrocando Em Miúdos di Chico BuarqueCafé Da Manhã di Roberto Carlos (con cui ha condiviso la vittoria a Sanremo nel 1968) e Ana Luiza di Jobim ornano una scaletta che si snoda principalmente tra i regali di Vinícius con Samba Para Endrigo e A Rosa di Chico Buarque

A Rosa è stata pensata e scritta appositamente da Chico Buarque per Endrigo, che duetta nel brano in un’alternanza di versi intensa, uno scioglilingua che non lascia tanto tempo per pensare, un flusso rapido di giochi di parola che lasciano in uno stato di euforia chi ascolta. Rientra nella gilda di quei brani che devi ascoltare più volte solamente per capire come è strutturato e il perché sia strutturato in questo modo. Nel 1995 Djavan ne ha interpretato una versione decisamente meno divertente di quella offertaci in Exclusivamente Brasil

Spostando il cono di luce su Samba Para Endrigo ci si accorge del legame quasi fraterno che intercorreva tra Sergio EndrigoVinícius de Moraes. Il Maestro non solo ha scritto delle strofe in dedica al cantautore italiano, partecipando alla registrazione di Exclusivamente Brasil assieme a Toquinho, ma ha deciso di includere la stessa Samba Para Endrigo all’interno del suo ultimo lavoro Um Pouco de Ilusão dal canto suo Endrigo successivamente alla morte di de Moraes lo ha omaggiato con Ciao Poeta (sulla base della composizione di Baden Powell). 

Dimenticavo quasi di menzionare che l’arrangiamento della maggior parte dei brani nel disco è stato curato da Antônio Renato Freire de Carvalho Fróes, produttore che ha collaborato anche con Chico Buarque e Caetano Veloso in Juntos e Ao Vivo, Caetano Veloso Araçá Azul, Gilberto Gil, Tom Zé in Estudando O SambaGal Costa, Maria Bethânia, Luiz Melodia e tanti altri artisti degni di nota. 

Dopo queste poche righe di colore, mi permetto di chiudere scrivendo che Exclusivamente Brasil è una chicca che scorre rapida, alcune interpretazioni sono magistrali e vi renderete conto di non poter fare a meno di ascoltarle. Fortunatamente lo potete trovare tutto su YouTube, certo la qualità è quella che è, però se vi capitasse di innamorarvi come è accaduto a me, avrete modo di reperire facilmente il vinile online (naturalmente di seconda mano).  

Chico Buarque de Hollanda – Construção

Analogamente all’esilio romano di Chico, anche Pillole si è autoesiliato (dall’etere digitale) per respirare e astrarsi dalla giungla di parole che ha adornato le nostre vite da un anno a questa parte.

Come Chico ha cercato di mantenere viva la fiamma intellettuale, anche questo spazio digitale ha tentato – in primis – di sopravvivere a quest’anno balordo, mantenendo lucidità e maturando una coscienza differente rispetto al passato: centellinando le parole.

Ci eravamo lasciati quindi al volontario esilio romano di Chico Buarque de Hollanda, durante il quale ha avuto modo di registrare tre dischi, dopo questa parentesi per lui giunge il tempo di tornare nella terra natia, nel pieno fulgore della dittatura militare.  

Siamo di fronte a o milagre econômico brasileiro che: coincide con la censura dei media; l’esilio (o la scomparsa) dei dissidenti; la vittoria del terzo mondiale di calcio e la coniazione del motto: Brasil, ame-o ou deixe-o (Brasile, amalo o lascialo).  

C’è chi ha avuto il coraggio di esporsi in prima linea con aperta ostilità e – nel migliore dei casi – è stato arrestato, come Gilberto Gil e Caetano Veloso, e chi ha cercato invano di non compromettersi per poi tornare e provare a cambiare le cose quando cambiarle appariva quasi impossibile. 

Il cambio di marcia è proprio Construção: atto di critica e d’amore per il proprio paese ferito col quale Chico si mette in gioco pubblicamente. Un attacco frontale ad un paese prono che al contempo vive il boom economico, un guanto di sfida lanciato alla pubblica censura che comporta qualche inevitabile revisione del testo da parte del “Ministero della Verità”. 

