Caetano Veloso – Araçá Azul

Dopo Transa è difficile non pensare di avere tutti gli occhi puntati su di sé. Perciò per dissimulare l’ansia da prestazione, Caetano, decide di sbatterci in copertina il pacco in bella vista, come a dire: “se il contenuto sarà di merda, la copertina non sarà da meno”.  

Naturalmente il contenuto non è una merda [e la copertina nemmeno ndr], anche se è palese che con Araçá Azul Veloso abbia voluto disorientare critica e pubblico proponendo un disco sperimentale e disattendendo le aspettative commerciali dopo il successo ottenuto con Transa. Anche se lo sperimentalismo puro per me è altra cosa, è innegabile che presentare un lavoro del genere sia un atto di coraggio consapevole e,  come potete dedurre dalla presenza su questo spazio digitale, a me Araçá Azul ha garbato parecchio (e continua a garbare).  

Certo c’è sempre da tener conto dei suoi limiti e degli spunti positivi, uno fra tutti: la voglia da parte di Veloso di non adagiarsi sugli allori, mettendosi sempre in gioco con scelte musicali ai limiti e controtendenza. 

Quando si ascolta Araça Azul la sensazione pervadente è quella di trovarsi di fronte ad un sogno sconclusionato nel quale i freni inibitori saltano. O meglio, un sogno indotto da una sbornia, di quelli fastidiosi che ti provocano dolore a tempie e cervicale (come per la caciara che domina Sugar Cane Fields Forever, un tributo ai Beatles di Sgt. Pepper, per il nome scelto e per gli archi stile A Day In the Life). 

Un calderone di idee che travalica la diga del buon senso dando vita ad un incontrollabile flusso di coscienza nel quale si incontrano pensieri sciolti: come nel caso del brano De Conversa che si lega in maniera convincente a Cravo e Canela di Milton Nascimento (che i più attenti hanno già ascoltato in Clube da Esquina) ed in cui è possibile trovare ispirazioni più o meno velate; o per l’ennesimo tributo ai The Beatles di Revolution 9 e ai relativi esperimenti con il collage di nastro magnetico; non ultimo i giochi gutturali, gli studi della voce di Yma Sumac o di Cathy Berberian e la sua Stripsody (che anticipano di qualche anno i calembour vocali di Demetrio Stratos). 

Tutto questo bailamme sperimentale, che principio ed ispirazione trae dai poeti concretisti della scena paulista, viene prodotto in una sola settimana agli Eldorado Studio di San Paolo. Troviamo nuovamente Tuti Moreno alle percussioni e Moacyr Albuquerque al basso, per il resto il personale è ridotto all’osso (dobbiamo la chitarra cattiva di De Cara a Lanny Gordin). Ospite vocale d’eccezione è Dona Edith do Prato, conosciuta come Edith Oliveira, maestra del Samba de Roda che troviamo a inizio disco con Viola Meu Bem e poi nel sogno di Sugar Cane Fields Forever

Capire il dritto dal rovescio sarebbe complicato se non intervenisse lo stesso Caetano in nostro aiuto, raccontandoci nella title-track – relegata a fine disco – a cosa andiamo incontro, nel punto forse più alto dell’intero disco:  

Araçá azul é sonho-segredo  (Araça Azul è un sogno segreto) 
Não é segredo  (Non è un segreto) 
Araçá azul fica sendo (Araçá azul è qui) 
O nome mais belo do medo (Il più bel nome della paura) 
Com fé em Deus (Con fede in Dio) 
Eu não vou morrer tão cedo (Non voglio morire così presto) 
Araçá azul é brinquedo (Araçá azul è un giocattolo) 

Araça Azul fa presupporre che l’origine di questo disco sia mistica e contraddittoria; un sogno ad occhi aperti, uno scherzo che ci dobbiamo raccontare per rompere lo schema convenzionale della vita. Araçá Azul è un gioco, e come tale esiste, ma essendo tale si pone come eccezione in un mondo scorbutico, arido e privo di gioia come quello vissuto all’epoca da Caetano Veloso (e che viviamo tuttora). 

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Caetano Veloso – Transa

Dopo Tropicalia: ou Panis et CircencisCaetano Veloso e Gilberto Gil, godono di una forte esposizione mediatica, i loro dischi di esordio sono sulla bocca di tutti, il manifesto tropicalista si è diffuso e ha fatto numerosi proseliti.  

Come sostenuto da Gilberto Gil in ricordo del periodo: non vi era piena coscienza dell’impatto di Tropicalia, quanto più che altro consapevolezza di un cambiamento nella propria musica; un’onda a trazione globale (guardando anche agli eventi negli Stati Uniti e in Europa). Naturalmente questa si riverbera sulla società.  

In fondo il cambiamento si pone sempre come un’urgenza di comunicare verso chi si trova in condizioni similari, e tropicalia si è dimostrato un centro di concepimento fertile. 

