Ultravox – Vienna

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C’è voglia di raccontare l’Europa in musica, una voglia che probabilmente cresce dopo Trans-Europe Express, una comunità che sta rivedendo i propri confini e un tema che tocca tutti direttamente. L’Europa questa volta ce la raccontano gli Ultravox post-John Foxx.

Foxx Forever, Ure Never!”, il ritornello che i fan scandiscono non lascia nulla all’immaginazione, l’accoglienza non è delle migliori, Midge Ure impone un cambio di rotta sostanziale, virando verso il sound del pop elettronico inaugurato da Neu! e sfruttato dai Kraftwerk, perciò la scelta del produttore ricade su Conny Plank che mixa il disco nel suo studio di Colonia. Vienna è stato registrato in 3 settimane, in scioltezza, dopo un periodo di prove e concerti abbastanza allenante per la nuova formazione degli Ultravox.

Come andava di voga dire negli anni ’80, un plagio di tastiere elettroniche è sicuramente meno grave di un plagio di chitarra elettrica, ciò non toglie il fatto che ci sia molto di già sentito in Vienna. Ma con Ure gli Ultravox gestiscono al meglio le varie anime della band, non abbandonando i sincopati di chitarra ma li rendono più accessibili. Celebre è lo stile in New Europeans che farà scuola e verrà replicato in tutte le salse. Ci sono tracce leggere dei barocchismi sui quali si poggeranno le fortune di Duran Duran e Spandau Ballet.

Sentiamo già la mano di Ure sulla magnifica Astradyne e il suo pitch al sintetizzatore che varia di tonalità mano a mano che la cavalcata musicale avanza. Reputo Astradyne una delle composizioni più belle ed incisive degli anni ’80.

Un altro dei picchi del disco viene toccato con Mr.X, una long take della sigla di Attenti A Quei Due in chiave anni ’80, perfettamente riuscita, misteriosa e oscura, in grado di evidenziare una dicotomia presente nel disco: quella tra musica dell’est e dell’ovest. L’attrazione verso un est dietro la cortina ed impenetrabile, evidenziata dall’alone di mistero di Mr.X e continuata in Western Promise – dove Ure si fa promotore di un salvataggio “culturale” da parte dell’ovest -con quell’intro arabeggiante che sfocia in una voce disturbata.

All Stood Still è un saluto alla new-wave dei Devo, ai loro giochi di parole scanditi con cadenza distinta ad ogni ritornello. Non apporta nulla di nuovo, dimostra più che altro quanto le influenze di Eno e Plank – entrambi collaboratori dei Devo – abbiano influito sugli Ultravox.

Ma il portone si apre con Vienna, o meglio… Vienna apre un portone e ne chiude un altro, salutando il pubblico innamorato della new-wave di Foxx.

“Volevamo registrare la canzone e renderla incredibilmente pomposa nel mezzo, lasciando aleatori la parte iniziale e successiva, ma terminando con il classico finale straordinario.”

Vienna è la title-track con il tipico taglio pop-elettronico, un climax di drum machine razziato da chiunque durante gli anni ’80. Vienna vienne (perdonatemi) scelta come terzo singolo con un videoclip affidato – come per Passing Stranger – a Russell Mulcahy (per i più distratti il regista di Highlander I & II oltre che di un fottio di altri video). La maggioranza delle scene sono state girate al centro di Londra e altre al nord, il resto a Vienna. Quando l’addetto alle riprese è stato mandato in avanscoperta nella capitale austriaca trovò gran parte dei posti segnalati per le riprese chiusi o in fase di ristrutturazione, così la statua che abbiamo modo di vedere nel video è di una tomba del cimitero principale di Vienna.

Un appunto finale va alla foto nella cover dell’album che vede la band catturata da un giovane Anton Corbijn.

Japan – Gentlemen Take Polaroids

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Raffinatezza, questa è la parola che riassume i Japan e questo album. Una ripulita all’immagine dopo i parrucconi colorati stile Jem e le Holograms in voga nei dischi precedenti. Si opta per una compostezza assente prima, non c’è New Romance che tenga, la raffinatezza è una dote che non può essere applicata a chiunque, traspare dai testi, dalla musica dal modo di porsi e negli anni ’80 è difficile trovare qualcuno della statura dei Japan.

Simpaticamente la critica elogia il disco presentando uno scenario distopico, nel quale Brian Eno assume il controllo dei Roxy Music al posto di Ferry, il risultato sarebbe stato Gentlemen Take Polaroids. Ci sono i Roxy Music alla base dei Japan, ma trovo di gran lunga meglio Sylvian di Ferry… de gustibus.