In apertura Deus Lhe Pague (Dio ti benedica) è l’angosciante scioglilingua che introduce l’ascoltatore in questo nuovo mondo, amaro e frustrante, nel quale ogni povero cristo è vessato e costretto a ringraziare i propri aguzzini pur di vedere salva la vita. Desalento è una carezza romantico alla quale Vinícius de Moraes contribuisce, come per la tenera Valsinha (della quale esiste una versione italiana scritta da Bardotti ed interpretata da Mia Martini), composta a seguito di uno scambio epistolare tra il poeta e il suo giovane parceiro

Generalmente in Construção è misurabile una consapevolezza differente nei propri mezzi: non c’è più il tiepido Chico di A Banda che cerca di trasmettere la felicità, ma un uomo adulto che tramite l’epica disincantata della title track (in italiano sempre a firma di Bardotti cantata da Jannacci) punta il dito verso la precaria condizione dei lavoratori. Pedoni resi alieni – condannati a morte prima che il gioco cominci – da sacrificare senza smarrimento emotivo sull’altare del modernismo e dell’urbanismo: “si muore disturbando il traffico”. 

Questa macabra poesia, ossessiva nello sviluppo – che varia nelle sfumature ma non nel concetto -, racconta l’ultimo giorno di vita di un operaio qualunque e lacera il velo d’ipocrisia sociale. Essa presenta un’attinenza contemporanea che mette i brividi se si pensa alla precarietà in cui versa oggi il paese del Pan di Zucchero, nel quale si è tornati a classificare e immolare i cittadini in base all’estrazione sociale. 

La distanza vissuta da Chico ha acuito la sofferenza per la condizione vissuta dal Brasile; fa perciò tesoro degli insegnamenti italiani, lo si respira nel ritmo ferino e serrato di alcuni suoi brani – soprattutto – ad inizio di disco, che si sviluppano con un incedere convulso e asfissiante, salvo poi tornare all’incanto tipico di Chico con Minha historia – la versione brasileira di 4/3/1943, una carezza all’Italia e al suo amico Lucio Dalla – e Samba de Orly.  

L’origine non è chiarissima ma la storia più accreditata vuole che fosse stata pensata sulla musica che Toquinho, nel suo ultimo giorno romano (1969), ha donato a Chico e sul quale il nostro occhi di ghiaccio ha scritto un testo denso e ricco di malinconia. Tra queste strofe sembra che Vinícius abbia introdotto 3 versi, cassati dalla censura: “Chiedi perdono / per la mancanza / un po’ forzata” divenuti poi “Chiedi perdono / per la durata / di questo periodo”.  

Toquinho la ricorda così: “L’Italia era il paese scelto da Chico per l’esilio, e mi invitò a seguirlo. Suonammo alla Bussola di Viareggio, poi il nostro produttore ci inserì nello spettacolo di Josephine Baker. 35 concerti in tutta Italia, da nord a sud. Quando sono tornato in Brasile, ho lasciato a Chico un tema senza testo. Prima di salire sull’aereo, lui mi diede un foglio con quattro versi. Due anni dopo nacque ‘Samba de Orly‘, scritta anche con Vinícius. Orly era l’aeroporto in cui sbarcava la maggioranza dei brasiliani perseguitati dal regime militare.” 

Construção è storia. Un piacevole ascolto, aldilà dei temi di indiscutibile densità, un valore per conoscere e approfondire uno periodo doloroso della storia contemporanea brasiliana e per gustare il più che eccellente accompagnamento musicale degli MBP-4 e di Tom Jobìm (in Olha Maria).  

Vinícius de Moraes, Ornella Vanoni & Toquinho – La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria

Ci sono delle cose da mettere al loro posto prima che sia troppo tardi.  

Una di queste è ridare il giusto risalto a Ornella Vanoni, adesso. Prima che sia troppo tardi.  

Molto spesso vittima delle sbeffeggianti bestie dell’internet, senza macchia e, scarsamente empatiche. La frustrazione è una brutta bestia e il passato frequentemente viene cancellato con un colpo di spugna che manco Viakal con le incrostazioni. 