Accade però che nella prima metà del dicembre 1968, il governo in carica emana l’AI-5 – un atto istituzionale che conferisce poteri assoluti al Presidente della Repubblica – e di fatto sbaraglia ogni tipo di attività sovversiva o opposizione. Istituisce i tristemente noti squadroni della morte, e va a censurare ogni forma artistica (e che indurrà i vari Chico BuarqueMilton Nascimento e gli altri di cui abbiamo raccontato, ad ingegnarsi per aggirare ogni forma di veto per far vedere la luce alle proprie creature intellettuali).
Passano appena due settimane, quando un provocatorio Caetano (divenuto, assieme a Gilberto Gil, ospite fisso del programma televisivo dei tropicalisti Divino, Maravilhoso in onda su TV Tupi [Tupy or not Tupy… ndr]), si punta la rivoltella alla tempia mentre interpreta Boas Festas di Assis Valente.  

Dopo 3 giorni vengono entrambi arrestati guadagnandosi 2 mesi di prigione a cui seguono 4 di domiciliari per attività sovversiva e vilipendio del paese. Il programma non è che fosse stato preso in simpatia dalle sfere alte e l’ultima performance di Veloso è stato il classico eccesso che ha fatto vacillare la pazienza dei potenti. Il Governo invita caldamente i due dissidenti ad “auto-esiliarsi”; Veloso Gil colgono la palla al balzo per andarsene a Londra (con tappe poco degne di nota a Lisbona Parigi) non prima di aver organizzato un concerto di commiato – o meglio di raccolta fondi – per pagarsi il biglietto aereo. Nei due anni e mezzo spesi nella Big SmokeCaetano Veloso produce due dischi: un omonimo (tanto per cambiare) e Transa

Durante il periodo d’esilio, a Veloso viene concesso di tornare in Brasile per le celebrazioni del quarantesimo anniversario di matrimonio dei suoi genitori. Nella breve permanenza è sottoposto ad interrogatorio dal personale militare, che ne approfitta per richiedere la composizione di una canzone che elogi la nuova opera pubblica sulla bocca di tutti: l’autostrada Transamazônica.
Come lecito aspettarsi, Veloso si rifiuta, ma tornando a Londra registra Transa, disco che poi vedrà la luce nel 1972 proprio in Brasile, quando grazie all’intercessione pubblica di João Gilberto – che accetta di tornare in televisione dopo 10 anni di assenza a patto che partecipi anche il suo figlioccio artistico – Veloso tornerà in patria. 

Caetano constata che la situazione è più distesa rispetto a due anni prima, e decide di fermarsi nel suo paese per continuare la dissidenza in loco. Transa è un ulteriore schiaffo ad un regime che ha dimostrato a più riprese i propri limiti intellettivi. La richiesta da parte dei militari di registrare un album ufanista è stata rigettata, ma a questo affronto, Caetano Veloso, risponde con una provocazione: elidendo la parola Transamazônica nella più semplice Transa (che l’urban dictionary traduce in “scopare”).  

Alla luce di questo, Transa, va a collocarsi con vigore tra i picchi raggiunti da Veloso durante la sua infinita carriera [invito a leggere la valida considerazione a proposito sulla scarsa notorietà del disco in questo paese a scapito di album come Estrangeiro ndr], evito di dilungarmi in una tediosa analisi del disco, in quanto ahimé è stato scritto di tutto e di più a riguardo.  

Ho piacere però nel soffermarmi sul valore puro di Transa, di come risuoni decisa l’integrazione tra due mondi musicali, come dimostra nell’audace – per i canoni dell’allora pubblico – rilettura di Mora na Filosofia di Monsueto Meneze e Arnaldo Passos, nella citazione a The Long and Winding Road dei The Beatles (pallino non solo di tutto il mondo occidentale ma anche dei giovani tropicalisti), o nel reggae scoperto a Portobello Road e assimilato brillantemente in Nine Out Of Ten.  

Ma la bellezza di questo disco a mio avviso giace nella naturalezza dimostrata da Veloso nel disorientare l’ascoltatore passando dal brasiliano all’inglese, senza forzature e in armonia; una proprietà che ha mostrato più volte nel corso della sua lunga carriera (anche con lo spagnolo e l’italiano) così come hanno dimostrato di saper fare Gilberto Gil e Chico Buarque.    

Con questa spontaneità si svela al mondo con You Don’t Know Me, in apertura del disco, arricchita dai puntelli vocali di Gal Costa. Per le registrazioni di TransaVeloso si è affidato a Ralph Mace (ei fu produttore di The Man Who Sold The World) e ha chiamato a raccolta i propri sodali, oltre a Gal Costa partecipano anche: MacaléMoacyr AlbuquerqueTuti Moreno e Áureo de Sousa (entrambi alle percussioni). Con la volontà di registrare tutti i brani come se provenissero da uno spettacolo dal vivo, ricreando una situazione da band (la prima nella carriera di Veloso), che risultasse genuino.  

Transa è un grande valore aggiunto nella discografia di Caetano Veloso, un disco che evidenzia – se ce ne fosse stato bisogno – l’eclettismo di chi nei successivi 50 anni avrebbe continuato a distribuire perle di rara sensibilità artistica.

