Elza Soares – A Mulher do Fim do Mundo

Ebbene sì! Siamo alle battute finali, sento il friccicorio nell’aria di questo ciclo di pillole che si va esaurendo, e lo fa con un mini botto, con un minicicciolo, con un pop-pop, con una miccetta (senza scomodare raudi, zeus e mefisti vari).
Molti di voi staranno tirando un sospiro di sollievo, finalmente si torna a parlare di altro, ma in fondo la divulgazione è anche cercare di pisciare – in qualche modo – fuori dal seminato. Mi rendo conto di averlo fatto abbondantemente. 

Sono lieto però di dedicare proprio in calcio d’angolo un posto a Elza Soares: un caposaldo della musica brasiliana
[la metafora calcistica, come avrete modo di leggere, è pertinente; e prima di continuare con la lettura, vi consiglio caldamente di avviare A Mulher do Fim do Mundo, in modo da creare il pathos di cui abbisogniamo ndr]. 

La storia che andremo a rivivere è di quelle che gaserebbe Carlo Lucarelli, pertanto se doveste trovarvi a leggere le righe che seguono col suo tono di voce non fatene un dramma. 

Tornando a noi: certo, non molti conoscono Elza e di questo lungi da me dal farvene una colpa [mi rendo conto di aver tirato fuori dei nomi nel corso di questi mesi che solamente Max De Tomassi ei suoi ascoltatori avranno un minimo masticato ndr], ma chi la conosce forse non sa che la signora in questione è stata la moglie di Garrincha, per qualche anno e lo ha accompagnato in Italia nel periodo in cui Mané bazzicava i campi del Sacrofano

L’amore tra i due è di quelli che strappa i capelli (per dirla alla De André) e destano scalpore, tanto che Elza arriva a rasarsi il capo come pegno d’amore per fare desistere Mané dal vizio dell’alcool.  

Ma andiamo con calma. Lo scenario è il seguente: lui già sposato e padre di 7 figli, abbandona la moglie per Elza, che l’opinione pubblica investe del titolo di guastafamiglie.  

Alea iacta est.  

I due si sposano ma, il retrogrado bigottismo che ammanta Rio de Janeiro, li rende facili bersagli del rancore di una popolazione indolente verso lo star system ed i vezzi dei suoi protagonisti. 

Elza Mané prima si muovono in direzione San Paolo, ma dopo un susseguirsi d’eventi tragici che sconvolgono ulteriormente le loro vite (tra i quali la morte della madre di Elza in un incidente automobilistico nel quale Garrincha guidava l’auto, a cui è seguito un tentato suicidio), scelgono un ambiente più tranquillo e lontano dai riflettori.
Approdano così a Roma, città nella quale Garrincha torna a calcare i campi di calcio.  

Dopo un paio di anni trascorsi nel Bel Paese, nel 1972 decide di tornare in Brasile (nello stesso anno in cui rientrò Caetano Veloso dall’Inghilterra), da lì in poi il vortice della depressione e dell’alcoolismo si rivelerà incontrollabile. Arriva a malmenare Elza durante un eccesso di rabbia e i due rompono.
Dopo di questo solo una fine indecorosa spetta a uno dei calciatori più gloriosi della storia del Brasile, mentre Elza si trova a risistemare i cocci di un matrimonio che ha lasciato strascichi pesanti, tra i quali anche un figlio morto all’età di 9 anni. 

Tutta questa storia cosa c’entra col disco?  

In primis: avete ora avete contezza di chi siamo andati a scomodare con questo scritto e questo non fa mai male.  

In secundis: certo non si è ancora parlato di musica finora, ma ciò non significa che rispetto al passato non ci sia niente da dire su questo disco. 

Sì. Perché A Mulher do Fim do Mundo è di una cupezza unica, corrusca, attraente, nel quale è meraviglioso crogiolarsi: dall’apertura con la poesia Coração do mar di Oswald De Andrade  (musicata José Miguel Wisnik) all’apocalittica Comigo che si conclude con la preghiera laica in ricordo della madre, passando attraverso la title-trackLuz Vermelha o la danza stonata di Dança e Benedita o il flow navigato in Maria Da Vila Matilde

Un disco che ha avuto grande risonanza internazionale, che non dimentica le origini samba (Pra Fuder) ma le spinge più in là, nel pieno rispetto del manifesto antropofago; si impone e sorprende per la sonorità aggressiva che combinata alla grinta di una – all’epoca – 85enne, mette in luce tutta la freschezza mentale e spirituale di Elza Soares, capace di trattare temi come la violenza domestica, la negritudine, la transessualità e il degrado urbano. 

Mulher do Fim do Mundo è un Derelict riuscito magnificamente. 

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Caetano Veloso – Abraçaço

Abraçaço è un’estasi, di quelle che ti scombinano fortemente la vita.  

Ricordo benissimo il giorno in cui l’ho ascoltato la prima volta, Il frevo della title-track è entrato con martellante convinzione nella mente, senza che essa riuscisse a porre troppe resistenze. 

Il pensiero balenato è stato “ma siamo seri?”.  

Sì perché un disco come questo ti sorprende anche se conosci abbastanza bene la parabola disegnata da Veloso negli anni, la sua poetica e il suo passato.  

Per chi avesse dubbi, o fosse puramente reticente riguardo la discografia di Caetano Veloso, questo è il classico esempio che aiuta a scopare via ogni singolo dubbio: chi è capace di tirare fuori a 70 anni un disco simile merita solo ammirazione. 

La freschezza che traspare da Abraçaço è non solo attuale, ma anche corroborante. Possibile che le produzioni più originali provengano sempre dai “dinosauri” anziché dalle giovani leve? La domanda è lecita e Abraçaço ci lascia intendere che il ricambio generazionale non c’è stato, o se c’è stato è debole e con un flebile battito. 

Quel flebile battito nel disco si registra con la presenza del figlio Moreno, che lo segue da tempo nei tour dal vivo e che abbiamo ritrovato con gli altri due figli di Caetano durante lo spettacolo Ofertório. Proprio grazie a Moreno Veloso è legata la partecipazione ad Abraçaço del suo vecchio compagno di scuola Pedro Sé, colui che ha contribuito a far coesistere la musica elettronica alla samba in questo disco. La mescolanza di idee e di impulsi musicali dimostrano quanto l’ideale tropicalista non sia morto, bensì batta ancora forte in Caetano Veloso anche a distanza di oltre 40 anni dalla registrazione del disco. 