Oltre ad essere un grande disco, Gentlemen Take Polaroids viene registrato mischiando sapientemente strumenti classici ai sintetizzatori, senza apparire plasticoso – come tanti album coevi – ed assume una valenza storica importante per via della presenza di Ryūichi Sakamoto come spalla musicale sulla quale David Sylvian si appoggerà. I due instaurano un rapporto duraturo negli anni, collaborando alla stesura di Taking Islands in Africa (un brano che ricorda molto quello che saranno i Talk Talk della prima ora).

Sylvian e Sakamoto si incontrano per la prima volta in Giappone, il tastierista nipponico venne invitato a fare un’intervista ai Japan – all’epoca in tour nel paese del sol levante. Dell’intervista non si ha traccia attualmente ma è servita a creare una connessione tra i due.

In ogni caso Nomen Omen: la presenza di Sakamoto è giustificata – ed in parte alimenta essa stessa – la voglia di Giappone all’interno del disco, una riscoperta ed una fascinazione dell’estremo oriente dimostrata da Bowie in Heroes e dal nome stesso della band, oltre che nel successivo Tin Drum (versante cinese in questo caso). Un approccio che va in un certo senso ad affinare il lavoro svolto dal duo Eno e Bowie mescolando in maniera sapiente la world music e l’elettronica. Questa sintesi musicale è apprezzabile nelle armonie all’apparenza dissonanti e nei ritmi in alcuni casi tribali e marcati, con i bassi del synth che portano alla mente le slappate di Pastorius in Coyote di Joni Mitchell (il riferimento è a Ain’t That Peculiar).

Fatta eccezione per Taking Island in Africa e My New Carrer, le altre canzoni sono già pronte prima di entrare in studio, Sylvian ha una idea ben precisa di come i Japan devono comparire musicalmente e visivamente. Il rigore e la precisione dei brani lascia intendere l’approccio adottato dai Japan in studio “tendo ad essere troppo perfezionista. Voglio tutto accordato, e questo ha creato non pochi problemi con il produttore Punter“.

Nel 2012 David Sylvian ci spiega la deriva dell’uomo moderno e alla domanda “Ma i Gentiluomini se ai tuoi tempi scattavano le polaroid, oggi scattano fotografie hipster al telefono?”, risponde lapidariamente: “No, credo che oggi come oggi prendano solo il Viagra”, lasciandoci intendere che non esistono più gentiluomini e che quelli invecchiati sono costretti ad impasticcarsi per non lasciar crollare lo stucco che copre il loro vero io.

Neu! – Neu!

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Il divertimento è nel cercare punti in comune e divergenti tra i protagonisti della Kosmische Music. Il 1972 è l’anno di Ege Bamyasi, Irrlicht, Hosianna Mantra, Zeit, Cluster II, cos’hanno in comune? Il mio intento è complicare ulteriormente il gioco mettendo il carico con uno dei pezzi da 90.

Il processo che porta alla formazione dei Neu! è simile a quello della riforma luterana, una scissione interna in seno ai Kraftwerk porta alla creazione dei Neu! da parte di Dinger e Rother. Le differenze tra Kraftwerk e Neu! sono marcate, Dinger e Rhoter percepiscono una mancanza di visione. I Neu! in ottica internazionale pagano dazio ottenendo un impatto maggiore nelle decadi successive dopo la riscoperta da parte di critici e pubblico negli anni a venire. La divergenza ce la spiega Dinger – più assoluto nella filosofia che contraddistingue il progetto rispetto a Rother:

“è una protesta contro il consumismo e contro i nostri colleghi del krautrock che hanno uno stile ed un gusto differente. All’epoca seguivo molto l’arte contemporanea, la Pop-Art ed Andy Warhol. Sono sempre stato molto visivo nel mio pensiero. Perciò durante questo periodo – per mantenere lo spazio nel quale vivevo (una comune) – ho fondato un’agenzia pubblicitaria unicamente per annunci cartacei. La maggiorparte delle persone con le quali vivevo cercarono di irrompere nel mercato pubblicitario (scippandomi le commissioni), quindi ero circondato da questi novellini (Neu!) per tutto il tempo”

Rispetto ai contemporanei del 1972, le composizioni hanno una durata media inferiore e offrono una naturalezza desueta oltre che un ventaglio molto più ampio di sonorità e di paesaggi musicali. La versatilità che dimostrano nell’elettronica li erge a ruolo di padrini dell’elettronica pop e dell’industrial. Tratto distintivo è il beat endlose gerade, anche conosciuto come Motorik – un tempo 4/4 poi riproposto in Autobahn dai Kraftwerk – che da il senso del movimento e che ha ispirato tutte le band a venire (Sonic Youth, Radiohead su tutti).