Jorge Ben Jor – Samba Esquema Novo

A cavallo tra la primavera e l’estate del 1998 i bambini di tutto il mondo impazziscono per un minuto e trenta secondi di spot proposto con petulante cadenza dalle reti televisive pubbliche e private. Va ancora di moda uscire con il marsupio e legarsi il pezzo sopra della tuta acetata alla vita, l’aria è tiepida e il profumo dei cipressi – delle sue piccole pigne e della resina – persiste nell’etere; la scuola è appena terminata e tutti i ragazzini sfuggiti alla malia delle colonie estive si riversano, quotidianamente e con il tango sotto il braccio, nei campetti sterrati di quartiere a riproporre tentativi più o meno riusciti di doppi passi, veroniche e biciclette. Le sbucciature sono all’ordine del giorno, così come il sudore acido e stantio catturato dal tessuto acrilico delle magliette tarocche. 

I mondiali di Francia – quelli del rigore di Di Biagio – stanno per cominciare e, aldilà delle vane speranze riposte nella staffetta BaggioDel Piero, lo spauracchio più grande per la vittoria finale è rappresentato dal Brasile del Fenomeno. Logico che un bambino, venga rapito dal funambolismo della pubblicità ideata dalla Nike per l’occasione.  

Logico anche che l’attenzione di un bambino sia sequestrata dal sottofondo musicale scelto dai pubblicitari. Mas que nada diventa così la colonna sonora delle partite estive, un vocalizzo da improvvisare ogni volta che nel campo si verificasse un dribbling creativo, o un gol, meritevole da essere narrato ai posteri per i canoni estetici della vita pre-world-wide-web

Quindi Mas que nada vive una seconda giovinezza a distanza di 35 anni dalla sua composizione, purtroppo però molti non sapevano all’epoca che il compositore originale non è Sérgio Mendes (autore bensì della prima celebre cover), quanto quel Jorge Ben Jor che non viene mai calcolato di pezza. 

Dispiace che tutti, di primo acchito, non riconducano la paternità della composizione a Jorge Ben Jor perché è veramente un signor autore; pensate che il suo disco di esordio si apre proprio con Mas que nada, brano dal successo planetario di estrazione sambista, reinterpretato negli anni in chiave jazz da grandi quali: Dizzy GillespieAl JarreauElla Fitzgerald (o da altri artisti di spessore provenienti della scena brasiliana quali Milton Nascimento e Elis Regina). 

Samba Esquema Novo si apre quindi col botto e ha la capacità di mantenere una qualità alta per tutto il prosieguo del breve ed intenso disco. L’apporto [Massimo ndr] dei Meirelles e os Copa 5 offre una declinazione jazz al samba, non è un caso che anche Tim, Dom, Dom – dal forte retrogusto di bossa alla João Gilberto – venga subito preso in prestito da un altro JoãoDonato. Brano dopo brano si respira un forte brasilianità, delicatezza e raffinatezza, ed è conseguenza naturale che canzoni come Balança Perna (Marisa Monte), Chove Chuva (Elza Soares), Por Causa de Você Menina sono tutti brani che hanno trovato facilmente casa anche in altri album, pluri-reinterpretati. 

Inutile soffermarsi ulteriormente sull’umore di un disco che credo abbiate già colto nelle poche righe improvvisate qua sopra e dalle note suonate da Jorge Ben Jor. La saudade, la leggerezza in apparenza indolente, che vi catapulta nelle sale da ballo del Brasile di inizio anni ‘60, quando la dittatura ancora non si era affacciata nelle vite dei cittadini. Un disco da avere nel proprio scaffale, da consumare e ascoltare ad libitum. Per quel che può valere una classificazione (per di più da parte di una testata discutibile quale Rolling Stones) il disco è stato classificato al quindicesimo posto nei migliori cento album della storia del paese. Aldilà di ciò, è un disco che ha influenzato e continua ad influenzare generazioni di artisti, che però non dimostrano la stessa capacità rivoluzionaria di Jorge nell’approcciarsi alla musica e divenire così essi stessi degli standard. 

 
Sono stato rapido ed indolore, ci becchiamo alla prossima ciuccelloni! 

Egberto Gismonti – Egberto Gismonti

-Buongiorno sig. Pillole, oggi quale storia ha intenzione di raccontarci? 

-Buondì, proporrei il disco d’esordio Egberto Gismonti

-Mi perdoni, ma con tutto il popò di robetta bela gostosa che ci offre Brasil lei mi va a pescare un tizio dal nome campagnolo che sembra provenire dalle Marche sporche? Chi è Egberto Gismonti e perché ha deciso di raccontarci proprio di lui? 

-Beh sicuramente in quanto italo-brasiliano, quindi la sua presenza calza a pennello all’interno di questo ciclo di pillole. Poi perché è discretamente bravo il ragazzo e ha avuto una carriera di tutto punto, diciamo che non devo essere io a farvelo scoprire. Anzi, se non lo conoscete è una grossa pecca vostra, visto che non è che sia di primo pelo è può contare già oltre le 70 primavere. 