Ed è proprio il battito uno degli elementi cardine di questo disco. In un’intervista per il tour italiano relativo al disco, Veloso ricorda i tempi dell’esilio in Inghilterra, quelli che hanno contribuito alla registrazione di Transa.
Proprio in quegli anni ha sviluppato la sua tecnica chitarristica cavando le note dal battito della mano sulle corde. Quel battito è stata la chiesa al centro del villaggio per la costruzione degli arrangiamenti di Abraçaço: un occhio al futuro con il cuore ancorato al passato, capace di rivelare all’ascoltatore un compendio della musica brasiliana contemporanea. 

Questo spirito avvia il disco con l’incedere risoluto e marciante di A Bossa Nova É Foda un saluto alla nuova era della bossa nova, un modo anche di porre l’accento sul pensiero che la bossa nova non morirà mai [hey hey, my my, bossa nova never die ndr].
Poi troviamo lo stesso spirito scalpitante nell’eternità di Um Comunista, una prosa alla Neil Young o alla Nick Cave, nella quale Veloso celebra Carlos Marighella, martire comunista di origine italiana assassinato ferocemente a San Paolo dagli squadristi di ALN (Ação Libertadora Nacional).
Nella canzone c’è una esaltazione romantica dell’ideologia di gucciniana o lolliana memoria, quando “i comunisti custodivano i sogni”: 

“[…] Quando la canto in Brasile ci sono reazioni molto forti, la gente canta il ritornello, applaude, urla il nome di Marighella, è un pezzo che piace e il pubblico rispetta la storia che racconto, anche i giovani, trovano commovente raccontare di un comunista che guardava verso un sogno. Io non sono mai stato violento, ma quella storia mi piaceva, nel pezzo ci sono tutte le contraddizioni del caso, non l’ho mai incontrato e non sono mai stato vicino a quelle storie, anche se a un certo punto lo sono stato, più di quanto pensassi, perché una mia amica fu imprigionata e torturata perché faceva parte di quel gruppo, ma per fortuna lei è sopravvissuta ed è ancora mia amica. Mi chiese di aiutarli logisticamente, io dissi sì, ma non feci granché perché non avevo il tempo e la possibilità di aiutarli realmente.” 

Trovo una curiosa analogia tra quanto accaduto a Caetano Veloso e quanto raccontato nello spazio dedicato a Tom Zé. Ricordate come Tom sostenesse quasi di non essere all’altezza di Caetano Gilberto Gil riguardo la dissidenza politica, la sensazione di aver fatto troppo poco – o nulla – nonostante fosse stato imprigionato per ben due volte.  

Quando Veloso sostiene di non aver fatto molto per aiutarli realmente, è mosso da un simile senso di inadeguatezza nei confronti di Carlos Marighella, il cui epitaffio composto da Jorge Amado recita: “non ebbe tempo per avere paura”.  

Si attiva sempre il dannoso e viscido meccanismo del “senno di poi” quando si verificano drammi come quello occorso al Brasile, si ha la sensazione che si sarebbe potuto fare di più, questo Oskar Schindler lo ha insegnato a tanti, anche a chi ha avuto la fortuna di non vivere questi momenti.  

Forse con Um ComunistaVeloso, ha provato a colmare quel senso di inadeguatezza intimo  andando a raccontare la figura di un uomo vittima di omicidio politico e dei suoi ideali, rendendoli immortali.

Tom Zé – Estudando o Samba

La parabola di Tom Zé, se non fosse reale, sembrerebbe provenire da una narrazione cinematografica statunitense intrisa di stucchevole retorica, ma essendo reale è capace di offrire un insegnamento senza tempo: mai desistere, se la qualità è reale prima o poi il mondo se ne accorgerà.  

Solitamente la vita si fa beffe degli artisti, non è casuale il rapporto tra morte e successo; come se la dipartita fosse un sigillo di garanzia per coloro che se ne vanno, una sorta di autentica del valore artistico di qualcuno che in vita ha visto la meritata considerazione col binocolo. 

Certo, la statistica è un monito, ma non mancano le volte in cui lo sfizio della ribalta mediatica in vita qualcuno se lo riesce a togliere. È il caso di molti degli artisti ospitati in questo spazio digitale, a cui fortunatamente va ad aggiungersi Tom Zé che – nonostante avesse partecipato alle turbolente manifestazioni tropicaliste – , ha inciso molti album di pregevole fattura, ma non avendo più appeal di critica e pubblico si è visto costretto ad abbandonare malinconicamente tutto per andare a fare il benzinaio. 

Per chi non lo conoscesse, Tom Zé è un fico assoluto, un giovane vecchio che maschera di rughe una giovinezza inscalfibile, un freak che a più di 80 anni ancora si tinge i capelli e presenzia sui social con più convinzione ed efficacia di me. Della mia stessa idea è David Byrne artefice di questa sua rinascita artistica e del successo internazionale che ha investito Tom

La partecipazione alla prima ondata tropicalista non è scontata, Zé si definì per gioco vanguardista retardista (nel senso di avanguardista che si ispira al passato anziché al futuro) dimostrandosi atipico rispetto agli altri artisti. Fatica con la teoria ma vola con le idee e la pratica: influenzato dalla musica dodecafonica ha saputo creare una dimensione parallela nell’ambito della musica popolare brasiliana.  

Sperimentava con maggiore decisione rispetto ai colleghi del periodo (potete confrontare la sua discografia con quanto offerto in Araça Azul, che risulta un pelo più sterile).
Nonostante ciò Zé ricorda con umile reverenza il periodo in compagnia di Veloso Gil, esaltandone la creatività e la verve politica due e lamentando di fatto una propria incapacità nel saper essere ficcante quanto loro nel dibattito nazionale e contro il regime.
Eppure per lui non c’è stato esilio bensì due arresti passati nelle carceri brasiliane, e nonostante ciò ha avuto il coraggio di partorire perle di dissidenza criptiche, come ad esempio la copertina del grandioso Todos Os Olhos sul quale campeggia un buco di culo con una biglia in mezzo (che può essere tranquillamente confuso per un occhio da lontano o per una bocca atta a imprigionare una biglia tra le labbra).  