I Neu! sono la novità, il sound è simile a quello dei Kraftwerk – progetto al quale hanno contribuito attivamente – sicuramente l’opera prima può essere considerato come prodroma di Autobahn. Alle sonorità del disco ha messo a disposizione la propria professionalità Konrad Plank – collaboratore di Rother e Dinger durante la militanza nei Kraftwerk – che ha annoverato nei propri studi anche Brian Eno – con Before And After Science – e Devo – per Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!.

Talking Heads – Remain In Light

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I Talking Heads sono in pausa di riflessione, ognuno per i cazzi propri dopo il tour del 1979… chi intento a registrare il proprio album chi a farsi una vacanza e così via. I precedenti sforzi hanno esacerbato gli animi e la sensazione comune è quella di un Byrne accentratore e col pallino in mano. Dopo essersi confrontato con Harrison, Weymouth e Frantz, la voglia di continuare insieme rimane forte, ma con un approccio democratico basato sulla condivisione.

Si comincia a suonare e si registrano le demo, questi tape vengono fatti ascoltare ad un reticente Eno, poco incline a proseguire la collaborazione con Byrne e soci dopo Fear Of Music e More Songs About Buildings and Foods. Diciamo che l’afro-funk riesce a convincere il professorino: un modo secondo Byrne di tornare alle origini, essere meno cervellotici fuggendo dalla paranoia tipica della New York anni ’70.

La sensazione che trasmette Born Under Punches in apertura è che non sfigurerebbe sicuramente in un album come Lodger, nonostante ci sia il marchio di fabbrica di Byrne è impossibile non notare la chitarra di Belew e la produzione di Eno. E’ come se – con Remain In LightEno abbia trovato la valvola di sfogo che non gli è stata concessa in Lodger, di sicuro il suo modo di riuscire a sovrapporre chitarre, basso e percussioni in questo brano rende il prodotto finale indiscutibile.

Non ci sono solo le Strategie Oblique qui, ma anche testi in associazione libera e flussi di coscienza continui – sulla scia di Iggy Pop e il Bowie di Low e Heroes – utilizzati per vincere il blocco dello scrittore seguendo quanto fatto dai musicisti africani: se ti dimentichi cosa stai cantando, improvvisa, non è necessario usare parole sensate.

Woooahhh si apre un mondo! Sulle basi musicali già registrate,  Byrne canta suoni senza senso, onomatopee che – registrazione dopo registrazione – sembrano trasformarsi in parole. Da questo processo nascono i testi di Remain In Light.

Con Crosseyed and Painless continua il funky contaminato da beat africani, anche qui è possibile trovare un parallelismo con Lodger ed African Night Flight, con un accenno di rap come lo stesso Bowie aveva fatto. E’ come se molti discorsi lasciati in sospeso dalla diaspora Bowie/Eno fossero approdati a naturale conclusione – due anni dopo – grazie alla piena collaborazione di Byrne. Un’omogeneità che viene mantenuta con The Great Curve, dove i ritmi vengono estremizzati, annoiando chi ascolta o coinvolgendolo totalmente in questa musica da ballo. Il difetto di questo disco è la durata delle singole tracce, che avvalendosi di riff e pattern ripetuti rischiano di apparire più lunghe di quanto lo siano realmente, proiettando chi ascolta in uno stato di ossimorico straniamento e assuefazione, ancorato unicamente alla voce di Byrne tra la chiacchiera e l’urlato.

A proposito di urlato, Once In A Lifetime è sicuramente il brano più rinomato dell’album che prende spunto da una predica Evangelista. La reiterazione della frase “And you may find yourself” vuol consolidare l’idea del sermone, tante delle frasi presenti nel testo sono state captate e tenute da parte da Byrne mentre le ascoltava nella Radio Maria americana (registrazioni tenute da parte anche per My Life In The Bush Of Ghosts), dimostrando anche in questo caso un modo del tutto non convenzionale di comporre.

Il filo conduttore in Remain In Light è il funky, la situazione lounge oltre che un’ibridazione della world music rodata e messa a punto dal duo Byrne/Eno. Per quanto poi il ritmo scanzonato e l’allegria presente nella prima parte vada pian piano scemando col proseguire del disco nella malinconia di Listening The Wind e in una depressione riflessiva con The Overload.

Cluster – Cluster II

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Continua il viaggio nel 1972, questa magnifica annata che ha elargito perle di Kosmische Musik a destra e a manca. E’ il turno dei Cluster e di Roedelius e Moebius. Ho sempre pensato a loro come a Mario e Wario, non tanto per le personalità contrapposte, quanto per l’assonanza dei nomi.