-Ok chiaro, allora ci può evidenziare i punti di tangenza tra la sua idea musicale e quella di altri artisti già trattati in questo ciclo, o magari tra gli altri che si andranno a trattare? 

-La contaminazione è l’argomento principe quando si analizza la musica brasiliana, figlia dell’incontro tra anime e diverse culture, sapientemente espressa da Milton Nascimento, nel quale troviamo affinità lapalissiane quando andiamo a scoprire il lato più pop della musica di Gismonti. Poi direi che in Gismonti è possibile ritrovare tutta la scena del choro e del jazz brasiliano – con le felici declinazioni internazionali – quindi è facile trovare un ampio respiro nella sua musica, che non va solo da MorceiroPixinguinhaVillas Lobos e Jobim ma arriva a Getz Brubeck. Insomma, far coesistere tutto questo popò di roba con naturalezza non parmi cosa da poco.  

-Mi ha trasmesso quasi voglia di ascoltare questo Egberto Gismonti, anche se faccio una gran fatica a non inciampare nella pronuncia sdrucciola e piana di questo nome tanto italiano quanto straniero. Come posso fare caro signor Pillole? 

-Si rivolga ad un logopedista, è tutta una questione di pratica, come avviene per gli scioglilingua. A proposito ha mai provato a ripetere velocemente e più volte “mazzo di carte, carte di mazzo”? 

-Sì, ci ho provato, ma intendevo che bramo qualche guizzo pecoreccio, voglio dire… questa pillola fin qui è più piatta della pianura padana, sa meglio di me che la gente vuole il sangue e noi dobbiamo dargli il sangue, accenda la scintilla della curiosità nei nostri lettori più pigri, suvvia! Sollevi la coscia come Sharon Stone, ci regali un brivido che dal coccige scorra fin la cervicale e si irradi lungo la cartilagine delle orecchie. 

-Lei è un marpione incontentabile, sempre a pensare alle donnine. Siamo qui per parlare di figa o di musica, ma insomma! Quindi vuole qualche suggerimento su Pornhub o preferisce altri portali? 

-No, di grazia, il guizzo deve appartenere all’artista in questione, non divaghiamo signor Pillole ho semplicemente usato la metafora di Sharon Stone

-La prossima volta non sia così criptico e viscido ma si limiti a rivelare subito la sua anima signor intervistatore. Comunque, le peculiarità di Gismonti sono relative alle proprie origini italiane (madre catanese) e libanesi. Eccellente chitarrista (non è un caso che ci sia un tributo a Wes Montgomery, che ammicca fortemente al miglior periodo di David Axelrod) e pianista, nel suo umore coabitano le influenze europee e mediterranee fuse nel ritmo brasiliano, in una via sperimentale e che difficilmente può essere reputata noiosa da chi si imbatte in Gismonti

Ad esempio, prenda O Gato, lì si respira lo spirito metropolitano del Brubeck di Jazz Impressions of Japan. Tanta roba. Un crescendo, un continuo precipitarsi claustrofobico in fughe pianistiche con tiro clamoroso. Mentre l’orchestrazione di Clama-Claro ci ricorda (per l’ennesima volta, se fosse necessario… e a quanto pare lo è) che Sufjan Stevens non si è inventato nulla. 

-Ok, ora sì che mi ha acceso la scintilla, devo ammettere sinceramente che non riesco ancora a vincere una resistenza. Difatti mal digerisco chi non è nativo di una certa cultura musicale e se ne appropria. Nello specifico, lei ha sottolineato come la cultura musicale europea e mediterranea abbraccino quella brasiliana. Trovo un po’ forzata questa definizione, soprattutto per un disco d’esordio, quando uno è giovane non può avere la piena consapevolezza musicale delle proprie origini.  

-Non mi soffermerò più di tanto sul fatto che lei è un tanghero miope e di quanto modesto e fallace sia il suo dubbio, forse pensare troppo a Sharon Stone negli anni ha contribuito a ridurre il suo campo visivo e ad annebbiarle i pensieri. Piuttosto mi soffermo nello specifico caso alla formazione musicale di Gismonti, che oserei definire universale.  

-Lei è esagerato Pillole, usa delle iperboli per ridicolizzare un dubbio legittimo.  

-Esagerato un cazzo. Pensi che Gismonti già all’età di 6 anni ha cominciato a studiare pianoforte al Conservatório Brasileiro de Música, dopo 15 anni di studi classici viene accettato come allievo di Jean Barraqué, a sua volta ex-allievo di Arnold Schönberg e Anton Webern, quindi vira verso la dodecafonia. Successivamente può fregiarsi di essere stato allievo anche di Nadia Boulanger, con la quale ha approfondito l’analisi musicale e compositiva.  

Sarà proprio la Boulanger – che negli anni ha avuto come studenti Philip Glass e Astor Piazzolla – a riportare il suo cono visivo diretto alla musica brasiliana, lasciandogli intendere quanto fosse importante far confluire quanto appreso con la musica del suo paese nativo. 

