Caetano Veloso – Transa

Dopo Tropicalia: ou Panis et CircencisCaetano Veloso e Gilberto Gil, godono di una forte esposizione mediatica, i loro dischi di esordio sono sulla bocca di tutti, il manifesto tropicalista si è diffuso e ha fatto numerosi proseliti.  

Come sostenuto da Gilberto Gil in ricordo del periodo: non vi era piena coscienza dell’impatto di Tropicalia, quanto più che altro consapevolezza di un cambiamento nella propria musica; un’onda a trazione globale (guardando anche agli eventi negli Stati Uniti e in Europa). Naturalmente questa si riverbera sulla società.  

In fondo il cambiamento si pone sempre come un’urgenza di comunicare verso chi si trova in condizioni similari, e tropicalia si è dimostrato un centro di concepimento fertile. 

Accade però che nella prima metà del dicembre 1968, il governo in carica emana l’AI-5 – un atto istituzionale che conferisce poteri assoluti al Presidente della Repubblica – e di fatto sbaraglia ogni tipo di attività sovversiva o opposizione. Istituisce i tristemente noti squadroni della morte, e va a censurare ogni forma artistica (e che indurrà i vari Chico BuarqueMilton Nascimento e gli altri di cui abbiamo raccontato, ad ingegnarsi per aggirare ogni forma di veto per far vedere la luce alle proprie creature intellettuali).
Passano appena due settimane, quando un provocatorio Caetano (divenuto, assieme a Gilberto Gil, ospite fisso del programma televisivo dei tropicalisti Divino, Maravilhoso in onda su TV Tupi [Tupy or not Tupy… ndr]), si punta la rivoltella alla tempia mentre interpreta Boas Festas di Assis Valente.  

Dopo 3 giorni vengono entrambi arrestati guadagnandosi 2 mesi di prigione a cui seguono 4 di domiciliari per attività sovversiva e vilipendio del paese. Il programma non è che fosse stato preso in simpatia dalle sfere alte e l’ultima performance di Veloso è stato il classico eccesso che ha fatto vacillare la pazienza dei potenti. Il Governo invita caldamente i due dissidenti ad “auto-esiliarsi”; Veloso Gil colgono la palla al balzo per andarsene a Londra (con tappe poco degne di nota a Lisbona Parigi) non prima di aver organizzato un concerto di commiato – o meglio di raccolta fondi – per pagarsi il biglietto aereo. Nei due anni e mezzo spesi nella Big SmokeCaetano Veloso produce due dischi: un omonimo (tanto per cambiare) e Transa

Durante il periodo d’esilio, a Veloso viene concesso di tornare in Brasile per le celebrazioni del quarantesimo anniversario di matrimonio dei suoi genitori. Nella breve permanenza è sottoposto ad interrogatorio dal personale militare, che ne approfitta per richiedere la composizione di una canzone che elogi la nuova opera pubblica sulla bocca di tutti: l’autostrada Transamazônica.
Come lecito aspettarsi, Veloso si rifiuta, ma tornando a Londra registra Transa, disco che poi vedrà la luce nel 1972 proprio in Brasile, quando grazie all’intercessione pubblica di João Gilberto – che accetta di tornare in televisione dopo 10 anni di assenza a patto che partecipi anche il suo figlioccio artistico – Veloso tornerà in patria. 

Caetano constata che la situazione è più distesa rispetto a due anni prima, e decide di fermarsi nel suo paese per continuare la dissidenza in loco. Transa è un ulteriore schiaffo ad un regime che ha dimostrato a più riprese i propri limiti intellettivi. La richiesta da parte dei militari di registrare un album ufanista è stata rigettata, ma a questo affronto, Caetano Veloso, risponde con una provocazione: elidendo la parola Transamazônica nella più semplice Transa (che l’urban dictionary traduce in “scopare”).  

Alla luce di questo, Transa, va a collocarsi con vigore tra i picchi raggiunti da Veloso durante la sua infinita carriera [invito a leggere la valida considerazione a proposito sulla scarsa notorietà del disco in questo paese a scapito di album come Estrangeiro ndr], evito di dilungarmi in una tediosa analisi del disco, in quanto ahimé è stato scritto di tutto e di più a riguardo.  

Ho piacere però nel soffermarmi sul valore puro di Transa, di come risuoni decisa l’integrazione tra due mondi musicali, come dimostra nell’audace – per i canoni dell’allora pubblico – rilettura di Mora na Filosofia di Monsueto Meneze e Arnaldo Passos, nella citazione a The Long and Winding Road dei The Beatles (pallino non solo di tutto il mondo occidentale ma anche dei giovani tropicalisti), o nel reggae scoperto a Portobello Road e assimilato brillantemente in Nine Out Of Ten.  

Ma la bellezza di questo disco a mio avviso giace nella naturalezza dimostrata da Veloso nel disorientare l’ascoltatore passando dal brasiliano all’inglese, senza forzature e in armonia; una proprietà che ha mostrato più volte nel corso della sua lunga carriera (anche con lo spagnolo e l’italiano) così come hanno dimostrato di saper fare Gilberto Gil e Chico Buarque.    

Con questa spontaneità si svela al mondo con You Don’t Know Me, in apertura del disco, arricchita dai puntelli vocali di Gal Costa. Per le registrazioni di TransaVeloso si è affidato a Ralph Mace (ei fu produttore di The Man Who Sold The World) e ha chiamato a raccolta i propri sodali, oltre a Gal Costa partecipano anche: MacaléMoacyr AlbuquerqueTuti Moreno e Áureo de Sousa (entrambi alle percussioni). Con la volontà di registrare tutti i brani come se provenissero da uno spettacolo dal vivo, ricreando una situazione da band (la prima nella carriera di Veloso), che risultasse genuino.  

Transa è un grande valore aggiunto nella discografia di Caetano Veloso, un disco che evidenzia – se ce ne fosse stato bisogno – l’eclettismo di chi nei successivi 50 anni avrebbe continuato a distribuire perle di rara sensibilità artistica.

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Novos Baianos – Acabou Chorare

Ci metto la mano sul fuoco: questo album e una delle cose più fiche che ascolterete in questo 2021 [naturalmente nel caso in cui non lo aveste mai ascoltato ndr]. I Novos Baianos spaccavano di brutto e sono sinceramente contento che sia arrivato il momento di ospitarli in questo cantuccio digitale. 