Ornella Vanoni è una gran Donna, ha scritto capitoli della musica leggera italiana, è simbolo di emancipazione femminile ante litteram. Non solo per il jazz (che? Ahhhh il jazzz!) e per le scelte artistiche di spessore (tra cui l’esordio di carriera a teatro e le varie collaborazioni con Albertazzi e Proietti), quanto perché simbolo di libertà nello scegliere ciò che ha reputato giusto per lei. Senza preconcetti, o senza seguire il parere di un’opinione pubblica che in tempi di DC ha fatto il bello e il cattivo tempo in un’Italia bigotta. 

Questo disco – a modesto parer mio – la celebra e ne riconosce l’importanza nel panorama internazionale con una collaborazione tra Italia e Brasile che ha dato i suoi frutti (io li metto nel forno [gli Elii non li dobbiamo mai e poi mai accantonare! Ndr]. 

Chi c’è a capo dell’operazione se non il nostro caro Sergione Bardotti?  

Colui che ha tradotto tutti i testi presenti nel disco e ha aiutato a imbastire questo meraviglioso ambaradan. 

Il filo conduttore è nelle canzoni scritte da Vinícius de Moraes (insieme ai parceiros di una vita come Baden Powell, Tom Jobim e Chico Buarque), di cui il disco è composto. Un compendio utile per avvicinarsi al mondo di de Moraes (qualora lecitamente non voleste fare la trafila che vi ho proposto nei precedenti post).  

Tra saudade, felicità, tristezza, pazzia e allegria, si inseguono melodie e canzoni che hanno accidentalmente conquistato un posto speciale nella nostra memoria – conquistato non si sa come negli anni – come per La Voglia, La Pazzia (Se Ela Quisesse) inconsciamente divenuto un inno all’amore e all’innamoramento  

“Cerchiamo insieme 
Tutto il bello della vita 
In un momento 
Che non scappi tra le dita” 

“A questo punto 
Buonanotte all'incertezza 
Ai problemi all'amarezza 
Sento il carnevale entrare in me” 

Sono versi di una bellezza disarmante esaltati dalla traduzione di un Bardotti, che anche in altri brani lascia a bocca aperta per la capacità, già espressa negli altri lavori, nel traslare le emozioni originali nella versione italiana. A questa base già densa, si aggiungono le esecuzioni di Ornellona che lascia scivolare le note dalla bocca con una semplicità imbarazzante, tanto leggiadra da sembrare camminare sopra l’acqua.  

Canta in una lingua creola a cavallo tra il portoghese zuccheroso e l’italiano, imbambolando l’ascoltatore in un trompe-oreille tambureggiante, come ad esempio in Senza Paura (Sem Medo) o nel Samba della Rosa (Samba da Rosa), tanto da ingannare anche con una Anema e Core piazzata di sfuggita in mezzo al disco, con quel napoletano che tanto si avvicina alla morbidezza, musicalità e alle sfumature liriche del brasiliano. 

“Quel disco è tra i capolavori mondiali di quel periodo. Con il mio produttore, Sergio Bardotti, andammo a San Paolo del Brasile per incontrare Vinícius Toquinho. Poi loro ci vennero a trovare in Italia, a Roma, dove abbiamo registrato tutto in tre mesi. Ci siamo divertiti tantissimo. Stavamo sempre insieme. Mangiavamo, ridevamo, piangevamo: allora si lavorava così. Erano periodi in cui si stava tutti sempre insieme. Oggi è diverso”. 

Il ricordo della Vanoni in merito è veritiero, ed è una confessione che lascia riflettere sul come si viveva la musica ed i rapporti umani. Si faceva squadra entrando in simbiosi con i propri colleghi, riuscendo ad entrare in pieno nelle tracce da cantare, vivendole prima nell’anima e poi nella pelle, facendosi stimare da personaggi di caratura internazionale come de MoraesToquinho. I quali vengono celebrati con Samba per Vinícius (Samba pra Vinícius) a chiusura del disco (brano scritto da Chico BuarqueToquinho in omaggio a Vinícius nel 1974). 

Quindi lasciatemelo gridare con gaudio magno: Viva, viva, Ornella!

João Gilberto – Chega de Saudade

Il solco della Bossa Nova è stato tracciato da Tom JobimVinícius de Moraes con Orfeu da Conceição, ma chi ne ha definito il perimetro è stato João Gilberto, il parceiro che mancava agli altri due per dare forma allo stile musicale in maniera definitiva. 