Quindi come vede, non c’è nessuna forzatura, Gismonti si è semplicemente fatto il culo e può permettersi di applicare un’idea musicale del genere senza apparire tracotante. 

-Credo che Lei la stia prendendo un po’ sul personale, ma facciamo finta di nulla. Quindi stando a quanto dice la musica brasiliana dovrebbe restare il fulcro della poetica musicale di questo disco d’esordio di Gismonti

-Non solo, O SonhoEstudo N°5SalvadorPr’Um Samba sono solo alcuni brani presenti nel disco d’esordio che corroborano quanto sostenuto in precedenza, ma la brasilianità è centrale nell’intera carriera di Gismonti, non è un caso che subito dopo lo studio sostenuto con la BoulangerEgberto si ritrovato nella regione amazzonica dello Xingu con la tribù degli Yualapeti contribuendo a modellare ulteriormente il manifesto musicale e personale del Gismonti

-Insomma un approccio antropologico alla Levi-Strauss, o per essere ancora più pertinenti, alla Alan Lomax

-Sì corretto, Lei dopotutto non è un babbeo come sembra. 

-La ringrazio, sempre parco coi complimenti. 

-Di nulla.  

Qui da pillolemusicali8bit.com è tutto, ascoltate questo album, sono sicuro che questo disco saprà rapire le vostre orecchie già al primo ascolto. E se vi fermerete ad un ascolto e basta, siete delle persone male. Chiudo la polemica tra me e il sottoscritto, che ha condizionato l’andamento di questo racconto.  

Chico Buarque – Chico Buarque (Samambaia)

Che Chico Buarque destinasse tutto il proprio sforzo creativo nello stendere evocativi versi elegiaci, e se ne fregasse beatamente del nome con cui battezzare i propri dischi, questo penso lo aveste già inteso durante il primo ciclo brasiliano.  

E allora, per il quieto vivere dei poveri cristi che ascoltano, come già accaduto con i Velvet Underground il cui disco d’esordio è stato diffusamente identificato come Banana Album, quest’ennesima opera targata Chico viene rinominata – da critica e pubblico – come Samambaia, il nome della felce che campeggia dietro al Chico ridente sulla copertina. 

Ma cosa ha fatto questo disco per meritarsi un nome alternativo?  

La risposta è semplice: a causa del contenuto giudicato controverso (naturalmente controverso per il regime). 

Oltre a contenere la tanto vituperata – e pluri-censurata – Càlice, la presenza dell’inno della protesta civile Apesar de Você rende Chico una delle figure di punta non solo tra i dissidenti carioca ma anche dell’intero Brasile. Va da sé che gli aspetti da raccontare a proposito di questo disco sono numerosi e il dono della sintesi talvolta non mi appartiene, mi sforzerò di essere conciso ma ficcante. 

Nonostante quel che ho scritto e la vocazione del disco possa sembrare ribelle, esso riesce a contenere tutte le anime di Chico, più di quanto fosse riuscito a fare con Construção perché l’apertura festante di Feijoada Completa è tutto fuorché un brano presago di negatività, non contiene la fiele che abbiamo assaggiato in Construção o il languore tenero di A Banda, e forse incarna meglio di tante altre canzoni fin qui presentate l’entusiasmo conviviale tipico dello stereotipo brasiliano per antonomasia.  

Trocando em Miúdos viene prestata a Sergio Endrigo per il suo Exclusivamente Brasil e la troviamo anche qui, rappresentando la classica canzone delicata di fine relazione con climax ascendente e con saluto a quel Pixinguinha massimo esponente del choro (mas fico com o disco do Pixinguinha, sim?però mi tengo il disco di Pixinguinha, va bene?), scritta a quattro mani con quel Francis Hime, trait d’union tra ChicoBituca per O Que Será?. 

Il disco si dimostra ben equilibrato nell’alternanza tra brani impegnati, ritmati, “leggeri”, il pathos non viene mai meno anche nella levità di Pedaço de Mim offerta dalla voce di Zizi Possi o nella sublime di Tanto Mar, scritta nel 1975 ed ispirata alla rivoluzione dei garofani in Portogallo (Revolução dos Cravos) del ‘74 col quale è stato deposto il regime post-salazarista dell’estado novo

Tanto Mar la eseguono Chico e Maria Bethânia per una serie di spettacoli al Canecão, nel quartiere Botafogo. Per poter ottenere la pubblicazione nel 1978 Chico ha dovuto rimettere mano al testo in quanto la versione primigenia conteneva versi che non andavano a genio al “Ministero della Verità”. 