Forse per i neofiti è meglio fare una piccola introduzione su chi fossero i Novos Baianos ed il perché sia così gasato. Un gruppo che cominciava a presenziare a concerti e festival senza nemmeno avere un nome definitivo, non può che conquistare da principio le vostre simpatie. Nel 1969, durante la partecipazione al Festival della Musica Popolare Brasiliana [come spesso accade nei nostri racconti ndr] il coordinatore del festival urlò “fate salire questi nuovi baiani!”, da lì nasce ufficialmente l’epopea dei Novos Baianos, con il primo disco che vedrà la luce di lì a un anno e con l’arrivo poi nel 1972 di quello che sarà universalmente riconosciuto come il capolavoro della band di Salvador

Ogni volta che lo lascio risuonare, Acabou Chorare riesce a sorprendermi per la freschezza del suono e delle vocalità: di una potenza unica; divertente; dalle chitarre rampanti di Pepeu Gomes e dal ritmo che infervorerebbe anche i culetti più statici; pulito; con un’idea musicale dirompente. 

Insomma è un disco che ha quasi cinquant’anni ma ne dimostra molti meno, senza ausilio di lifting. Pensate, è stato insignito del titolo di miglior album della storia brasiliana da Rolling Stones Brasil lasciando un’impronta più che riconoscibile nella scena verdeoro e diventando un riferimento ingombrante per chiunque abbia deciso di misurarsi con un’idea musicale similare e trovando ancora oggi nipoti degni di portare avanti questo retaggio musicale (tra cui Céu Marisa Monte). 

Indagando nel dettaglio, è divertente scoprire come il disco raccontato debba pagare un grande pegno a João Gilberto, amico d’infanzia dell’autore dei testi dei Novos Baianos, ovvero Luiz Galvão. Insomma Galvão chiede a Gilberto di raggiungere i ragazzi – intenti a buttar giù pensieri sfusi riguardo il nuovo disco – rinchiusi in un appartamento di Rio Janeiro; il maestro della bossa nova accoglie con queste parole l’invito del suo amico: 

“Ho sempre sognato di avere un gruppo con cui convivere. L’ho sempre desiderato. Non ce l’ho mai fatta”. 

I membri della band giovano subito della presenza di Gilberto, nonostante inizialmente lo avessero confuso per un poliziotto in borghese per via del suo aspetto così distante dall’estetica hippyGilberto si erge subito a padrino – spinge le sonorità della loro musica verso lidi fino a quel momento nemmeno ponderati, mettendo ordine così al caos nel quale regnavano la moltitudine delle loro idee musicali: unire l’amore per Jimi Hendrix e Janis Joplin con il ritmo nordestino, la bossa e la samba

Il brano ad apertura del disco è Brasil Pandeiro [il pandeiro è il tamburello ndr], un samba composto da Assis Valente per Carmen Miranda (la ricorderete in Los Trés Caballeros), che lo ha rifiutato malamente sostenendo che facesse schifo. È stato proprio João Gilberto a suggerirlo, sfidando i baiani a svecchiare un brano nato apparentemente sotto una cattiva stella. I Novos Baianos lo interpretano a 3 voci – di Baby ConsueloMoraes Moreira e Paulinho Boca de Cantor – come se fosse una preghiera, che progressivamente grazie all’aggiunta della chitarra acustica di Moreira, i contrappunti innervati da Pepeu Gomes ed il cavaquinho di Jorginho Gomes, si trasforma in una festa nella quale le percussioni brasiliane confluiscono nel suono riconoscibile e unico di Acabou Chorare

La scelta del titolo dell’album è un tributo a João Gilberto da parte dei baiani: la title-track viene costruita sullo stile del maestro João Gilberto, con il quale condividono anche la ferma volontà di voler dire basta alla tristezza con quel “basta piangere” (acabou chorare) parafrasando lo “chega de saudade” che ha inaugurato l’era della bossa nova. Ma la scelta di questo titolo si pone anche come un invito a smettere i panni della tristezza tramite la quale la musica popolare brasiliana ha costruito un impero degno di quello di Gino Paoli [gli Elii docet ndr] per farsi portatori di allegria e spensieratezza.
In quest’ottica brani come Preta Pretinha (che racconta come Moreira è stato pisciato da una squinzia quando era convinto di averla conquistata), A Meninha DançaBesta é Tu e Tinindo Trincando sono un inno alla vita e alla spensieratezza. 

Per intenderci, l’avvento di una scelta musicale così allegrotta e spregiudicata, fatta di chitarre elettriche aggressive, è idiosincratica allo zoccolo duro dei fan di un Chico Buarque… insomma è inviso a chi percepisce la musica unicamente per le tematiche. 

Moreira, che purtroppo ci ha lasciato redentemente, ricorda così la nascita di Acabou Chorare e di come la visione di João Gilberto fosse stata piano piano assimilata anche dai Novos Baianos

“In un’epoca in cui il Brasile era triste, grigio, apparivamo nella più grande gioia cantando canzoni come: Besta é Tu [La bestia sei tu ndr]. Nessuno lo capiva molto. E João ci disse: ‘guarda come è bello il Brasile’. Nessuno stava vedendo quel Brasile. Solo Lui. Abbiamo così cominciato ad accogliere questo Brasile.” 

Spero di non essermi dilungato troppo, ce ne sarebbero di altre cose da dire, ma non voglio privarvi di altro tempo, fiondatevi su questo disco e ascoltatelo fino allo sfinimento, e appena avrete finito di ascoltarlo comincerete da capo, così ad libitum. Ne sono convinto. 

AA.VV. – Tropicália: ou Panis et Circencis

Tupy or not Tupy: that is the question.” 

Il disco di cui raccontiamo oggi ha delle fondamenta antiche, gettate nel lontano 1924, quando Oswald de Andrade scrive il Manifesto da Poesia Pau-Brasil e anticipa di qualche mese la pubblicazione del Primo Manifesto del Surrealismo di André Breton,  nel quale – da brasiliano – esprime il pieno appoggio delle avanguardie europee. Questo pensiero è prodromo del ben più strutturato Manifesto Antropofago, pubblicato nel 1928 e cardine della poetica tropicalista, nel quale de Andrade ha modo di approfondire la consapevolezza del primo modernismo. 

Oswald de Andrade è stato uno dei letterati e poeti di punta del Brasile della prima parte del novecento; ha raccolto nel corso degli anni molti ammiratori, tra i quali Fabrizio De André che ne ha ammirato lo spirito poetico libertario, l’anticonformismo formale e l’umorismo caustico, tanto da citarlo nella Domenica delle Salme come “illustre cugino Andrade”. 