Insomma, materiale che ridimensiona notevolmente gli individui che al giorno d’oggi si spacciano per sovversivi e dominano le nostre vite mediatiche con i loro 15 minuti di celebrità [spengo immediatamente la polemica da matusa ndr]. 

Detto ciò, è un’altra copertina che fa svoltare la vita a Tom, quella di Estudando o Samba, nella quale il filo spinato si intreccia ai cavi, definita da stesso [perdonate il gioco di parole da trattoria ndr] “una trappola” con la quale è riuscito a ghermire un innocente David Byrne – recatosi a Rio de Janeiro per un festival del cinema nel 1986.
Byrne rimase stupito dal fatto che su un disco di samba non ci fossero dei culi in copertina.  
 ha ideato una gabola da pubblicitario navigato che tende a catturare l’attenzione grazie al sapiente uso della parola samba accompagnata – con carattere minuscolo – dal gerundio “estudando” in riferimento agli “studi” che fanno parte del ramo della musica classica. 

In aggiunta, la deliziosa scaletta posizionata sul retro-copertina, sembra redatta in base agli stilemi della poesia futurista fatta di monosillabi e bisillabi (ad eccezione dell’interpretazione di A Felicidade del duo Jobim Moraes, e Índice):  

TocVaiUi!DoiMãeHein?Se

David Byrne resta folgorato dall’ascolto di questo disco [l’influenza che ha avuto sulla concezione di musica pop di Byrne è tangibile, basti pensare a Toe Jam ndr] e un paio di anni dopo riesce a mettersi in contatto con Tom Zé; lo strappa da un destino lontano dal mondo musicale, e lo mette sotto contratto con la sua casa discografica, garantendogli la giusta visibilità che avrebbe meritato già da tempo. 

In tutta questa tempesta Tom Zé ha mantenuto la barra dritta, dimostrando la sincerità di chi non si piega a nessuna logica di mercato, sacrificando – in misura – il successo in confronto ad altri colleghi più quotati ma meno incisivi. Ha sempre rispettato la propria urgenza artistica, farlo per oltre cinquant’anni non è mestiere per molti e questo penso che sia un motivo valido per ascoltare questa pietra miliare della musica mondiale. 

Caetano Veloso – Araçá Azul

Dopo Transa è difficile non pensare di avere tutti gli occhi puntati su di sé. Perciò per dissimulare l’ansia da prestazione, Caetano, decide di sbatterci in copertina il pacco in bella vista, come a dire: “se il contenuto sarà di merda, la copertina non sarà da meno”.  

Naturalmente il contenuto non è una merda [e la copertina nemmeno ndr], anche se è palese che con Araçá Azul Veloso abbia voluto disorientare critica e pubblico proponendo un disco sperimentale e disattendendo le aspettative commerciali dopo il successo ottenuto con Transa. Anche se lo sperimentalismo puro per me è altra cosa, è innegabile che presentare un lavoro del genere sia un atto di coraggio consapevole e,  come potete dedurre dalla presenza su questo spazio digitale, a me Araçá Azul ha garbato parecchio (e continua a garbare).  

Certo c’è sempre da tener conto dei suoi limiti e degli spunti positivi, uno fra tutti: la voglia da parte di Veloso di non adagiarsi sugli allori, mettendosi sempre in gioco con scelte musicali ai limiti e controtendenza. 

Quando si ascolta Araça Azul la sensazione pervadente è quella di trovarsi di fronte ad un sogno sconclusionato nel quale i freni inibitori saltano. O meglio, un sogno indotto da una sbornia, di quelli fastidiosi che ti provocano dolore a tempie e cervicale (come per la caciara che domina Sugar Cane Fields Forever, un tributo ai Beatles di Sgt. Pepper, per il nome scelto e per gli archi stile A Day In the Life). 

Un calderone di idee che travalica la diga del buon senso dando vita ad un incontrollabile flusso di coscienza nel quale si incontrano pensieri sciolti: come nel caso del brano De Conversa che si lega in maniera convincente a Cravo e Canela di Milton Nascimento (che i più attenti hanno già ascoltato in Clube da Esquina) ed in cui è possibile trovare ispirazioni più o meno velate; o per l’ennesimo tributo ai The Beatles di Revolution 9 e ai relativi esperimenti con il collage di nastro magnetico; non ultimo i giochi gutturali, gli studi della voce di Yma Sumac o di Cathy Berberian e la sua Stripsody (che anticipano di qualche anno i calembour vocali di Demetrio Stratos). 

Tutto questo bailamme sperimentale, che principio ed ispirazione trae dai poeti concretisti della scena paulista, viene prodotto in una sola settimana agli Eldorado Studio di San Paolo. Troviamo nuovamente Tuti Moreno alle percussioni e Moacyr Albuquerque al basso, per il resto il personale è ridotto all’osso (dobbiamo la chitarra cattiva di De Cara a Lanny Gordin). Ospite vocale d’eccezione è Dona Edith do Prato, conosciuta come Edith Oliveira, maestra del Samba de Roda che troviamo a inizio disco con Viola Meu Bem e poi nel sogno di Sugar Cane Fields Forever

Capire il dritto dal rovescio sarebbe complicato se non intervenisse lo stesso Caetano in nostro aiuto, raccontandoci nella title-track – relegata a fine disco – a cosa andiamo incontro, nel punto forse più alto dell’intero disco:  

Araçá azul é sonho-segredo  (Araça Azul è un sogno segreto) 
Não é segredo  (Non è un segreto) 
Araçá azul fica sendo (Araçá azul è qui) 
O nome mais belo do medo (Il più bel nome della paura) 
Com fé em Deus (Con fede in Dio) 
Eu não vou morrer tão cedo (Non voglio morire così presto) 
Araçá azul é brinquedo (Araçá azul è un giocattolo) 

Araça Azul fa presupporre che l’origine di questo disco sia mistica e contraddittoria; un sogno ad occhi aperti, uno scherzo che ci dobbiamo raccontare per rompere lo schema convenzionale della vita. Araçá Azul è un gioco, e come tale esiste, ma essendo tale si pone come eccezione in un mondo scorbutico, arido e privo di gioia come quello vissuto all’epoca da Caetano Veloso (e che viviamo tuttora). 