Naturalmente non è un caso sporadico, Chico può vantare una lunga lista di composizioni poco gradite ai regimi brasiliani, non ci si può fermare solo ai brani presenti in Samambaia come Meu AmorApesar de Você e Càlice. Quest’ultima – dal testo evocativo – gioca sulla religiosità del tema – paragonando il calvario di Gesù sul Golgota con la situazione vissuta dai brasiliani con i governanti –  per attaccare il regime su una linea sottile e continue perifrasi e giochi di parole, su tutti: càlice

Esso funge da sostantivo quindi come un calice che, anziché contenere il sangue di Cristo, è colmo del sangue degli innocenti castigati dal regime, ma anche come un verbo declinato all’imperativo, un taci (in portoghese cale-se, omofono di càlice) abbaiato con rabbia dal regime per censurare il popolo governato. La canzone nasce dalla penna di Chico e Gilberto Gil nel 1973 per il festival musicale Phono73 a San Paolo, è stata sabotata ed ha visto la luce solo 1978 con la versione presente in Samambaia con Milton Nascimento.  

Poco dopo che Chico e Gilberto hanno cominciato a eseguire la melodia punteggiandola di tanto in tanto con la parola càlice, i microfoni sono stati spenti dagli stessi organizzatori che – presa coscienza del brano – hanno sconsigliato di interpretarlo. In particolar modo la cruenza del verso finale “E che la mia testa la smetta di pensare come te./Voglio annusare i vapori del gasolio/e ubriacarmi fino a esser dimenticato!” si riferisce all’omicidio di Stuart Angel. attivista del MR-8, soffocato con il tubo di scappamento di una jeep infilato in bocca. 

Ciliegina sulla torta di questo racconto fiume, è Apesar de Você che conclude l’album ed è stata composta ancor prima di Càlice nel 1970. Definito il “samba dedicato al dittatore di turno”, è stata pubblicata proprio nel 1970, quando Chico ha terminato il proprio esilio italiano (convinto a tornare dal discografico André Midani illudendolo che la situazione nel paese natale fosse migliorata), eludendo inizialmente il controllo della censura, vendendo 100.000 copie in pochi giorni, salvo poi subire lo stop da parte del governo di Emílio Garrastazu Médici che, ravvedendosi, inviò nella filiale della Philips la polizia a distruggere le copie del disco. 

Storicamente le pedine di un regime, e talvolta anche le teste a capo dei reparti, brillano per solerzia ma non per ingegno, questo è uno dei casi che conferma la precedente enunciazione, perché se vai nella sede della Philips, distruggi le copie ma te ne freghi bellamente dei master, ti esibisci in tutta la tua corrusca cialtroneria. 

Or dunque, seppure Apesar de Você fosse stata ritirata dal mercato, si era diffusa a macchia d’olio diventando l’inno di un popolo soppresso. Chico ha dribblato abilmente le critiche del governo in merito al você spiegando come non fosse una critica al governo, bensì a “una donna molto prepotente, decisamente autoritaria”. 

Durante il regime l’arguzia e la capacità di piegarsi, e non spezzarsi, ha consentito a molti artisti di aggirare abilmente il giogo dittatoriale, riuscendo ad imporsi come fiaccola di speranza per chi non disponeva più strumenti per credere nella libertà. È un inno che trova sempre voce, nella ciclicità dei momenti bui (come nella recente elezione di Jair Bolsonaro), ogni brasiliano si ricorderà di cantare: 

Tu che hai inventato questo stato 
e ti sei inventato di inventare 
tutta questa oscurità. 
Tu che hai inventato il peccato 
ti sei scordato di inventare 
il perdono 

Tuo malgrado 
domani sarà 
un altro giorno
” 

Milton Nascimento – Clube da Esquina 2

Passano sei anni prima del nuovo incontro tra Bituca ei suoi parceiros. Il Clube aldilà di quelli che sono stati i facili giudizi della prima ora, è conscio del valore del proprio esordio, e dopo aver vissuto uno stallo obbligato dalla situazione politica che affligge il Brasile di quegli anni, torna mettendo sul tavolo tutta l’esperienza necessaria per esaltare le vette raggiunte nel primo capitolo dei Bookhouse Boys brasiliani.  

Come nella copertina del primo disco ci sono dei bambini che qui porgono le terga allo spettatore, intenti a scavalcare un muretto o contemplare il mondo sotto di loro e fregarsene di chi hanno alle spalle. Lo scatto è ad opera di Frank Meaddow Sutcliffe nel 1891, prende il titolo di Excitement, ed è probabilmente l’immagine più azzeccata da poter abbinare alla copertina del disco del Clube.

Un approccio meno articolato ma non tanto distante (idealmente) rispetto a quello scelto per la cover di Clube da Esquina, nella quale campeggiavano i due ragazzetti – Cacau Tonho – immortalati da Cafi (al secolo Carlos da Silva Assunção Filho). Cafi si trovava nell’area del Rio Grande de Cima quando, vedendo giocare a pallone i bambini nello sterrato, ha inchiodato il maggiolino per scattare la foto che sarebbe diventata la copertina di Clube da Esquina: “un’illuminazione […] un’immagine forte. La faccia del Brasile.” 