Il Manifesto Antropofago presenta nelle prime battute proprio la domanda shakespeariana “Tupy or not Tupy: that is the question”, giocando sull’assonanza tra “To be” (essere) e “Tupi” una delle principali popolazioni indigene del Brasile pre-coloniale. Ora, i Tupi sono storicamente riconosciuto per il vizietto del cannibalismo rituale ed è la pratica che de Andrade mutua – a livello culturale – citando Shakespeare in inglese ad inizio opera. Il documento è scritto in prosa sullo stile del Rimbaud di Una Stagione all’Inferno, e sprona i brasiliani a ribellarsi al colonialismo culturale, quindi assimilare ciò che di buono viene offerto dalle culture straniere senza subirle, ma masticandole e assimilandole, per renderle proprie. In quest’ottica si pone quanto citato da Caetano Veloso

Il cannibalismo culturale si confà alle idee di Augusto de CamposHélio Oiticica Caetano Veloso, i quali trovano viva corrispondenza nelle parole spese quarant’anni prima da Oswald de Andrade e sono animati da una ferrea volontà di far convergere le culture e la musica di tante società in quella brasiliana. In ambito musicale c’è molta tolleranza verso tutto ciò che è diverso, dimostrando un’apertura mentale a ventaglio che preoccupa non solo la politica di destra ma soprattutto i nazionalisti di sinistra. Non è un caso che Beatles, fado, Pink Floydbossa novaJimi Hendrix, elettronica, sperimentali, confluiscano in un calderone che in apparenza ha poco di ragionevole. 

Caetano Veloso lo riassume così: “Una miscela genuina fra le aspirazioni ridicole degli americanofili, le buone intenzioni naif dei nazionalisti, la tradizionale arretratezza del Brasile e l’avanguardia locale – la nostra materia prima era costituita da qualsiasi cosa appartenesse all’autentica vita culturale del Paese” 

Tale sincretismo musicale fiorisce nell’album collettivo Tropicália: ou Panis et Circencis, al quale partecipano Gilberto Gil e Caetano Veloso (i veri fautori di questo progetto musicale e degli happening ad esso collegati), Os MutantesGal CostaNara LeãoTom Zé. Con questo disco la Leão si emancipa dal movimento della bossa nova col quale era andata in rottura da qualche tempo (definendola a ragione “alienante”) ed interpreta Lindoneia, un ritorno anche alle idee di uno dei primi teorici della bossa nova, quel Sergio Buarque de Hollanda, padre di Chico, solito frequentare casa Leão

Vista l’ingombrante presenza di Caetano Veloso e Gilberto Gil, in Tropicália passa in sordina la presenza del grandissimo Tom Zé con Parque Industrial, che di lì a poco si sarebbe allontanato dal movimento tropicalista, prendendo una strada musicalmente più intrigante e determinata rispetto alla corrida sonora ed eterogenea di ou Panis et Circensis. Certo Veloso Gil offrono un’impronta ben definita e le loro collaborazioni – passate e future – con Gal Costa e gli Os Mutantes, mostrano tutti i loro limiti (la ridondanza e la smaccata autoreferenzialità concettuale) e le virtù (una strepitosa versione di Baby targata CostaVeloso con Os Mutantes ad accompagnare, o la divertente Bat Macumba). 

Panis Et Circencis è forse il picco dell’album, quello che dona un senso compiuto a Tropicália, gli Os Mutantes – con il loro spirito Iê-Iê-Iê – sono il vero collante di questo lavoro e Rita Lee – coi suoi sodali – si lancia in un carosello sonoro schernitore verso una società che applica continue reprimende culturali, e sociali, nei confronti dei giovani brasiliani. Tropicalia: ou Panis et Circencis è una continua onda che alterna passato e futuro, come a evidenziare la volontà di guardare sia al futuro che alle proprie origini, come dimostra la cover di Coração materno (brano del 1951). 

Siccome anche in questo caso sono andato bello lungo, le ultime curiosità che vi sparo riguardano la copertina del disco (ideata da Rubens Gerchman) che appare come un Sgt. Pepper’s dei poveri ma comunque dignitoso. Gilberto Gil è seduto a terra in posa come Oswald de Andrade nella foto scattata per la Semana de Arte Moderna del 1922Tom Zé si è agghindato da colportore (o venditore ambulante), mentre Caetano Veloso regge in mano un ritratto di Nara Leão che non presenzia fisicamente allo scatto [forse si era già rotta le balle del teatrino ndr]. 

Detto ciò, da questo disco discende tanta della musica brasiliana moderna e non solo: è la chiave per comprendere come si sono evolute – e il perché – tante sonorità. Al suo interno troverete anche le origini della Tropicalia di Beck presente in Mutations, o capirete cosa ha indotto David Byrne a ricercare una varietà di suono nei suoi lavori votati alla world music. Insomma ascoltatelo e coglietene tutte le sfumature, perché la dimensione di ou Panis et Circencis è estremamente sfaccettata e ad ogni ascolto avrete qualche nuova considerazione da sviscerare.  

In fondo la musica, così come l’arte, nasce per proporre domande, non risposte. 

Sergio Endrigo – Exclusivamente Brasil

Si torna a raccontare Sergio Endrigo e lo si fa sempre in occasione del ciclo brasiliano, già, perché Endrigo probabilmente è stato il più brasiliano degli italiani (o il più italiano dei brasiliani), e tanto della delicatezza e della poetica di Endrigo si è radicata nel cantautorato brasiliano, in un do ut des vivace e vincente.  

Questa volta porto alla luce un disco che ahimè non è conosciuto quanto dovrebbe dalle nostre parti, o meglio non è che sia proprio conosciuto in giro, un disco inedito in Italia, pubblicato esclusivamente in Brasile in vinile e “também em musicassete” ma mai su CD, addirittura sulla pagina wikipedia non compare nella cronologia delle pubblicazioni discografiche e nel web è difficile trovare informazioni degne di nota, figuriamoci su Spotify). 

Il rapporto tra Sergio Endrigo ed il Brasile è sedimentato e con robuste radici: nasce nel 1964 con il primo concerto sostenuto a San Paolo, in quell’occasione ha avuto modo di conoscere artisticamente Vinícius de Moraes, portandolo all’attenzione di Sergio Bardotti. Qualche anno dopo Bardotti ha conosciuto de Moraes, presentandolo a Endrigo e conducendoli all’ideazione di La Vita Amico È l’Arte dell’Incontro (con il quale Endrigo ha fatto conoscere Toquinho con de Moraes). 