Caetano Veloso – Transa

Dopo Tropicalia: ou Panis et CircencisCaetano Veloso e Gilberto Gil, godono di una forte esposizione mediatica, i loro dischi di esordio sono sulla bocca di tutti, il manifesto tropicalista si è diffuso e ha fatto numerosi proseliti.  

Come sostenuto da Gilberto Gil in ricordo del periodo: non vi era piena coscienza dell’impatto di Tropicalia, quanto più che altro consapevolezza di un cambiamento nella propria musica; un’onda a trazione globale (guardando anche agli eventi negli Stati Uniti e in Europa). Naturalmente questa si riverbera sulla società.  

In fondo il cambiamento si pone sempre come un’urgenza di comunicare verso chi si trova in condizioni similari, e tropicalia si è dimostrato un centro di concepimento fertile. 

Accade però che nella prima metà del dicembre 1968, il governo in carica emana l’AI-5 – un atto istituzionale che conferisce poteri assoluti al Presidente della Repubblica – e di fatto sbaraglia ogni tipo di attività sovversiva o opposizione. Istituisce i tristemente noti squadroni della morte, e va a censurare ogni forma artistica (e che indurrà i vari Chico BuarqueMilton Nascimento e gli altri di cui abbiamo raccontato, ad ingegnarsi per aggirare ogni forma di veto per far vedere la luce alle proprie creature intellettuali).
Passano appena due settimane, quando un provocatorio Caetano (divenuto, assieme a Gilberto Gil, ospite fisso del programma televisivo dei tropicalisti Divino, Maravilhoso in onda su TV Tupi [Tupy or not Tupy… ndr]), si punta la rivoltella alla tempia mentre interpreta Boas Festas di Assis Valente.  

Dopo 3 giorni vengono entrambi arrestati guadagnandosi 2 mesi di prigione a cui seguono 4 di domiciliari per attività sovversiva e vilipendio del paese. Il programma non è che fosse stato preso in simpatia dalle sfere alte e l’ultima performance di Veloso è stato il classico eccesso che ha fatto vacillare la pazienza dei potenti. Il Governo invita caldamente i due dissidenti ad “auto-esiliarsi”; Veloso Gil colgono la palla al balzo per andarsene a Londra (con tappe poco degne di nota a Lisbona Parigi) non prima di aver organizzato un concerto di commiato – o meglio di raccolta fondi – per pagarsi il biglietto aereo. Nei due anni e mezzo spesi nella Big SmokeCaetano Veloso produce due dischi: un omonimo (tanto per cambiare) e Transa

Durante il periodo d’esilio, a Veloso viene concesso di tornare in Brasile per le celebrazioni del quarantesimo anniversario di matrimonio dei suoi genitori. Nella breve permanenza è sottoposto ad interrogatorio dal personale militare, che ne approfitta per richiedere la composizione di una canzone che elogi la nuova opera pubblica sulla bocca di tutti: l’autostrada Transamazônica.
Come lecito aspettarsi, Veloso si rifiuta, ma tornando a Londra registra Transa, disco che poi vedrà la luce nel 1972 proprio in Brasile, quando grazie all’intercessione pubblica di João Gilberto – che accetta di tornare in televisione dopo 10 anni di assenza a patto che partecipi anche il suo figlioccio artistico – Veloso tornerà in patria. 

Caetano constata che la situazione è più distesa rispetto a due anni prima, e decide di fermarsi nel suo paese per continuare la dissidenza in loco. Transa è un ulteriore schiaffo ad un regime che ha dimostrato a più riprese i propri limiti intellettivi. La richiesta da parte dei militari di registrare un album ufanista è stata rigettata, ma a questo affronto, Caetano Veloso, risponde con una provocazione: elidendo la parola Transamazônica nella più semplice Transa (che l’urban dictionary traduce in “scopare”).  

Alla luce di questo, Transa, va a collocarsi con vigore tra i picchi raggiunti da Veloso durante la sua infinita carriera [invito a leggere la valida considerazione a proposito sulla scarsa notorietà del disco in questo paese a scapito di album come Estrangeiro ndr], evito di dilungarmi in una tediosa analisi del disco, in quanto ahimé è stato scritto di tutto e di più a riguardo.  

Ho piacere però nel soffermarmi sul valore puro di Transa, di come risuoni decisa l’integrazione tra due mondi musicali, come dimostra nell’audace – per i canoni dell’allora pubblico – rilettura di Mora na Filosofia di Monsueto Meneze e Arnaldo Passos, nella citazione a The Long and Winding Road dei The Beatles (pallino non solo di tutto il mondo occidentale ma anche dei giovani tropicalisti), o nel reggae scoperto a Portobello Road e assimilato brillantemente in Nine Out Of Ten.  

Ma la bellezza di questo disco a mio avviso giace nella naturalezza dimostrata da Veloso nel disorientare l’ascoltatore passando dal brasiliano all’inglese, senza forzature e in armonia; una proprietà che ha mostrato più volte nel corso della sua lunga carriera (anche con lo spagnolo e l’italiano) così come hanno dimostrato di saper fare Gilberto Gil e Chico Buarque.    

Con questa spontaneità si svela al mondo con You Don’t Know Me, in apertura del disco, arricchita dai puntelli vocali di Gal Costa. Per le registrazioni di TransaVeloso si è affidato a Ralph Mace (ei fu produttore di The Man Who Sold The World) e ha chiamato a raccolta i propri sodali, oltre a Gal Costa partecipano anche: MacaléMoacyr AlbuquerqueTuti Moreno e Áureo de Sousa (entrambi alle percussioni). Con la volontà di registrare tutti i brani come se provenissero da uno spettacolo dal vivo, ricreando una situazione da band (la prima nella carriera di Veloso), che risultasse genuino.  