È prioritario cercare di definire in primis il significato di Bossa Nova. Gildo De Stefano, uno dei massimi esperti di musica brasiliana, spiega che la mera traduzione letterale del termine indicherebbe una “nuova protuberanza”, in senso lato sarebbe interpretabile come “nuova attitudine”. 

Con Bossa Nova quindi si è cercato di indicare qualcosa di più che al passo coi tempi, un qualcosa che dei tempi ne ha stabilito i confini. 

In tutto questo, chi era João?  

Colui che ha dato il tocco alla Bossa, il suo massimo esponente. Il trait d’union tra passato e futuro della musica brasiliana.  

Sembra che il suo modo di cantare, così malinconico ma deciso, dritto e privo di vibrati, fosse ispirato all’espressività sonora di Miles Davis, più in generale al jazz moderno, quello che i critici “bianchi” [per dirla alla Miles, severamente incazzato ndr] hanno etichettato – con sdegno di Davis cool jazz.  

Citando il buon Maurizio Costanzo “Che? Ahhh il jjjezzz”, Sì, proprio quello! Si è rivelato di fondamentale ispirazione per Gilberto.  

Quindi da questo calderone sono cominciate a pulsare fuori le idee musicali di João, che hanno incontrato la freddezza di un pubblico tradizionalista, ancorato al samba e ad una fruizione musicale vetusta.  

Tra il peregrinare ramingo e un collasso cardiaco, sembra che il destino del buon Joazinho sia quello di abbandonare la musica, ma la vita ti aiuta quando meno te lo aspetti e come ci ricorderà Vinícius qualche anno dopo, “la vita è l’arte dell’incontro”.    

L’incontro in questione è quello con Jobim che in profonda amicizia lo aiuta nella definizione del proprio IO musicale. Solo in ultimo interviene de Moraes che evolve i testi in qualcosa di leggiadro, delicato, estremamente sensibile. 

Vede la luce così il primo disco Bossa Nova, quello Chega de Saudade che riceve in dono il titolo dall’omonimo brano, Manifesto musicale della Bossa. Chi di voi lettori ha qualche base musicale, è a conoscenza di quanto sia una pigna nel culo suonare fedelmente brani di Bossa alla chitarra.  

Chega de Saudade contiene il ritmo samba con armonie e melodie del jazz, la peculiarità del brano è quel cambio dagli accordi minori in maggiori che offrono un’apertura al brano, conseguente al testo. 

Una traduzione fedele del titolo potrebbe essere “Basta con la nostalgia”, anche se come vedremo nei prossimi articoli, il sentimento di saudade ha una complessità smaccata e non può essere ridotto a mera nostalgia. Nel brano, sapientemente scritto da de Moraes e musicato da Jobim, si racconta con le parole e con accordi minori di come il soggetto protagonista sia triste per la distanza dalla propria amata: 

Mia tristezza, vai e dille che senza di lei 
Non può essere, Dille in una preghiera 
Che deve ritornare,  perché io non posso più soffrire.  Basta con la nostalgia la realtà è che senza di lei non c’è pace, non c’è bellezza 
È solo tristezza e malinconia 
Che non va via da me, non va vie, non esce 

Da qui parte una modulazione in tonalità maggiore, a cui corrisponde un cambio di prospettive. Il brano si apre. Si percepisce la speranza che balena nella mente del soggetto “Ma se lei tornasse…” con relative seghe mentali su quanto sarebbe bello se si verificasse quella condizione. 

Ma se lei tornasse, se lei tornasse, 
che cosa bella, che cosa pazza.  Ci sono meno pesciolini che nuotano nel mare 
che i baci che le darei 
sulla sua bocca, tra le mie braccia. 
Gli abbracci devono essere, milioni di abbracci 
così vicino, così attaccato, così silenzioso 
Abbracci e baci e affetto senza fine. 
Per farla finita con questa storia di te che vivi senza di me 
Non voglio più queste storie di te lontano da me. 