Quindi, considerare Exclusivamente Brasil “exclusivamente” una registrazione ad hoc per il pubblico brasiliano sarebbe una interpretazione miope e ingenerosa nei confronti di Endrigo; certo il Brasile e i brasiliani hanno dimostrato a più istanze il proprio affetto nei confronti del nostro amato cantautore, facendolo sentire a casa nonostante la distanza oceanica, tanto che nelle 12 tracce del disco sciorina con disinvoltura un eccellente portoghese zuccherino. Ma Exclusivamente Brasil è perlopiù un disco di amicizia, tributo e ringraziamento nei confronti dei tanti degli interpreti che hanno contribuito ad arricchire l’espressività musicale di Endrigo (e che sono stati trattati nel ciclo brasiliano di pillole). 

Troviamo ad esempio il Samba em Preludio accompagnato alla voce da una giovane Fafá de Belém di Vinícius de Moraes e Baden Powell, incisa nell’ultimo album di Baden Powell Le Monde Musical de Baden Powell, eseguita nel tempo anche da Toquinho con Vinícius, e con traduzione di Bardotti assieme a Ornella Vanoni in La Voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria. Presenzia Morena do Mar di Dorival Caymmi e interpretata in Vento de Maio da Nara Leão, sempre con interpretazione dalla Leão – assieme a Chico Buarque (su un’inequivocabile composizione di Sivuca) – c’è João e Maria presente in Os Meus Amigos São Um Barato. 

Carinhoso di PixinguinhaTrocando Em Miúdos di Chico BuarqueCafé Da Manhã di Roberto Carlos (con cui ha condiviso la vittoria a Sanremo nel 1968) e Ana Luiza di Jobim ornano una scaletta che si snoda principalmente tra i regali di Vinícius con Samba Para Endrigo e A Rosa di Chico Buarque

A Rosa è stata pensata e scritta appositamente da Chico Buarque per Endrigo, che duetta nel brano in un’alternanza di versi intensa, uno scioglilingua che non lascia tanto tempo per pensare, un flusso rapido di giochi di parola che lasciano in uno stato di euforia chi ascolta. Rientra nella gilda di quei brani che devi ascoltare più volte solamente per capire come è strutturato e il perché sia strutturato in questo modo. Nel 1995 Djavan ne ha interpretato una versione decisamente meno divertente di quella offertaci in Exclusivamente Brasil

Spostando il cono di luce su Samba Para Endrigo ci si accorge del legame quasi fraterno che intercorreva tra Sergio EndrigoVinícius de Moraes. Il Maestro non solo ha scritto delle strofe in dedica al cantautore italiano, partecipando alla registrazione di Exclusivamente Brasil assieme a Toquinho, ma ha deciso di includere la stessa Samba Para Endrigo all’interno del suo ultimo lavoro Um Pouco de Ilusão dal canto suo Endrigo successivamente alla morte di de Moraes lo ha omaggiato con Ciao Poeta (sulla base della composizione di Baden Powell). 

Dimenticavo quasi di menzionare che l’arrangiamento della maggior parte dei brani nel disco è stato curato da Antônio Renato Freire de Carvalho Fróes, produttore che ha collaborato anche con Chico Buarque e Caetano Veloso in Juntos e Ao Vivo, Caetano Veloso Araçá Azul, Gilberto Gil, Tom Zé in Estudando O SambaGal Costa, Maria Bethânia, Luiz Melodia e tanti altri artisti degni di nota. 

Dopo queste poche righe di colore, mi permetto di chiudere scrivendo che Exclusivamente Brasil è una chicca che scorre rapida, alcune interpretazioni sono magistrali e vi renderete conto di non poter fare a meno di ascoltarle. Fortunatamente lo potete trovare tutto su YouTube, certo la qualità è quella che è, però se vi capitasse di innamorarvi come è accaduto a me, avrete modo di reperire facilmente il vinile online (naturalmente di seconda mano).  

Chico Buarque – Chico Buarque (Samambaia)

Che Chico Buarque destinasse tutto il proprio sforzo creativo nello stendere evocativi versi elegiaci, e se ne fregasse beatamente del nome con cui battezzare i propri dischi, questo penso lo aveste già inteso durante il primo ciclo brasiliano.  

E allora, per il quieto vivere dei poveri cristi che ascoltano, come già accaduto con i Velvet Underground il cui disco d’esordio è stato diffusamente identificato come Banana Album, quest’ennesima opera targata Chico viene rinominata – da critica e pubblico – come Samambaia, il nome della felce che campeggia dietro al Chico ridente sulla copertina. 

Ma cosa ha fatto questo disco per meritarsi un nome alternativo?  

La risposta è semplice: a causa del contenuto giudicato controverso (naturalmente controverso per il regime). 

Oltre a contenere la tanto vituperata – e pluri-censurata – Càlice, la presenza dell’inno della protesta civile Apesar de Você rende Chico una delle figure di punta non solo tra i dissidenti carioca ma anche dell’intero Brasile. Va da sé che gli aspetti da raccontare a proposito di questo disco sono numerosi e il dono della sintesi talvolta non mi appartiene, mi sforzerò di essere conciso ma ficcante. 

Nonostante quel che ho scritto e la vocazione del disco possa sembrare ribelle, esso riesce a contenere tutte le anime di Chico, più di quanto fosse riuscito a fare con Construção perché l’apertura festante di Feijoada Completa è tutto fuorché un brano presago di negatività, non contiene la fiele che abbiamo assaggiato in Construção o il languore tenero di A Banda, e forse incarna meglio di tante altre canzoni fin qui presentate l’entusiasmo conviviale tipico dello stereotipo brasiliano per antonomasia.  

Trocando em Miúdos viene prestata a Sergio Endrigo per il suo Exclusivamente Brasil e la troviamo anche qui, rappresentando la classica canzone delicata di fine relazione con climax ascendente e con saluto a quel Pixinguinha massimo esponente del choro (mas fico com o disco do Pixinguinha, sim?però mi tengo il disco di Pixinguinha, va bene?), scritta a quattro mani con quel Francis Hime, trait d’union tra ChicoBituca per O Que Será?. 