Come al solito affrontando il discorso Kosmische si deve specificare quale è il lato del movimento percorso dai Cluster; per dare un’idea si può dire che è un compromesso tra Tangerine Dream e Neu!, per via del distinguibilissimo sound Motorik con sfumature psichedeliche. In ogni caso, riflette in pieno il sound della Berlino di quei giorni “Erano giorni caotici a Berlino, forse è questo il motivo per il quale abbiamo deciso di cominciare a suonare forte ed in modo rumoroso, perché la polizia sfrecciava per la strada tutti i giorni weee wooo weee wooo” ricorda Roedelius.

A dire il vero Cluster II è un album che un po’ si perde nel mare magnum della Kosmische, perché meno distinguibile rispetto alle pubblicazioni degli altri gruppi, ma in ogni caso sarebbe sciocco non parlarne soprattutto perché Moebius ha fortemente ispirato il suono di Heroes e Low, e la collaborazione di Roedelius e Moebius in Before And After Science di Eno non può certo passare inosservata. Poi c’è la figura di Konrad Plank – produttore centrale nella scena Kosmiche ma anche una della figura di riferimento del gruppo – di fatto considerato come parte integrante dei Cluster.

“Avevamo dei background differenti rispetto agli altri gruppi della zona, non avevamo alcun interesse in quello che le altre persone volevano fare, li incontravamo tutti i giorni e li conoscevamo, ma loro pensavano in maniera più commerciale. Noi non abbiamo mai pensato in maniera commerciale. Questa forse è la differenza. La si può riscontrare nella nostra musica” ricorda Moebius. Di fatto è vero, e risulta anche molto semplice comprendere quali siano i gruppi provenienti dalla Kosmische con un sound più accessibile e gli altri meno comprensibili ad un primo ascolto. Ciò non significa voler screditare gli uni più degli altri, bensì cerco solo di porre in evidenza quanto fosse ampio il concetto di Kosmische e quanti sentieri sono partiti da questo centro musicale.

La sensazione che si prova ascoltando Cluster II è di cadere in un lento stato di ipnosi soggiogato dai rumori bianchi, se durante l’ascolto dietro le vostre spalle comparisse Giucas Casella gridando “solo quando ve lo dico io” cadreste in trance (che si legge trans, ma in quel caso cadere potrebbe fare piuttosto male, in qualunque modo tu cadi, cadresti male).

Vorrei far presente che non è che mi stia dilungando perché non so cosa scrivere, solo che non saprei veramente cosa dire di più. Fondamentalmente Cluster II serve ad avere un quadro un po’ più completo della scena elettronica tedesca e di come questa sia andata ad defluire in maniera massiccia nel mainstream.

David Bowie – Lodger

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Tony, Brian e io abbiamo creato un linguaggio di suoni potente, angosciato, a volte euforico. […] Nient’altro aveva il suono di quegli album e nient’altro gli si è avvicinato. Non avrebbe avuto alcuna importanza se non avessi fatto più nulla dopo quei 3 dischi, lì dentro c’è tutto me stesso. E’ il mio DNA.”

Lodger fatica ad arrivare, dopo il tour di Low/Heroes Bowie se ne va in giro per il mondo: Kenya, Giappone, Stati Uniti, è tutto un viaggiare. Il titolo del disco esprime proprio il concetto di “ospite”, in giro e senza fissa dimora, alla ricerca di contaminazioni. I tempi di Berlino sono quasi dimenticati – nonostante Lodger venga considerata la punta del trittico Berlinese. In comune con i precedenti Low e Heroes c’è la band ed il contributo di Visconti e Eno. Al posto di Fripp, alla chitarra solista c’è Adrian Belew, scippato a Frank Zappa dopo un concerto a Berlino dello Sheik Yerbouti Tour.

Piccola Parentesi

*Belew vede in zona mixer Bowie e Iggy Pop, Bowie gli propone di diventare il suo chitarrista per il tour di Heroes e Low (The Isolar II) che sarebbe cominciato due settimane dopo la fine dello Sheik Yerbouti Tour di Zappa. Vanno a cena insieme, destino vuole che Zappa va nello stesso ristorante… Dio ci salvi… Frank si avvicina al tavolo di Bowie e Belew sentendo puzza di tradimento. Il dialogo che ne segue è riportato di sotto:

DB: “Che gran bel chitarrista che hai Frank!”

FZ: “Fottiti Capitano Tom”

Al che Bowie cerca di attaccare bottone provando ad essere ancora cordiale e

FZ: “Fottiti Capitano Tom”

DB: “Non hai veramente nient’altro da dire?”