Transa è un grande valore aggiunto nella discografia di Caetano Veloso, un disco che evidenzia – se ce ne fosse stato bisogno – l’eclettismo di chi nei successivi 50 anni avrebbe continuato a distribuire perle di rara sensibilità artistica.

Gilberto Gil – Louvaçao

Non si può raccontare di tropicalismo senza portare in cascina almeno un disco di Gilberto Gil, e allora perché non scrivere del suo esordio discografico? Prima di tutto tengo a fare una precisazione su Gilberto Gil: ad inizio carriera sembrava molto più vecchio e cattivo rispetto ad oggi; sarà per quel pizzetto che già negli anni ‘60 appariva anacronistico, per gli occhi luciferini, o per altro, ma comunque dimostrava 40 anni quando ne aveva poco più di 20 anni. 

Gilberto Gil è un autentico monumento della cultura e della musica brasiliana, alfiere della rivoluzione sonora che ha investito il paese nel quale si è sempre contraddistinto per il grande spessore umano. Sin da bambino ha dimostrato di avere le idee chiare riguardo il suo futuro: “Quando avevo due anni e mezzo, ho detto a mia madre che sarei diventato un musicista o Presidente del mio paese” 

La congiunzione da disgiuntiva per poco non si è trasformata in semplice, difatti oltre ad aver intrapreso sin da piccolo il percorso musicale la via politica non è stata accantonata: da tropicalia alla dissidenza – col conseguente arresto e l’esilio nella terra d’Albione -, Gilberto ha continuato a mantenere una coscienza politica molto radicata, prendendo spesso posizioni distinte sull’apartheid e sul fronte antropologico (il documentario Gil Viramundo, prende proprio il titolo dal brano Viramundo contenuto in Louvaçao), arrivando a raggiungere la carica di Ministro della Cultura durante il primo governo Lula

Tornando alla sua carriera musicale, la madre è colei che crede fermamente nelle capacità di Gilberto, comprandogli anche una fisarmonica (sulle orme di Luiz Gonzaga), strumento che troviamo nella già citata Viramundo; apprende inoltre i rudimenti della batteria e della tromba. Sempre in giovane età incontra Dorival Caymmi – proveniente direttamente dalla epoca de ouro della musica brasiliana – che influenza il suo stile con il suo modo di intendere la samba. Ulteriori elementi che catalizza l’attenzione di Gilberto sono gli artisti di strada e i musicisti forró tipici della tradizione nordestina

In ultimo, con la ventata della bossa nova portata da João Gilberto e Tom Jobim, sceglie come strumento principale la chitarra, che lo accompagnerà per tutta la carriera artistica. 

Tutte queste influenze si uniscono in Louvaçao, un disco che a dispetto di quanto scritto riguardo tropicalia, non si nutre delle altre culture (tranne che nel testo della marziale Lunik 9 nel quale affronta un tema caro alla corrente tropicalista come l’esplorazione spaziale), bensì radica la propria esistenza nelle ricchissime fondamenta melodiche del Brasile, come dimostra Ensaio Geral, singolo che lancia il disco, risultando un abile compendio del forró, della samba, della bossa nova, del baião nordestino, senza tralasciare il tema religioso – che spicca in Procissão – che si inserisce tra i testi dallo spiccato accento sociale (come Roda o Água de Meninos che racconta dell’incendio divampato nelle banchine del porto, avvenuto durante l’omonima fiera molto comune nei piccoli centri abitati del nordest). 

Louvaçao vive anche del sodalizio tra Gilberto Gil e gli altri parceiros José Carlos Capinam e Torquato Neto, quest’ultimo co-autore di molti dei brani presenti in questo esordio e che abbiamo già visto in Vento de Maio, brano dell’omonimo disco di Nara Leão. Al disco partecipa anche Caetano Veloso, che lo stesso Gilberto ha conosciuto nel 1963 presso l’Università Federale di Bahia a cui son seguiti gli incontri con Tom ZéMaria Bethania e Gal Costa, coi quali saranno gettate le basi del tropicalismo (come abbiamo avuto modo di vedere in Tropicalia: ou Panis et Circencis). 

Caetano regala a Gil un prototipo di canzone, Beira-Mar, chiedendogli di completarla. Gilberto si è interrogato a lungo sulla bontà del testo già steso da Veloso, recalcitrante nel mettere mano a qualcosa che reputava già buono ha poi trovato le parole giuste per completarlo ed interpretarlo, incastrandosi naturalmente nella tracklist di questo disco d’esordio. Louvaçao, molto più di altri dischi presentati in questo ciclo, offre un ampio spettro delle sonorità brasiliane; un disco che ai primi ascolti può apparire sottotono, ma che acquisisce uno spessore di volta in volta che risuona.  

Sono sicuro troverete un posto nel vostro cuore per questi 41 minuti e 50 secondi. 

Sergio Endrigo – Exclusivamente Brasil

Si torna a raccontare Sergio Endrigo e lo si fa sempre in occasione del ciclo brasiliano, già, perché Endrigo probabilmente è stato il più brasiliano degli italiani (o il più italiano dei brasiliani), e tanto della delicatezza e della poetica di Endrigo si è radicata nel cantautorato brasiliano, in un do ut des vivace e vincente.  

Questa volta porto alla luce un disco che ahimè non è conosciuto quanto dovrebbe dalle nostre parti, o meglio non è che sia proprio conosciuto in giro, un disco inedito in Italia, pubblicato esclusivamente in Brasile in vinile e “também em musicassete” ma mai su CD, addirittura sulla pagina wikipedia non compare nella cronologia delle pubblicazioni discografiche e nel web è difficile trovare informazioni degne di nota, figuriamoci su Spotify). 

Il rapporto tra Sergio Endrigo ed il Brasile è sedimentato e con robuste radici: nasce nel 1964 con il primo concerto sostenuto a San Paolo, in quell’occasione ha avuto modo di conoscere artisticamente Vinícius de Moraes, portandolo all’attenzione di Sergio Bardotti. Qualche anno dopo Bardotti ha conosciuto de Moraes, presentandolo a Endrigo e conducendoli all’ideazione di La Vita Amico È l’Arte dell’Incontro (con il quale Endrigo ha fatto conoscere Toquinho con de Moraes). 