Il disco si dimostra ben equilibrato nell’alternanza tra brani impegnati, ritmati, “leggeri”, il pathos non viene mai meno anche nella levità di Pedaço de Mim offerta dalla voce di Zizi Possi o nella sublime di Tanto Mar, scritta nel 1975 ed ispirata alla rivoluzione dei garofani in Portogallo (Revolução dos Cravos) del ‘74 col quale è stato deposto il regime post-salazarista dell’estado novo

Tanto Mar la eseguono Chico e Maria Bethânia per una serie di spettacoli al Canecão, nel quartiere Botafogo. Per poter ottenere la pubblicazione nel 1978 Chico ha dovuto rimettere mano al testo in quanto la versione primigenia conteneva versi che non andavano a genio al “Ministero della Verità”. 

Naturalmente non è un caso sporadico, Chico può vantare una lunga lista di composizioni poco gradite ai regimi brasiliani, non ci si può fermare solo ai brani presenti in Samambaia come Meu AmorApesar de Você e Càlice. Quest’ultima – dal testo evocativo – gioca sulla religiosità del tema – paragonando il calvario di Gesù sul Golgota con la situazione vissuta dai brasiliani con i governanti –  per attaccare il regime su una linea sottile e continue perifrasi e giochi di parole, su tutti: càlice

Esso funge da sostantivo quindi come un calice che, anziché contenere il sangue di Cristo, è colmo del sangue degli innocenti castigati dal regime, ma anche come un verbo declinato all’imperativo, un taci (in portoghese cale-se, omofono di càlice) abbaiato con rabbia dal regime per censurare il popolo governato. La canzone nasce dalla penna di Chico e Gilberto Gil nel 1973 per il festival musicale Phono73 a San Paolo, è stata sabotata ed ha visto la luce solo 1978 con la versione presente in Samambaia con Milton Nascimento.  

Poco dopo che Chico e Gilberto hanno cominciato a eseguire la melodia punteggiandola di tanto in tanto con la parola càlice, i microfoni sono stati spenti dagli stessi organizzatori che – presa coscienza del brano – hanno sconsigliato di interpretarlo. In particolar modo la cruenza del verso finale “E che la mia testa la smetta di pensare come te./Voglio annusare i vapori del gasolio/e ubriacarmi fino a esser dimenticato!” si riferisce all’omicidio di Stuart Angel. attivista del MR-8, soffocato con il tubo di scappamento di una jeep infilato in bocca. 

Ciliegina sulla torta di questo racconto fiume, è Apesar de Você che conclude l’album ed è stata composta ancor prima di Càlice nel 1970. Definito il “samba dedicato al dittatore di turno”, è stata pubblicata proprio nel 1970, quando Chico ha terminato il proprio esilio italiano (convinto a tornare dal discografico André Midani illudendolo che la situazione nel paese natale fosse migliorata), eludendo inizialmente il controllo della censura, vendendo 100.000 copie in pochi giorni, salvo poi subire lo stop da parte del governo di Emílio Garrastazu Médici che, ravvedendosi, inviò nella filiale della Philips la polizia a distruggere le copie del disco. 

Storicamente le pedine di un regime, e talvolta anche le teste a capo dei reparti, brillano per solerzia ma non per ingegno, questo è uno dei casi che conferma la precedente enunciazione, perché se vai nella sede della Philips, distruggi le copie ma te ne freghi bellamente dei master, ti esibisci in tutta la tua corrusca cialtroneria. 

Or dunque, seppure Apesar de Você fosse stata ritirata dal mercato, si era diffusa a macchia d’olio diventando l’inno di un popolo soppresso. Chico ha dribblato abilmente le critiche del governo in merito al você spiegando come non fosse una critica al governo, bensì a “una donna molto prepotente, decisamente autoritaria”. 

Durante il regime l’arguzia e la capacità di piegarsi, e non spezzarsi, ha consentito a molti artisti di aggirare abilmente il giogo dittatoriale, riuscendo ad imporsi come fiaccola di speranza per chi non disponeva più strumenti per credere nella libertà. È un inno che trova sempre voce, nella ciclicità dei momenti bui (come nella recente elezione di Jair Bolsonaro), ogni brasiliano si ricorderà di cantare: 

Tu che hai inventato questo stato 
e ti sei inventato di inventare 
tutta questa oscurità. 
Tu che hai inventato il peccato 
ti sei scordato di inventare 
il perdono 

Tuo malgrado 
domani sarà 
un altro giorno
” 

Milton Nascimento – Clube da Esquina 2

Passano sei anni prima del nuovo incontro tra Bituca ei suoi parceiros. Il Clube aldilà di quelli che sono stati i facili giudizi della prima ora, è conscio del valore del proprio esordio, e dopo aver vissuto uno stallo obbligato dalla situazione politica che affligge il Brasile di quegli anni, torna mettendo sul tavolo tutta l’esperienza necessaria per esaltare le vette raggiunte nel primo capitolo dei Bookhouse Boys brasiliani.  

Come nella copertina del primo disco ci sono dei bambini che qui porgono le terga allo spettatore, intenti a scavalcare un muretto o contemplare il mondo sotto di loro e fregarsene di chi hanno alle spalle. Lo scatto è ad opera di Frank Meaddow Sutcliffe nel 1891, prende il titolo di Excitement, ed è probabilmente l’immagine più azzeccata da poter abbinare alla copertina del disco del Clube.

Un approccio meno articolato ma non tanto distante (idealmente) rispetto a quello scelto per la cover di Clube da Esquina, nella quale campeggiavano i due ragazzetti – Cacau Tonho – immortalati da Cafi (al secolo Carlos da Silva Assunção Filho). Cafi si trovava nell’area del Rio Grande de Cima quando, vedendo giocare a pallone i bambini nello sterrato, ha inchiodato il maggiolino per scattare la foto che sarebbe diventata la copertina di Clube da Esquina: “un’illuminazione […] un’immagine forte. La faccia del Brasile.” 

Naturalmente, tempo di rimettere in moto la macchina e Cafi si è già dimenticato il nome di entrambi. Qualche giorno dopo sviluppa la pellicola e convince Milton Lô che quella sarebbe stata una copertina perfetta per l’album Clube da Esquina, dando adito alla leggenda che la foto ritraesse i due musicisti da giovani, salvo poi essere smentiti a più riprese e con maggior vigore una volta che i veri soggetti sono stati trovati. 

Pertanto da questa idea principia anche la copertina scelta per il secondo capitolo della storia del Clube. Un disco che condivide il fanciullino nei ragazzi del Clube, con l’esaltazione dell’anima e l’eccitazione dell’esordio, valorizzando le sfumature della musica indigena, marcate e celebrate con pregio. La presenza di Chico Buarque, in Cancion Por La Unidad Latinoamericana (scritta proprio da Chico insieme al cantautore cubano Pablo Milanés), impreziosisce ulteriormente questo lavoro che esalta l’ecumenismo e l’enfasi posta sul concetto di internazionalizzazione. 