FZ: “Fottiti Capitano Tom”

Al che Bowie e Belew si alzano e se ne vanno in limo. Bowie col suo aplomb e umorismo britannico liquida la questione con un “Penso che sia andata piuttosto bene!”. E scippo fu.*

Lodger fatica ad arrivare, perché dopo aver vissuto gomito a gomito l’epopea di Heroes, Eno e Bowie si son persi di vista sviluppando visioni musicali non più tanto comuni. Questo sfocia in una acrimonia che non fa bene al disco, facendo nascere un ibrido dall’identità sporca, nel quale le personalità di Eno e Bowie cozzano in maniera prepotente. Eno a differenza delle prime due fatiche entra in maniera più determinante nelle logiche del disco, sia come musicista che come cultore di novità. Mentre le Strategie Oblique sono largamente accettate dopo le sessioni di Heroes, altre tecniche di pensiero laterale vengono difficilmente digerite dai musicisti – annoiando soprattutto Alomar. Creando quel senso di lezione scolastica dove Eno si comporta da professorino.

Lodger fatica ad arrivare, in quanto dopo aver terminato le sessioni delle basi musicali, Bowie fa passare 5 mesi prima di riprendere in mano il progetto e registrare il cantato. Con Visconti e Belew si va a New York a completare il disco, ma gli studi non sono mica come in Europa e l’attrezzatura non è tale da consentire un lavoro ottimale.

Lodger arriva, per quanto critica e principali artefici lo definiscono un incompiuto, per quanto le inimicizie interne abbiano inficiato sul risultato finale del disco, Lodger è un gran bel disco con un potenziale enorme espresso in parte.

Il tema del viaggio – evidenziato anche dalla cartolina dell’artwork – è prodromo di un certo tipo di world music e segue il concetto di motorik intrapreso da Neu!, Kraftwerk e in Station to Station. Così come il riciclo di canzoni passate dimostra una strepitosa attitudine allo studio della diversità.

Red Money è Sister Midnight – scritta durante lo Station to Station tour e donata a Iggy Pop – e che dire di Move On, una versione di All The Young Dudes al contrario ri-arrangiata, ma la figata si raggiunge con la Strategia Obliqua che suggerisce di suonare Fantastic Voyage con interpreti diversi agli strumenti, i musicisti così si scambiano le postazioni ed esce fuori una versione più veloce e decisamente più ritmata: Boys Keep Swinging.

Lodger è arrivato e ha chiuso un cerchio strepitoso che ancora oggi ci fa sognare.

Holger Czukay – Canaxis 5

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“Dobbiamo uccidere Stockhausen! Altrimenti non saremo liberi, subiremo sempre la sua influenza”, come Anakin con Obi-Wan la liberazione avviene mediante l’epurazione.

Le parole di Schmidt risuonano nello studio e spronano Czukay a seguire il lato oscuro della forza fondando i Can.

Karlheinz Stockhausen è immenso, la sola pronuncia del suo nome e cognome impasta la bocca come se non riuscisse a trattenere tutte quelle consonanti. Un’istituzione della musica elettronica che ha raccolto a piene mani l’eredità di Schoenberg tramandandola a sua volta a Holger Czukay, futuro bassista dei Can. Dopo una marea di fischi ricevuti durante un’esibizione, Stockhausen lasciò intendere – con ironia -che tutto quello che faceva era votato completamente all’arte “non ho bisogno di soldi, ho sposato una moglie ricca”.

Questa accoglienza rafforza l’idea di Czukay dopo anni di apprendistato con Stockhausen: ascoltare I Am The Walrus, Frank Zappa e i Velvet Underground ha decisamente solcato il sentiero verso il lato oscuro della forza. Quelle scelte sonore, quei collage di nastri, quegli ambienti musicali artificiosi. La parola d’ordine del nuovo corso è FRUIBILITA’.

E pensare che in Sgt. Pepper i The Beatles avevano incluso Stockhausen nella foto di gruppo in copertina, dimostrando di essere affascinati dai suoi esperimenti musicali e cercando di farli propri in Magical Mistery Tour e nel White Album. E niente, questo circolo vizioso ha iniziato Czukay al rock, alla ricerca di un suono che fosse più accessibile rispetto all’elettronica del suo maestro.

Il primo tentativo di creare un proprio linguaggio musicale avviene con Canaxis 5, dove le influenze della world music miste ad una elettronica stile fantascienza – tendente poi all’ambient – danno l’idea di dove la Kosmische Musik andrà a parare. Come Topolino Apprendista Stregone, Czukay approfitta dello studio lasciato libero da Stockhausen ed in 4 ore – con la collaborazione di Rolf Dammers – registra Canaxis 5. Semplice no?

Prima di raggiungere questo livello Stockhausen educa il padawan Czukay, cercando di fargli capire che la musica è istinto legata a razionalità e non il contrario.