Naturalmente, tempo di rimettere in moto la macchina e Cafi si è già dimenticato il nome di entrambi. Qualche giorno dopo sviluppa la pellicola e convince Milton Lô che quella sarebbe stata una copertina perfetta per l’album Clube da Esquina, dando adito alla leggenda che la foto ritraesse i due musicisti da giovani, salvo poi essere smentiti a più riprese e con maggior vigore una volta che i veri soggetti sono stati trovati. 

Pertanto da questa idea principia anche la copertina scelta per il secondo capitolo della storia del Clube. Un disco che condivide il fanciullino nei ragazzi del Clube, con l’esaltazione dell’anima e l’eccitazione dell’esordio, valorizzando le sfumature della musica indigena, marcate e celebrate con pregio. La presenza di Chico Buarque, in Cancion Por La Unidad Latinoamericana (scritta proprio da Chico insieme al cantautore cubano Pablo Milanés), impreziosisce ulteriormente questo lavoro che esalta l’ecumenismo e l’enfasi posta sul concetto di internazionalizzazione. 

Proprio il senso ecumenico che filtra dalla musica di Milton è un valore nodale della sua poetica, una ricerca che ben si sposa con quanto affermato da Elis Regina (presente in O Que Foi Feito Deverá) per descrivere la voce di Bituca. Una delle motivazioni che si celano dietro la deriva sociale di valori – e questo incedere trasandato – è la perdita della fede, di valori universali condivisi. Sicché in un brano nobile come Paixão e Fé (retaggio dei canti di fede interpretati in gioventù nelle chiese), si riesce a ristabilire una connessione col mondo ideale sognato da Bituca. Non è un caso che dei 23 brani a comporre il doppio disco, solo 11 portino la firma del nostro caschetto prediletto, un modo per lasciare voce anche a tutti gli altri interpreti che hanno contribuito a questo sforzo. 

Con Clube da Esquina 2 giunge a giusto compimento una storia musicale che riempie l’animo di pace; un ascolto mai pesante, nel quale è possibile riconoscere le influenze nonostante siano talmente ben amalgamate da risuonare spontanee, e che – soprattutto -rende giustizia ad un talento ed un repertorio musicale come quello di Milton, troppo spesso trascurato…

ora, se desiderate, avete tutte le carte in regola per esplorarlo da conto vostro. 

Ahimè questo viaggio in compagnia di Milton è terminato, mentre quello nel periodo più fulgido della musica brasiliana è appena cominciato. 

Milton Nascimento – Geraes

Con Minas siamo stati catapultati nella vita privata di Milton Nascimento, una quotidianità che continua a raccontarci in Geraes. Lo fa già con la copertina, poche semplici linee che raccontano di uno sbuffante treno a vapore di passaggio davanti ai tre picchi di Três Pontas, la città dove Bituca è cresciuto. Il legame è talmente saldo che lo stesso municipio ha riconosciuto il valore di Milton donando al teatro della città il suo nome, onore spesso dedicato a chi non è più in vita (considerato anche il triste adagio nemo propheta in patria). 

In Geraes ci si imbatte in un caposaldo della MPB, O Que Será? a firma di Chico Buarque, un brano divenuto standard della musica brasiliana, declinata più e più volte in chiave jazz.  

O Que Será? – colonna sonora del film diretto da Bruno Barreto Dona Flor e Seus Dois Maridos (trasposizione dell’omonimo romanzo di Jorge Amado) – è una canzone ispirata dalle fotografie di Cuba che il giornalista Fernando Morais aveva mostrato a Chico

Dalle strofe di Chico traspare il suo carattere meditativo, raccolto, diretto e senza fronzoli; si parla di esistenza ed è bello che questa canzone sia condivisa e non frutto di un soliloquio. Condivisa non solo nel canto (con la voce di Milton che si sposa con quella di Chico Buarque e con il piano di Francis Hime), ma anche nelle incisioni. A Geraes appartiene O Que Será? (A flor da pele), mentre al coevo Meus Caros Amigos di Chico appartiene O Que Será? (A flor da terra). 

Altra collaborazione sulla quale è necessario soffermarsi è il duetto con La Negra Mercedes Sosa (la prima di una lunga serie), fondatrice del Movimento del Nuevo Cancionero simpatizzante di Juan Domingo Perón e messa all’indice dal regime dopo il colpo di stato del 1976. Esule, viene invitata a duettare nel brano catartico di Violeta ParraVolver a los 17 

Ascoltando e riascoltando l’album, è possibile cogliere le sfumature e le varie contaminazioni che corroborano la larghezza di vedute di Bituca. Non esita ad introdurre nel disco il Grupo Agua, riconoscibile per le sonorità della cordillera andina, allo stesso tempo è abile nel virare verso la tradizione con Calix Bento, senza tralasciare la cuica ammiccona di Circo Marimbondo (vera delizia festaiola del disco), o la tenere chiusa del disco Minas Geraes, sempre con la partecipazione di Grupo Agua

Mediante questo disco si riesce ad avere sempre più chiaro il percorso musicale intrapreso da Milton Nascimento, le anime che compongono la sua idea, ma soprattutto si comprende quanto Geraes sia la faccia speculare di Minas