Quindi il brano subisce a metà una rottura, che intende spezzare la nostalgia, per dare vita alla speranza. Ci troviamo di fronte a un brano di una bellezza rara, frutto di tre menti geniali, dei tre caballeros della Bossa Nova

Pertanto, siate gentili con voi stessi, cercate di ascoltare con cognizione di causa questo breve disco di 22 minuti. Coccolatevi in questo tripudio, di allegria, malinconia, felicità e tristezza, che in fondo sono i sentimenti che viviamo oggi, tanto contrastanti quanto è la vita. Chega de Saudade è un album seminale per capire la ricchezza della musica brasiliana, ci troverete la meraviglia di Desafinado che anch’ella da sola varrebbe tutto l’album, ne apprezzerete ogni sfumatura, anche solo per la dolcezza di Ho-ba-la-la o per la felicità che piccoli brani come Bim Bom trasmettono fin sotto l’epidermide. 

 Buon ascolto. 

Vinícius de Moraes & Tom Jobim – Orfeu da Conceição

Che Vinícius fosse un dritto lo si sapeva, ma quanti di voi sono a conoscenza di come è avvenuto il suo ingresso nel mondo della musica e del suo primo 33 giri?  

Mi riferisco al disco che ha concretizzato l’incontro artistico con Tom Jobim, in una fusione tra mitologia (il mito di Orfeo e Euridice attualizzato nelle favelas), poesia e al sapore di Stravinskij

Troppi input. Cerchiamo di mettere un po’ d’ordine. 

L’Orfeo può essere definito il Manifesto che racchiude le pietre angolari della poetica di Vinícius: la fede cieca nell’Amore, l’ossessione per la Morte. L’Orfeo è figlio di una gestazione dilatata, oltre dieci anni di pensieri sviluppati durante periodi spesi tra il giornalismo e l’ambasciata brasiliana a Parigi, che vedono la luce con la pubblicazione dei testi nel 1954

Nel 1956 viene presentato a Vinícius il giovane pianista Antonio Carlos Jobim (detto Tom). Da questa unione nasce uno dei sodalizi più poetici della storia musicale. Jobim musica l’Orfeu da Conceição (con la compartecipazione del chitarrista Luiz Bonfá e l’intervento di Roberto Paiva alla voce per Um Nome de Mulher) agevolando con idee brillanti la realizzazione dell’omonima pièce teatrale e segnando l’ingresso di Vinícius nel mondo musicale. 

“Credo che la gente possa considerarlo un matrimonio ideale. Vinícius mi aveva insegnato tante cose. Era un uomo di grande cultura, poliglotta senza ostentazione, meraviglioso poeta, fine scrittore. Inoltre, anima generosissima. Passavamo giornate insieme, io al pianoforte, lui col suo pezzo di carta. […] Educato a Oxford, diplomatico a Parigi, triste a Strasburgo, vissuto a Los Angeles dove aveva scritto Pátria Minha. Intravedeva sempre il lato umano delle cose […]. Solo un individuo come Vinícius, che conosceva la musica della parola, lui che avrebbe potuto essere un professionista, poteva comporre i testi che ha composto.” 

Jobim descrive con queste parole la relazione artistica con de Moraes, espressioni che trasudano genuina amicizia e grande tenerezza. 

Ordunque, Orfeu da Conceição viene quindi trasposto cinematograficamente con il titolo di Orfeu Negro, vincendo Oscar e Palma d’Oro. Insomma un successone.  

La pellicola ha avuto il pregio di veicolare l’amalgama tra poesia e musica del duo Jobimde Moraes al grandissimo pubblico, facendo ottenere – a questo felice tentativo di commistione artistica – un tripudio discografico e altrettanta rilevanza internazionale. Ma, ancora di più, si impone con passo felpato nella storia della musica, visto che il sodalizio getta le basi della Bossa Nova.  

Non è un caso che nella meravigliosa Overture, si possano ascoltare dei marcati passaggi di A Felicidade, uno dei temi più celebri della Bossa, che troverà la sua versione definitiva nel film Orfeu Negro (poesia malinconica ripresa dai principali interpreti della scena brasiliana, tra i quali anche Tom Zé in Estudando o Samba).  

Parole che fluttuano nell’aria con meravigliosa leggiadria 

Tristeza não tem fim 
Felicidade sim… 
A felicidade è como a pluma 
Que o vento vai levando pelo ar 
Voa tão leve 
Mas tem a vida breve 
Precisa que haja vento sem parar
 

Tristezza non ha fine 
Felicità, sì 
La felicità è come la piuma 
Che il vento porta per l’aria 
Vola lieve 
Ma ha una vita breve 
Bisogna che il vento non cada