“Tu pensi troppo! Ogni compositore che si rispetti si ritroverà a scalare un muro un giorno”, queste parole aiutano Czukay a cambiare prospettiva di pensiero e superare il blocco creativo battendo nuove strade, un po’ come la Strategia Obliqua di Eno induce a fare (in maniera più raffinata).

 

Roxy Music – Roxy Music

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I Roxy Music sono quel gruppo con gente travestita e fintamente effemminata con il cantante che sembra l’incrocio tra Will Ferrell e Donald Trump. I Roxy Music sono quel gruppo che ha fatto il Glam (con la G maiuscola) con Bolan e Bowie. I Roxy Music sono quel gruppo con musicisti cazzuti e che faceva qualsiasi genere volesse fare perché in grado di farlo.

“Stavo ascoltando dopo anni The Bob (Medley), una mini-suite di 6 parti, e mi venne da ridere. Era puro prog. L’album suona veramente strano, un mischiaticcio di robe. I Roxy non sarebbero stati messi sotto contratto al giorno d’oggi.” Phil Manzanera ci da l’idea di come sia cambiato il mercato musicale in 40 anni.

L’intento condiviso non è quello di fare le comparse – da one-hit-band – bensì l’idea musicale precisa è di non essere underground ma garantire un’offerta musicale di livello. “Quando abbiamo cominciato non pensavamo di essere commerciali […] ci vedevamo come una band di studenti d’arte […] King Crimson ad un estremo, Bowie all’altro, noi in mezzo”. Ferry capisce che la miscela può diventare più interessante se degli elementi vengono pescati dalle altre arti, il brano di apertura Re-Make/Re-Model – per essere fedele al proprio titolo – include la linea di basso di Day Tripper e La Cavalcata delle Valchirie, un vero e proprio rifacimento e ri-modellamento di composizioni che hanno influenzato direttamente i Roxy Music.

La musica classica è presente anche in Ladytron dove la linea di oboe rende tributo al concerto per piano n°3 di Prokofiev mischiandosi ad una canzone dai tratti hippy e che fa ciao ciao con la manina ai Jefferson Airplane. Il resto del disco ha una forte connotazione cinematografica, per questo motivo i riferimenti alle pellicole sono diversi: Chance Meeting ispirata a Breve Incontro, The Bob a I Lunghi Giorni delle Aquile (titolo originale Battle Of Britain acronimo di Bob) e 2HB a Casablanca. Curioso che in un album del genere sia presente anche un accenno di country con tanto di steel guitar simulata – con lo slide per fare l’effetto Ben Keith – certo, poi si evolve in una cagiara Glam con l’oboe di MacKay che sale in cattedra come se ci trovassimo davanti il Lol Coxhill di Shooting At The Moon.

Il lato  definito Crimsoniano lo troviamo nei cambi di ritmo di 2HB – tipici del prog – e in The Bob (Medley), come ci ha ricordato Manzanera. La produzione di Sinfield – figura cardine della prima fase Crimson – è il trait-d’union tra l’ispirazione e la realtà, mentre in precedenza l’amicizia tra Ferry e Fripp ha permesso di ottenere il contratto discografico con la Island Records (già etichetta dei King Crimson).

Non è un caso che il disco termini con un brano che ammicca agli anni ’50 e al doo-woop – nel quale Ferry fa quel che gli riesce meglio sfoggiando le sue doti da crooner con voce impostata – l’ennesimo genere del disco, sapientemente omogeneizzato che mostra a tutti quanto i Roxy siano bravi a fare tutto e bene. Brian Eno imparerà la lezione, mostrandocela 5 anni dopo in Before And After Science, lavorando di stiletto ad un disco che avrà tanto dei Roxy Music.

Brian Eno – Before And After Science

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Dopo due anni di lavoro – un’eternità per chi fa dischi negli anni ’70 – e oltre 100 brani registrati con le Strategie Oblique, Brian Eno si è avvalso della collaborazione di questi signori: Phil Manzanera, Robert Wyatt, Jaki Liebezeit, Fred Frith, Phil Collins, Moebius, Roedelius, Conny Plank, Andy Fraser, Dave Mattacks, Bill MacCormick. E non solo!

Ecco chi ha lavorato a Before And After Science, un disco come composto – secondo Eno – da musica oceanica, in netta contrapposizione alla definizione di musica del cielo per Another Green World (commercializzato nel 1975).

Prima e dopo la scienza è un po’ come dire prima e dopo Cristo, il disco infatti è perfettamente divisibile in due, la prima sezione frenetica la seconda riflessiva. Nella prima facciata si denotano le influenze passate, presenti e future, le canzoni funk e tirate tra il Bowie di Low (in No One Receiving) ed i Talking Heads che andrà a produrre negli anni successivi.