Proprio il senso ecumenico che filtra dalla musica di Milton è un valore nodale della sua poetica, una ricerca che ben si sposa con quanto affermato da Elis Regina (presente in O Que Foi Feito Deverá) per descrivere la voce di Bituca. Una delle motivazioni che si celano dietro la deriva sociale di valori – e questo incedere trasandato – è la perdita della fede, di valori universali condivisi. Sicché in un brano nobile come Paixão e Fé (retaggio dei canti di fede interpretati in gioventù nelle chiese), si riesce a ristabilire una connessione col mondo ideale sognato da Bituca. Non è un caso che dei 23 brani a comporre il doppio disco, solo 11 portino la firma del nostro caschetto prediletto, un modo per lasciare voce anche a tutti gli altri interpreti che hanno contribuito a questo sforzo. 

Con Clube da Esquina 2 giunge a giusto compimento una storia musicale che riempie l’animo di pace; un ascolto mai pesante, nel quale è possibile riconoscere le influenze nonostante siano talmente ben amalgamate da risuonare spontanee, e che – soprattutto -rende giustizia ad un talento ed un repertorio musicale come quello di Milton, troppo spesso trascurato…

ora, se desiderate, avete tutte le carte in regola per esplorarlo da conto vostro. 

Ahimè questo viaggio in compagnia di Milton è terminato, mentre quello nel periodo più fulgido della musica brasiliana è appena cominciato. 

Milton Nascimento – Geraes

Con Minas siamo stati catapultati nella vita privata di Milton Nascimento, una quotidianità che continua a raccontarci in Geraes. Lo fa già con la copertina, poche semplici linee che raccontano di uno sbuffante treno a vapore di passaggio davanti ai tre picchi di Três Pontas, la città dove Bituca è cresciuto. Il legame è talmente saldo che lo stesso municipio ha riconosciuto il valore di Milton donando al teatro della città il suo nome, onore spesso dedicato a chi non è più in vita (considerato anche il triste adagio nemo propheta in patria). 

In Geraes ci si imbatte in un caposaldo della MPB, O Que Será? a firma di Chico Buarque, un brano divenuto standard della musica brasiliana, declinata più e più volte in chiave jazz.  

O Que Será? – colonna sonora del film diretto da Bruno Barreto Dona Flor e Seus Dois Maridos (trasposizione dell’omonimo romanzo di Jorge Amado) – è una canzone ispirata dalle fotografie di Cuba che il giornalista Fernando Morais aveva mostrato a Chico

Dalle strofe di Chico traspare il suo carattere meditativo, raccolto, diretto e senza fronzoli; si parla di esistenza ed è bello che questa canzone sia condivisa e non frutto di un soliloquio. Condivisa non solo nel canto (con la voce di Milton che si sposa con quella di Chico Buarque e con il piano di Francis Hime), ma anche nelle incisioni. A Geraes appartiene O Que Será? (A flor da pele), mentre al coevo Meus Caros Amigos di Chico appartiene O Que Será? (A flor da terra). 

Altra collaborazione sulla quale è necessario soffermarsi è il duetto con La Negra Mercedes Sosa (la prima di una lunga serie), fondatrice del Movimento del Nuevo Cancionero simpatizzante di Juan Domingo Perón e messa all’indice dal regime dopo il colpo di stato del 1976. Esule, viene invitata a duettare nel brano catartico di Violeta ParraVolver a los 17 

Ascoltando e riascoltando l’album, è possibile cogliere le sfumature e le varie contaminazioni che corroborano la larghezza di vedute di Bituca. Non esita ad introdurre nel disco il Grupo Agua, riconoscibile per le sonorità della cordillera andina, allo stesso tempo è abile nel virare verso la tradizione con Calix Bento, senza tralasciare la cuica ammiccona di Circo Marimbondo (vera delizia festaiola del disco), o la tenere chiusa del disco Minas Geraes, sempre con la partecipazione di Grupo Agua

Mediante questo disco si riesce ad avere sempre più chiaro il percorso musicale intrapreso da Milton Nascimento, le anime che compongono la sua idea, ma soprattutto si comprende quanto Geraes sia la faccia speculare di Minas

Com o coração aberto em vento  (con il cuore aperto al vento) 
Por toda a eternidade (per tutta l’eternità) 
Com o coração doendo (con il cuore dolorante) 
De tanta felicidade (per la tanta felicità) 

Giusto per chiudere il discorso, come per Minas, anche in questo caso c’è stata una ri-edizione del disco che ha portato alla luce altri due collaborazioni con Chico Buarque, come se i due si fossero trovati a scaldare i motori prima di registrare Càlice in Samambaia nel 1978

Milton Nascimento – Minas

Continua con Minas questo mini-ciclo di racconti rivolti a Milton Nascimento. Lo si fa col secondo gemello del gruppo, un disco dalla grande valenza simbolica, che si lega a Clube da Esquina ricucendo il discorso in un unico grande telaio autoreferenziale: quello legato alla narrazione di resistenza culturale e antropologica a una bieca dittatura. Il regime pretende dagli artisti delle produzioni musicali patinate che siano assoggettate a dinamiche autoritarie, sulle quali conserva un inderogabile diritto di veto. 

La presenza di un governo autoritario ha imposto l’urgenza creativa di dover eludere le restrizioni: quando il perimetro è circoscritto il vero creativo riesce ad attingere appieno dal proprio vissuto. Milton nato nel 1942 a Rio, orfano dopo appena due anni, viene adottato da un’altra famiglia che abita nel Minas Gerais, regione mineraria lontana dal mare e dal luccichio delle spiagge brasiliane, caratterizzata da una spiccata eterogeneità etnica (colonia portoghese a prevalenza di schiavi africani, con una folta comunità di italiani). 

Nonostante questo, Milton è uno dei pochi ragazzi di colore nella città di Três Pontas; vive sulla propria pelle l’intolleranza dei suoi concittadini. La madre adottiva di Bituca canta nel coro di Heitor Villa-Lobos (da qui presumibilmente deriva la spiccata attitudine musicale di Milton), così la religiosità diviene il medium metaforico che Milton – corista nelle chiese barocche di Três Pontas – applica ai propri testi, il codice di lettura delle sue canzoni per aggirare la tagliola della censura, in tal proposito un approfondimento sarà dedicato – a tempo debito – a Càlice di Chico Buarque (brano al quale partecipa proprio Bituca come seconda voce) fulgido esempio dello stile descritto.  