Quindi, considerare Exclusivamente Brasil “exclusivamente” una registrazione ad hoc per il pubblico brasiliano sarebbe una interpretazione miope e ingenerosa nei confronti di Endrigo; certo il Brasile e i brasiliani hanno dimostrato a più istanze il proprio affetto nei confronti del nostro amato cantautore, facendolo sentire a casa nonostante la distanza oceanica, tanto che nelle 12 tracce del disco sciorina con disinvoltura un eccellente portoghese zuccherino. Ma Exclusivamente Brasil è perlopiù un disco di amicizia, tributo e ringraziamento nei confronti dei tanti degli interpreti che hanno contribuito ad arricchire l’espressività musicale di Endrigo (e che sono stati trattati nel ciclo brasiliano di pillole). 

Troviamo ad esempio il Samba em Preludio accompagnato alla voce da una giovane Fafá de Belém di Vinícius de Moraes e Baden Powell, incisa nell’ultimo album di Baden Powell Le Monde Musical de Baden Powell, eseguita nel tempo anche da Toquinho con Vinícius, e con traduzione di Bardotti assieme a Ornella Vanoni in La Voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria. Presenzia Morena do Mar di Dorival Caymmi e interpretata in Vento de Maio da Nara Leão, sempre con interpretazione dalla Leão – assieme a Chico Buarque (su un’inequivocabile composizione di Sivuca) – c’è João e Maria presente in Os Meus Amigos São Um Barato. 

Carinhoso di PixinguinhaTrocando Em Miúdos di Chico BuarqueCafé Da Manhã di Roberto Carlos (con cui ha condiviso la vittoria a Sanremo nel 1968) e Ana Luiza di Jobim ornano una scaletta che si snoda principalmente tra i regali di Vinícius con Samba Para Endrigo e A Rosa di Chico Buarque

A Rosa è stata pensata e scritta appositamente da Chico Buarque per Endrigo, che duetta nel brano in un’alternanza di versi intensa, uno scioglilingua che non lascia tanto tempo per pensare, un flusso rapido di giochi di parola che lasciano in uno stato di euforia chi ascolta. Rientra nella gilda di quei brani che devi ascoltare più volte solamente per capire come è strutturato e il perché sia strutturato in questo modo. Nel 1995 Djavan ne ha interpretato una versione decisamente meno divertente di quella offertaci in Exclusivamente Brasil

Spostando il cono di luce su Samba Para Endrigo ci si accorge del legame quasi fraterno che intercorreva tra Sergio EndrigoVinícius de Moraes. Il Maestro non solo ha scritto delle strofe in dedica al cantautore italiano, partecipando alla registrazione di Exclusivamente Brasil assieme a Toquinho, ma ha deciso di includere la stessa Samba Para Endrigo all’interno del suo ultimo lavoro Um Pouco de Ilusão dal canto suo Endrigo successivamente alla morte di de Moraes lo ha omaggiato con Ciao Poeta (sulla base della composizione di Baden Powell). 

Dimenticavo quasi di menzionare che l’arrangiamento della maggior parte dei brani nel disco è stato curato da Antônio Renato Freire de Carvalho Fróes, produttore che ha collaborato anche con Chico Buarque e Caetano Veloso in Juntos e Ao Vivo, Caetano Veloso Araçá Azul, Gilberto Gil, Tom Zé in Estudando O SambaGal Costa, Maria Bethânia, Luiz Melodia e tanti altri artisti degni di nota. 

Dopo queste poche righe di colore, mi permetto di chiudere scrivendo che Exclusivamente Brasil è una chicca che scorre rapida, alcune interpretazioni sono magistrali e vi renderete conto di non poter fare a meno di ascoltarle. Fortunatamente lo potete trovare tutto su YouTube, certo la qualità è quella che è, però se vi capitasse di innamorarvi come è accaduto a me, avrete modo di reperire facilmente il vinile online (naturalmente di seconda mano).  

Milton Nascimento – Minas

Continua con Minas questo mini-ciclo di racconti rivolti a Milton Nascimento. Lo si fa col secondo gemello del gruppo, un disco dalla grande valenza simbolica, che si lega a Clube da Esquina ricucendo il discorso in un unico grande telaio autoreferenziale: quello legato alla narrazione di resistenza culturale e antropologica a una bieca dittatura. Il regime pretende dagli artisti delle produzioni musicali patinate che siano assoggettate a dinamiche autoritarie, sulle quali conserva un inderogabile diritto di veto. 

La presenza di un governo autoritario ha imposto l’urgenza creativa di dover eludere le restrizioni: quando il perimetro è circoscritto il vero creativo riesce ad attingere appieno dal proprio vissuto. Milton nato nel 1942 a Rio, orfano dopo appena due anni, viene adottato da un’altra famiglia che abita nel Minas Gerais, regione mineraria lontana dal mare e dal luccichio delle spiagge brasiliane, caratterizzata da una spiccata eterogeneità etnica (colonia portoghese a prevalenza di schiavi africani, con una folta comunità di italiani). 

Nonostante questo, Milton è uno dei pochi ragazzi di colore nella città di Três Pontas; vive sulla propria pelle l’intolleranza dei suoi concittadini. La madre adottiva di Bituca canta nel coro di Heitor Villa-Lobos (da qui presumibilmente deriva la spiccata attitudine musicale di Milton), così la religiosità diviene il medium metaforico che Milton – corista nelle chiese barocche di Três Pontas – applica ai propri testi, il codice di lettura delle sue canzoni per aggirare la tagliola della censura, in tal proposito un approfondimento sarà dedicato – a tempo debito – a Càlice di Chico Buarque (brano al quale partecipa proprio Bituca come seconda voce) fulgido esempio dello stile descritto.  

Come ha spiegato Carlo Massarini nell’egregia disamina dedicata a Bituca, il primo lavoro del Clube termina con Nada Serà Como Ante, nella quale Nascimento lamenta la certezza di un domani fosco. 