La collaborazione con Byrne e soci comincerà immediatamente dopo Before And After Science, nonostante questo, alle Teste Parlanti dedica King’s Lead Hat – anagramma di Talking Heads – che se non ci fosse il faccione di Eno in copertina sembrerebbe proprio una loro canzone (con la chitarra solista di Fripp che fa grandi cose) tant’è che l’avrebbero cantata anche insieme questa canzone se Byrne e combriccola non fossero stati impegnati. Con questo brano possiamo anche identificare dei tratti distintivi dell’impronta che Eno da un anno a questa parte andrà a dare su Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!

Before And After Science, è una radio accesa che cambia stazione di volta in volta, e nella quale possiamo ascoltare anche la frequenza di Canterbury. In Backwater, spuntano i massimi esponenti del non-senseBarrett e Ayers – con scioglilingua continui e atmosfere scanzonate degne di Joy Of A Toy; soprattuto quando nella coda del brano la chitarra elettrica è ancor più marcata (un po’ come per Religious Experience).

La stessa sensazione la si ha con il brano successivo: Kurt’s Rejohinder ha una linea di basso prettamente zappiana e un ritmo tribale di sottofondo al quale si aggiunge la voce campionata – dagli anni ’30 – del poeta dada Kurt Schwitters. L’intuizione di utilizzare una voce ripescata da un programma radiofonico ci offre un’anteprima di My Life In The Bush Of Ghosts, nel quale Eno e Byrne useranno le registrazioni, campioneranno suoni e… insomma ne parlerò un’altra volta su.

Frith invece mette lo zampino in Energy Fools The Magician con la sua chitarra “pimpata”, parte da una base jazz fino a diventare una classica sigla da Law And Order se fosse stato girato negli anni ‘80… per capirci una cosa tra la sigla di Attenti a Quei Due e Stranger Things, con una linea di basso jazz.

Il secondo lato si asciuga delle sovrastrutture pronunciate – della prima parte – guadagnandone in intensità, con la sensazione di trovarsi nel lato B di Low senza però avere l’angoscia e la potenza di Warszawa. Here He Comes nella sua malinconia è spensierata, ci si incupisce con Julie With – dove la musica oceanica risalta grazie ad una base musicale quasi acquatica – preparatoria alla perla By This River, con annessa conclusione delicata di Spider And I.

“Spider and I

Sit watching the sky

On our world without sound

We knit a web

To catch one tiny fly

For our world without sound”

P.S. vi sembrava che non avrei approfondito By This River? E’ un brano praticamente scippato da Eno durante le registrazioni del disco Cluster & Eno – che vedeva anche la partecipazione di Czukay. Niente praticamente Roedelius suona la melodia al piano, Moebius lo accompagna al basso, Eno dice “Weee Giampi! Guardate là ci fregano l’attrezzatura!” e mentre si girano ciula By This River ai Cluster scrivendoci il suo testo e cantandoci sopra. Easy no?

David Bowie – Heroes

David Bowie - Heroes.jpgC’è la old wave. C’è la new wave. E poi c’è David Bowie.”

La RCA si lecca i baffi, Bowie ha in mano una perla e stavolta la vuole promuovere in lungo e in largo. Non solo, è previsto un tour unico per Low e Heroes… roba da sfregarsi le mani.

L’esilio losangelino è alle spalle e piano piano Bowie riesce a ristabilire la propria mente grazie alla nuova formula: meno droghe e più sbornie in compagnia di Iggy. L’obiettivo dichiarato è quello di esporsi per difendere le scelte che hanno condotto alla deriva musicale di Low e Heroes. Già, perché a tanti è piaciuto Low, ma chi non l’ha compreso ha cercato di affossarlo alla grande e non è passato inosservato.

Inoltre David prende la decisione di non accompagnare Iggy per il tour di Lust For Life; David vuole concentrarsi sul suo progetto, ha già chiamato Brian Eno – in stallo creativo per Before And After Science (completato dopo le sessioni di Heroes) – per continuare quanto cominciato con Low.

La squadra è sempre la solita: il trio Murray/Davis/Alomar, Tony Visconti come produttore, la presenza di Eno per tutto l’album e Robert Fripp a consolidare il team (sia Fripp che Eno erano già attesi da Bowie per le sessioni di The Idiot ma i due diedero buca per impegni solisti). Il rapporto consolidato tra i musicisti contribuisce ad una rilassatezza mentale di Bowie, in continuità con Low e The Idiot – nel quale si instaura un clima cameratesco con i membri della band.