Com o coração aberto em vento  (con il cuore aperto al vento) 
Por toda a eternidade (per tutta l’eternità) 
Com o coração doendo (con il cuore dolorante) 
De tanta felicidade (per la tanta felicità) 

Giusto per chiudere il discorso, come per Minas, anche in questo caso c’è stata una ri-edizione del disco che ha portato alla luce altri due collaborazioni con Chico Buarque, come se i due si fossero trovati a scaldare i motori prima di registrare Càlice in Samambaia nel 1978

Milton Nascimento – Minas

Continua con Minas questo mini-ciclo di racconti rivolti a Milton Nascimento. Lo si fa col secondo gemello del gruppo, un disco dalla grande valenza simbolica, che si lega a Clube da Esquina ricucendo il discorso in un unico grande telaio autoreferenziale: quello legato alla narrazione di resistenza culturale e antropologica a una bieca dittatura. Il regime pretende dagli artisti delle produzioni musicali patinate che siano assoggettate a dinamiche autoritarie, sulle quali conserva un inderogabile diritto di veto. 

La presenza di un governo autoritario ha imposto l’urgenza creativa di dover eludere le restrizioni: quando il perimetro è circoscritto il vero creativo riesce ad attingere appieno dal proprio vissuto. Milton nato nel 1942 a Rio, orfano dopo appena due anni, viene adottato da un’altra famiglia che abita nel Minas Gerais, regione mineraria lontana dal mare e dal luccichio delle spiagge brasiliane, caratterizzata da una spiccata eterogeneità etnica (colonia portoghese a prevalenza di schiavi africani, con una folta comunità di italiani). 

Nonostante questo, Milton è uno dei pochi ragazzi di colore nella città di Três Pontas; vive sulla propria pelle l’intolleranza dei suoi concittadini. La madre adottiva di Bituca canta nel coro di Heitor Villa-Lobos (da qui presumibilmente deriva la spiccata attitudine musicale di Milton), così la religiosità diviene il medium metaforico che Milton – corista nelle chiese barocche di Três Pontas – applica ai propri testi, il codice di lettura delle sue canzoni per aggirare la tagliola della censura, in tal proposito un approfondimento sarà dedicato – a tempo debito – a Càlice di Chico Buarque (brano al quale partecipa proprio Bituca come seconda voce) fulgido esempio dello stile descritto.  

Come ha spiegato Carlo Massarini nell’egregia disamina dedicata a Bituca, il primo lavoro del Clube termina con Nada Serà Como Ante, nella quale Nascimento lamenta la certezza di un domani fosco. 

Eu já estou com o pé na estrada  (ho già il mio piede su quella strada) 
Qualquer dia a gente se vê (ogni giorno che ci incontriamo) 
Sei que nada será como antes, amanhã  (niente sarà come prima, domani) 

Da Clube a Minas passano 3 anni, nei quali quelle parole hanno scavato a fondo con pazienza orientale, e come goccia che batte nella roccia ha eroso la superficie. Così Fè Cega, Faca Amolada comincia da dove aveva lasciato, ma con una impetuosità diversa, quasi gioiosa a dispetto delle parole. 

Agora não pergunto mais pra onde vai a estrada  (ora non chiedo più dove sta andando la  strada) 
Agora não espero mais aquela madrugada  (ora non attendo più quell’alba) 
Vai ser, vai ser, vai ter de ser, vai ser faca amolada  (sarà, sarà, dovrà essere un coltello  affilato) 
O brilho cego de paixão e fé, faca amolada  (il bagliore cieco della passione e fede, e il  coltello affilato) 

[ndr Paixão e Fé sarà il titolo di un brano presente in Clube da Esquina 2, sempre tornando all’autoreferenzialità di Bituca

Il trait d’union sul quale l’intero disco si snoda è il refrain di Paula e Bebeto, la canzone che conclude la versione originale del disco (la riedizione contiene altri 3 brani) scritta a quattro mani con Caetano Veloso. Un coro di bambini intonano a cappella una nenia che l’ascoltatore incontra saltuariamente in Minas; nenia che scandisce il disco lasciando trasparire la felicità della coppia (che quando però la canzone è stata completata, nella vita reale si erano già lasciati). 

Mettendo il naso oltre quanto già scritto, nella musica di Milton Nascimento troviamo la sonorità di Minas Gerais assimilata, digerita e arricchita dalle influenze straniere, rappresentando uno degli esempi più chiari dell’antropofagia teorizzata da Oswald de Andrade [ci sarà tempo per approfondire anche questo aspetto ndr]. Impossibile non perdersi nei riferimenti alla musica inglese, da Kevin Ayers, Lol Coxhill (Beijo Partido), sino ai tributi più o meno velati ai Beatles (non a caso c’è una reinterpretazione di Norwegian Wood) sempre con ammiccamenti non troppo velati al jazz, senza smarrire l’identità musicale nativa.  

In Minas presenziano tutte le gemme che fioriranno con corrusco splendore nel suo gemello omozigoto Geraes