Eu já estou com o pé na estrada  (ho già il mio piede su quella strada) 
Qualquer dia a gente se vê (ogni giorno che ci incontriamo) 
Sei que nada será como antes, amanhã  (niente sarà come prima, domani) 

Da Clube a Minas passano 3 anni, nei quali quelle parole hanno scavato a fondo con pazienza orientale, e come goccia che batte nella roccia ha eroso la superficie. Così Fè Cega, Faca Amolada comincia da dove aveva lasciato, ma con una impetuosità diversa, quasi gioiosa a dispetto delle parole. 

Agora não pergunto mais pra onde vai a estrada  (ora non chiedo più dove sta andando la  strada) 
Agora não espero mais aquela madrugada  (ora non attendo più quell’alba) 
Vai ser, vai ser, vai ter de ser, vai ser faca amolada  (sarà, sarà, dovrà essere un coltello  affilato) 
O brilho cego de paixão e fé, faca amolada  (il bagliore cieco della passione e fede, e il  coltello affilato) 

[ndr Paixão e Fé sarà il titolo di un brano presente in Clube da Esquina 2, sempre tornando all’autoreferenzialità di Bituca

Il trait d’union sul quale l’intero disco si snoda è il refrain di Paula e Bebeto, la canzone che conclude la versione originale del disco (la riedizione contiene altri 3 brani) scritta a quattro mani con Caetano Veloso. Un coro di bambini intonano a cappella una nenia che l’ascoltatore incontra saltuariamente in Minas; nenia che scandisce il disco lasciando trasparire la felicità della coppia (che quando però la canzone è stata completata, nella vita reale si erano già lasciati). 

Mettendo il naso oltre quanto già scritto, nella musica di Milton Nascimento troviamo la sonorità di Minas Gerais assimilata, digerita e arricchita dalle influenze straniere, rappresentando uno degli esempi più chiari dell’antropofagia teorizzata da Oswald de Andrade [ci sarà tempo per approfondire anche questo aspetto ndr]. Impossibile non perdersi nei riferimenti alla musica inglese, da Kevin Ayers, Lol Coxhill (Beijo Partido), sino ai tributi più o meno velati ai Beatles (non a caso c’è una reinterpretazione di Norwegian Wood) sempre con ammiccamenti non troppo velati al jazz, senza smarrire l’identità musicale nativa.  

In Minas presenziano tutte le gemme che fioriranno con corrusco splendore nel suo gemello omozigoto Geraes

Milton Nascimento – Clube da Esquina

La scelta di raccontare del caschetto di Tijuca, Milton Nascimento, appartiene a una ampia architettura ragionata (eh sì ogni tanto provo a farle carburare quelle pigre sinapsi che mi ritrovo). La volontà è di creare una trama che – di primo acchito – può apparire sconclusionata, ma risulta funzionale per la comprensione e l’assimilazione di un linguaggio musicale (quello di Nascimento) al quale l’ascoltatore medio è meno abituato. Sicché la storia di Clube da Esquina, oltre a essere deliziosa e squisitamente funzionale alla guida all’ascolto, non è fine a sé stessa ma interdipendente a quella del suo fratello Clube da Esquina 2 (edito nel 1978) e degli altri due gemelli Minas e Geraes

Senza tralasciare che sarebbe esiziale un ciclo brasiliano di racconti privi di quella che Elis Regina ha definito “la voce di Dio”, Milton ha guadagnato un posto di riguardo nel gotha della musica internazionale, consolidando la propria credibilità artistica attraverso inusitate scelte armoniche esaltate dal grande spessore umano che ritroviamo poi nel lirismo dei suoi testi; una convergenza di influenza capace di mutare la tonalità espressiva della musica popolare brasiliana in un caos ragionato.   

Naturalmente, una volta pubblicato Clube da Esquina si è attirato a sé critiche feroci. Il clima interraziale – e internazionale -proposto da Nascimento non ha scaldato gli animi del pubblico, non si è capito che l’omphalos di Bituca è sempre stata la musica brasiliana. 

La partecipazione attiva di Borges e il conseguente abbandonarsi all’influenza beatlessiana non ha fatto breccia nelle analisi dei critici della prima ora. Il giudizio si basava perlopiù nel paragonare, in maniera miope, la musica di Bituca [soprannome di Milton ndr] a quella Chico Buarque e Caetano Veloso, dimostrando la più tipica delle debolezze da parte di chi parla di musica: la necessità di catalogare e classificare. 

Tralasciando il chiacchiericcio, per quanto mi riguarda, Clube da Esquina è l’album che proporrei per primo a chi non ha mai ascoltato Milton, un compendio strafico dove se siete scevri di musica brasiliana riuscite a recuperarne le radici senza che vi abbacchi. Un doppio album composto da brani che non si pestano i piedi e si amalgamano con grande rispetto. Ciò che esce fuori dal Clube è musica sinestetica, capace di trasmettere sensazioni anche a chi non comprende il portoghese. 

In tutto questo non ho ancora spiegato cosa sia il Clube da Esquina è un circolo di amici stile Bookhouse Boys – formatosi per caso a Belo Horizonte, nel quartiere Santa Tereza tra Rua Paraisópolis e Rua Divinópolis – nel quale si passa il tempo a fare qualche jam e intrecciando indistricabilmente bossa nova alla musica psichedelica, ai Beatles, al jazz di Davis e Coltrane e alla musica indigena del Sud America. Milton è il membro di spicco, poi ci sono i fratelli Borges (MiltonMárcio ), Beto Guedes, Wagner TisoToninho Horta e Nelson Angelo.  

Nonostante Milton avesse già una carriera ben avviata, non ha avuto problemi a condividere nell’album i credits con l’appena ventenne . In questi gesti premurosi si misura lo spessore della persona ancora prima che dell’artista. Nel 1971, il Clube affitta una casa in Praia de Piratininga e mette insieme tutte le canzoni che andranno a formare l’eponimo Clube da Esquina, un disco che ancora oggi suona con freschezza, in un panorama musicale quanto mai asfittico, e di questa qualità deve rendere grazia agli arrangiamenti raffinati di Eumir Deodato

Preferisco fermarmi qui con questo primo racconto su Milton Nascimento, vi posso assicurare che con Tudo Que Você Podia Ser vi immergerete in una dimensione sonora corroborante e magnetica. Sta a voi decidere poi se lasciarvi catturare o rifuggire dal Clube

Lucio Dalla – Storie di Casa Mia

Oh mamma, che paura!  Credevo che le pillole stessero scadendo, ma fortunatamente son ben lungi dal presentare segni di avaria.  