Come ha spiegato Carlo Massarini nell’egregia disamina dedicata a Bituca, il primo lavoro del Clube termina con Nada Serà Como Ante, nella quale Nascimento lamenta la certezza di un domani fosco. 

Eu já estou com o pé na estrada  (ho già il mio piede su quella strada) 
Qualquer dia a gente se vê (ogni giorno che ci incontriamo) 
Sei que nada será como antes, amanhã  (niente sarà come prima, domani) 

Da Clube a Minas passano 3 anni, nei quali quelle parole hanno scavato a fondo con pazienza orientale, e come goccia che batte nella roccia ha eroso la superficie. Così Fè Cega, Faca Amolada comincia da dove aveva lasciato, ma con una impetuosità diversa, quasi gioiosa a dispetto delle parole. 

Agora não pergunto mais pra onde vai a estrada  (ora non chiedo più dove sta andando la  strada) 
Agora não espero mais aquela madrugada  (ora non attendo più quell’alba) 
Vai ser, vai ser, vai ter de ser, vai ser faca amolada  (sarà, sarà, dovrà essere un coltello  affilato) 
O brilho cego de paixão e fé, faca amolada  (il bagliore cieco della passione e fede, e il  coltello affilato) 

[ndr Paixão e Fé sarà il titolo di un brano presente in Clube da Esquina 2, sempre tornando all’autoreferenzialità di Bituca

Il trait d’union sul quale l’intero disco si snoda è il refrain di Paula e Bebeto, la canzone che conclude la versione originale del disco (la riedizione contiene altri 3 brani) scritta a quattro mani con Caetano Veloso. Un coro di bambini intonano a cappella una nenia che l’ascoltatore incontra saltuariamente in Minas; nenia che scandisce il disco lasciando trasparire la felicità della coppia (che quando però la canzone è stata completata, nella vita reale si erano già lasciati). 

Mettendo il naso oltre quanto già scritto, nella musica di Milton Nascimento troviamo la sonorità di Minas Gerais assimilata, digerita e arricchita dalle influenze straniere, rappresentando uno degli esempi più chiari dell’antropofagia teorizzata da Oswald de Andrade [ci sarà tempo per approfondire anche questo aspetto ndr]. Impossibile non perdersi nei riferimenti alla musica inglese, da Kevin Ayers, Lol Coxhill (Beijo Partido), sino ai tributi più o meno velati ai Beatles (non a caso c’è una reinterpretazione di Norwegian Wood) sempre con ammiccamenti non troppo velati al jazz, senza smarrire l’identità musicale nativa.  

In Minas presenziano tutte le gemme che fioriranno con corrusco splendore nel suo gemello omozigoto Geraes

Milton Nascimento – Clube da Esquina

La scelta di raccontare del caschetto di Tijuca, Milton Nascimento, appartiene a una ampia architettura ragionata (eh sì ogni tanto provo a farle carburare quelle pigre sinapsi che mi ritrovo). La volontà è di creare una trama che – di primo acchito – può apparire sconclusionata, ma risulta funzionale per la comprensione e l’assimilazione di un linguaggio musicale (quello di Nascimento) al quale l’ascoltatore medio è meno abituato. Sicché la storia di Clube da Esquina, oltre a essere deliziosa e squisitamente funzionale alla guida all’ascolto, non è fine a sé stessa ma interdipendente a quella del suo fratello Clube da Esquina 2 (edito nel 1978) e degli altri due gemelli Minas e Geraes

Senza tralasciare che sarebbe esiziale un ciclo brasiliano di racconti privi di quella che Elis Regina ha definito “la voce di Dio”, Milton ha guadagnato un posto di riguardo nel gotha della musica internazionale, consolidando la propria credibilità artistica attraverso inusitate scelte armoniche esaltate dal grande spessore umano che ritroviamo poi nel lirismo dei suoi testi; una convergenza di influenza capace di mutare la tonalità espressiva della musica popolare brasiliana in un caos ragionato.   

Naturalmente, una volta pubblicato Clube da Esquina si è attirato a sé critiche feroci. Il clima interraziale – e internazionale -proposto da Nascimento non ha scaldato gli animi del pubblico, non si è capito che l’omphalos di Bituca è sempre stata la musica brasiliana. 

La partecipazione attiva di Borges e il conseguente abbandonarsi all’influenza beatlessiana non ha fatto breccia nelle analisi dei critici della prima ora. Il giudizio si basava perlopiù nel paragonare, in maniera miope, la musica di Bituca [soprannome di Milton ndr] a quella Chico Buarque e Caetano Veloso, dimostrando la più tipica delle debolezze da parte di chi parla di musica: la necessità di catalogare e classificare. 

Tralasciando il chiacchiericcio, per quanto mi riguarda, Clube da Esquina è l’album che proporrei per primo a chi non ha mai ascoltato Milton, un compendio strafico dove se siete scevri di musica brasiliana riuscite a recuperarne le radici senza che vi abbacchi. Un doppio album composto da brani che non si pestano i piedi e si amalgamano con grande rispetto. Ciò che esce fuori dal Clube è musica sinestetica, capace di trasmettere sensazioni anche a chi non comprende il portoghese. 

In tutto questo non ho ancora spiegato cosa sia il Clube da Esquina è un circolo di amici stile Bookhouse Boys – formatosi per caso a Belo Horizonte, nel quartiere Santa Tereza tra Rua Paraisópolis e Rua Divinópolis – nel quale si passa il tempo a fare qualche jam e intrecciando indistricabilmente bossa nova alla musica psichedelica, ai Beatles, al jazz di Davis e Coltrane e alla musica indigena del Sud America. Milton è il membro di spicco, poi ci sono i fratelli Borges (MiltonMárcio ), Beto Guedes, Wagner TisoToninho Horta e Nelson Angelo.  