Ebbene, si ricomincia da dove avevamo lasciato: da un samba ben addomesticato da Chico, dalla saudade che ammansisce ogni respiro di felicità, dal ritmo che agita culetti e da una cuica che viene stantuffata con la metodica ritmica di un adolescente lasciato a casa da solo per pochi minuti con l’account premium di Brazzers

E in tutto questo cosa c’entra Lucio Dalla con il ciclo brasiliano di pillole? 

Oltre all’aver sottolineato – tempo addietro – l’unicità della musica brasiliana in una intervista rilasciata al portale musibrasilnet.it

“Forse è la musica che mi interessa di più per la sua autonomia rispetto anche alla musica anglofila. Ha una personalità e una identità assolutamente particolari”  

è celebre l’amicizia che lo ha legato a Caetano Veloso, ma alla fonte non tutti forse sapranno che Lucio è stato coinquilino – durante il periodo romano – di Chico BuarqueToquinho Vinícius dal 1969 al 1971, proprio nella casa di proprietà di Sergio Bardotti.  

Della serie: sei gradi di separazione vi saluto con l’altra mano.  

In un simile contesto resta difficile non influenzarsi a vicenda, in particolare con Chico sembra che la sintonia fosse particolarmente eufonica. Saranno moltissime le progettualità condivise nel corso degli anni, per questo Chico forse è stato l’ambasciatore più convinto della musica e poetica di Dalla in Brasile.  

Un po’ come per Ulisse la strada intrapresa da Dalla è stata tutt’altro che lustrini e paillettes; lo strepitoso Terra di Gaibola ha fatto un po’ flop, meritandosi la ristampa – con colpevole ritardo – solo a metà degli anni ‘80

Sembra assurdo ma Terra di Gaibola, un capolavoro per linguaggio ed idee adottate, non ha impressionato il pubblico – nonostante i guizzi di candida brillantezza – ma ha comunque gettato le basi di quella che è stata la Itaca di Dalla: Storie di Casa Mia

Quella Itaca a inizio album è un simbolo: la Casa. Essa rappresenta l’inizio di una storia di grande successo per Dalla alla cui scrittura co-partecipano Sergio Bardotti e Gianfranco Baldazzi. In Itaca il protagonista è uno dei marinai di Ulisse, che lamenta le differenze nella vita raminga tra un semplice mozzo ed un Re, spogliando l’avventura della propria epica ed enumerando tutte le criticità che una vita del genere presenta: la lontananza dai propri affetti oltre a una sfibrante sequela di sacrifici imposti per tamponare errori e leggerezze del proprio sovrano.  

Per dare ulteriore corpo allo sfogo da sindacalista del mozzo di Ulisse, vengono chiamate le maestranze della RCA come coro per la registrazione del ritornello. Questo ensemble prenderà il nome di Coro Popolare, rappresentando di fatto il sentire comune del marinaio, vessato dal continuo viaggiare apparentemente senza meta. 

Non è semplice risultare sintetici in un disco dall’anima così articolata, c’è notevole differenza nei testi che affiorano dalla penna dal trio Baldazzi, Bardotti & Dalla da quelli del duo Pallottino & Dalla. Questi ultimi hanno una morbida poesia – affinata dopo i primi felici tentativi di Africa e Orfeo Bianco – che pesca con la rete dalla letteratura italiana.  

Ne è un esempio l’evocativa Il Bambino di Fumo al quale resta difficile non associare Il Codice di Perelà di Aldo Palazzeschi, o la delicatezza nell’abile castello di metafore costruito per raccontare un caso di pedofilia nel Gigante e La Bambina (cucita addosso a lui per il dopo Sanremo, ma regalata a Rosalino Cellamare, salvo poi rendersi conto che la sua interpretazione era troppo acerba), la ruspante Un Uomo Come Me e lasciando alla fine – ma non certamente per importanza – 4/3/1943

Quest’ultima rappresenta il collegamento definitivo tra Lucio Dalla ed il Brasile, perché trova nel coevo Construção di Chico Buarque la versione portuguesa Minha história, nel quale Gesù Bambino diventa “o menino Jesus”. 

Il titolo originale Gesùbambino è andato a incocciare con il fastidio imperante dell’opinione pubblica [non oso immaginare come si avrebbe reagito l’opinione pubblica se avesse letto quel che ho accidentalmente digitato al posto di “gesùbambino” ndr], tanto che per far sì che partecipasse al Festival di Sanremo è stato necessario cambiare il titolo nella versione che oggi conosciamo. Insomma il titolo, come ogni titolo dovrebbe fare, non sta lì per caso e se è stato scelto un motivo ci sarà, il titolo con il quale conosciamo il brano oggi è il giorno di nascita di Lucio Dalla. In tal senso la scelta di Pallottino è un generoso dono a Dalla, un “ideale risarcimento a Lucio per essere stato orfano di padre dall’età di 7 anni. Una canzone che doveva essere sull’assenza del padre, ma poi è diventata una canzone sull’assenza della madre”.  

Non è l’unica censura alla quale è andato incontro il brano, il verso “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”, prevedeva che la generica gente del porto fosse identificata in puttane e ladri e anziché giocare a carte, gesubambino, bestemmiasse mentre beveva vino. 

Come chiosa per questo ritorno alla vita di Pillole, un pelo lungo [come non andare lunghi scrivendo di Dalla? E come non inciampare nel citare i “peli lunghi” scrivendo di Dalla? ndr], concedo ulteriore spazio alle parole di Paola Pallottino ben più titolata di me nel descrivere e ricordare l’abilità compositiva di Lucio  

Lucio era un fenomeno, riusciva a rivestire di note ogni mia parola aiutato anche dal mio rigore per la metrica. Solo anni dopo ho capito che il ruolo del paroliere è invece quello di mettere i propri versi su una canzone. Forse però gli ho fatto da palestra per quello che avrebbe poi fatto con il grande Roberto Roversi […]”