Nonostante Milton avesse già una carriera ben avviata, non ha avuto problemi a condividere nell’album i credits con l’appena ventenne . In questi gesti premurosi si misura lo spessore della persona ancora prima che dell’artista. Nel 1971, il Clube affitta una casa in Praia de Piratininga e mette insieme tutte le canzoni che andranno a formare l’eponimo Clube da Esquina, un disco che ancora oggi suona con freschezza, in un panorama musicale quanto mai asfittico, e di questa qualità deve rendere grazia agli arrangiamenti raffinati di Eumir Deodato

Preferisco fermarmi qui con questo primo racconto su Milton Nascimento, vi posso assicurare che con Tudo Que Você Podia Ser vi immergerete in una dimensione sonora corroborante e magnetica. Sta a voi decidere poi se lasciarvi catturare o rifuggire dal Clube

Lucio Dalla – Storie di Casa Mia

Oh mamma, che paura!  Credevo che le pillole stessero scadendo, ma fortunatamente son ben lungi dal presentare segni di avaria.  

Ebbene, si ricomincia da dove avevamo lasciato: da un samba ben addomesticato da Chico, dalla saudade che ammansisce ogni respiro di felicità, dal ritmo che agita culetti e da una cuica che viene stantuffata con la metodica ritmica di un adolescente lasciato a casa da solo per pochi minuti con l’account premium di Brazzers

E in tutto questo cosa c’entra Lucio Dalla con il ciclo brasiliano di pillole? 

Oltre all’aver sottolineato – tempo addietro – l’unicità della musica brasiliana in una intervista rilasciata al portale musibrasilnet.it

“Forse è la musica che mi interessa di più per la sua autonomia rispetto anche alla musica anglofila. Ha una personalità e una identità assolutamente particolari”  

è celebre l’amicizia che lo ha legato a Caetano Veloso, ma alla fonte non tutti forse sapranno che Lucio è stato coinquilino – durante il periodo romano – di Chico BuarqueToquinho Vinícius dal 1969 al 1971, proprio nella casa di proprietà di Sergio Bardotti.  

Della serie: sei gradi di separazione vi saluto con l’altra mano.  

In un simile contesto resta difficile non influenzarsi a vicenda, in particolare con Chico sembra che la sintonia fosse particolarmente eufonica. Saranno moltissime le progettualità condivise nel corso degli anni, per questo Chico forse è stato l’ambasciatore più convinto della musica e poetica di Dalla in Brasile.  

Un po’ come per Ulisse la strada intrapresa da Dalla è stata tutt’altro che lustrini e paillettes; lo strepitoso Terra di Gaibola ha fatto un po’ flop, meritandosi la ristampa – con colpevole ritardo – solo a metà degli anni ‘80

Sembra assurdo ma Terra di Gaibola, un capolavoro per linguaggio ed idee adottate, non ha impressionato il pubblico – nonostante i guizzi di candida brillantezza – ma ha comunque gettato le basi di quella che è stata la Itaca di Dalla: Storie di Casa Mia

Quella Itaca a inizio album è un simbolo: la Casa. Essa rappresenta l’inizio di una storia di grande successo per Dalla alla cui scrittura co-partecipano Sergio Bardotti e Gianfranco Baldazzi. In Itaca il protagonista è uno dei marinai di Ulisse, che lamenta le differenze nella vita raminga tra un semplice mozzo ed un Re, spogliando l’avventura della propria epica ed enumerando tutte le criticità che una vita del genere presenta: la lontananza dai propri affetti oltre a una sfibrante sequela di sacrifici imposti per tamponare errori e leggerezze del proprio sovrano.  

Per dare ulteriore corpo allo sfogo da sindacalista del mozzo di Ulisse, vengono chiamate le maestranze della RCA come coro per la registrazione del ritornello. Questo ensemble prenderà il nome di Coro Popolare, rappresentando di fatto il sentire comune del marinaio, vessato dal continuo viaggiare apparentemente senza meta. 

Non è semplice risultare sintetici in un disco dall’anima così articolata, c’è notevole differenza nei testi che affiorano dalla penna dal trio Baldazzi, Bardotti & Dalla da quelli del duo Pallottino & Dalla. Questi ultimi hanno una morbida poesia – affinata dopo i primi felici tentativi di Africa e Orfeo Bianco – che pesca con la rete dalla letteratura italiana.  

Ne è un esempio l’evocativa Il Bambino di Fumo al quale resta difficile non associare Il Codice di Perelà di Aldo Palazzeschi, o la delicatezza nell’abile castello di metafore costruito per raccontare un caso di pedofilia nel Gigante e La Bambina (cucita addosso a lui per il dopo Sanremo, ma regalata a Rosalino Cellamare, salvo poi rendersi conto che la sua interpretazione era troppo acerba), la ruspante Un Uomo Come Me e lasciando alla fine – ma non certamente per importanza – 4/3/1943

Quest’ultima rappresenta il collegamento definitivo tra Lucio Dalla ed il Brasile, perché trova nel coevo Construção di Chico Buarque la versione portuguesa Minha história, nel quale Gesù Bambino diventa “o menino Jesus”. 

Il titolo originale Gesùbambino è andato a incocciare con il fastidio imperante dell’opinione pubblica [non oso immaginare come si avrebbe reagito l’opinione pubblica se avesse letto quel che ho accidentalmente digitato al posto di “gesùbambino” ndr], tanto che per far sì che partecipasse al Festival di Sanremo è stato necessario cambiare il titolo nella versione che oggi conosciamo. Insomma il titolo, come ogni titolo dovrebbe fare, non sta lì per caso e se è stato scelto un motivo ci sarà, il titolo con il quale conosciamo il brano oggi è il giorno di nascita di Lucio Dalla. In tal senso la scelta di Pallottino è un generoso dono a Dalla, un “ideale risarcimento a Lucio per essere stato orfano di padre dall’età di 7 anni. Una canzone che doveva essere sull’assenza del padre, ma poi è diventata una canzone sull’assenza della madre”.  

Non è l’unica censura alla quale è andato incontro il brano, il verso “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”, prevedeva che la generica gente del porto fosse identificata in puttane e ladri e anziché giocare a carte, gesubambino, bestemmiasse mentre beveva vino. 

Come chiosa per questo ritorno alla vita di Pillole, un pelo lungo [come non andare lunghi scrivendo di Dalla? E come non inciampare nel citare i “peli lunghi” scrivendo di Dalla? ndr], concedo ulteriore spazio alle parole di Paola Pallottino ben più titolata di me nel descrivere e ricordare l’abilità compositiva di Lucio  

Lucio era un fenomeno, riusciva a rivestire di note ogni mia parola aiutato anche dal mio rigore per la metrica. Solo anni dopo ho capito che il ruolo del paroliere è invece quello di mettere i propri versi su una canzone. Forse però gli ho fatto da palestra per quello che avrebbe poi fatto con il grande Roberto Roversi […]”