Stavolta lo studio scelto è l’Hansa Tonstudio 2, vicinissimo al muro di Berlino. Come per Station to Station, The Idiot e Low, si comincia a registrare in modo del tutto casuale, tant’è che Brian Eno – ancora incontaminato dell’approccio di Bowie – rimane totalmente sconvolto da questo metodo… proprio lui, finito in una bonaccia creativa per Before And After Science non poteva credere che le brevi istruzioni di Bowie potessero sfociare in un “buona la prima”.

Eno ricorda: “Pensavo: ‘Merda non può essere così facile’. Facemmo anche delle seconde take, ma mai si rivelarono buone quanto le prime.”

Per questo motivo il mitico Visconti spende le prime settimane di lavoro per mettere a punto tutte le jam session registrate, a fare un taglia e cuci sapiente sui nastri (che venivano lasciati accesi dal produttore tutto il tempo dall’entrata all’uscita dallo studio, cosciente del fatto che ogni momento musicale potesse rivelarsi prezioso).

Il disorientato Eno non si perde d’animo, raccoglie le forze e suggerisce – ai musicisti presenti nelle session – dei metodi inusitati : in principio non riceve una piena collaborazione in cambio; successivamente riesce a far breccia in qualche modo nelle convinzioni di Alomar e soci. Certo, alcune di questi suggerimenti si rivelano arditi e perciò non sbandierati ai quattro venti, come le Strategie Oblique (in soldoni un mazzo di tarocchi con delle indicazioni volte a superare un blocco creativo) nascoste ai musicisti ed utilizzate con Bowie quando si trovavano nello studio da soli.

Molte delle tracce di Heroes devono la loro forma finale alle Strategie Oblique, su tutte Sense of Doubt, infatti Bowie ed Eno pescarono due carte diametralmente opposte e come per una partita di Risiko se le tennero nascoste fino alla fine. Il titolo della canzone deriva proprio dall’incertezza di base segnata dalle indicazioni interpretate dai due.

E’ divertente poi pensare al cameo di Robert Fripp in studio. Atterrato a Berlino – da New York – di sera, entra in studio e riceve le solite indicazioni da Bowie “suona come se non dovesse suonare per il tuo disco”… e via di Frippertronics, si tira fuori la chitarra e si comincia a familiarizzare con le registrazioni, ma non troppo, che poi si cambia subito. La mattina il lavoro è terminato e Fripp se ne torna a New York. Figo no?

Come per i precedenti album appartenenti alla sfera della Trilogia Berlinese, servirebbe un libro per poter raccontare tutti gli aneddoti con calma, ma l’articolo non si può dilungare più di tanto e quindi concluderò scrivendo della title-track.

Heroes è maestosa e deve questo alla ricerca da parte di Eno di un suono tra Can e Velvet Underground, un lavoro certosino avvenuto dopo la stesura delle armonie di Bowie e della band.

Come avvenuto per Low in alcuni brani, Heroes rischiava di rimanere strumentale. Nonostante in altre situazioni la tecnica Iggy Pop funzionasse sempre meglio, in questo caso Bowie si prende il tempo necessario, registra qualche parte, torna indietro fino a quando non viene folgorato dall’epifania definitiva. In maniera distratta – affacciandosi dagli studi di registrazione – vede due amanti abbracciarsi fugacemente sotto il muro di Berlino… quei due amanti sono il Visconti fedifrago (sposato all’epoca) e Antonia Maass (ai cori di Beauty And The Beast). Tale informazione è rimasta secretata sino al 25esimo anniversario del disco quando Baui ce la racconta smascherando il vile Visconti.

Heroes viene percepita come un inno alla speranza a causa del potente crescendo della canzone, ma Bowie vuole celebrare la disperazione di un amore fugace, la malinconia di dover vivere in clandestinità qualcosa che può bruciare in un attimo, come dice lui stesso: “l’unico atto eroico è il semplicissimo piacere di essere vivi.”

Della title-track vengono registrate anche una versione francese ed una tedesca, con videoclip annesso volto a pubblicizzare il ritorno alla vita – e all’ottimismo – di David Bowie dopo un periodo più che vergognoso dal punto di vista personale.

Ultimissimo accenno al disco che mi vale anche come link ad un altro album, V-2 Schneider è il brano di apertura del lato B, un ponte diretto tra i primi 5 brani di una potenza dirompente ed un lato più rilassato. Il titolo è un tributo a Florian Schneider dei Kraftwerk – di cui Bowie è un grande estimatore e non ha mai mancato di farcelo intendere – al termine di un circolo virtuoso di omaggi che comprende Trans-Europe Express (dall’omonimo album) nella quale viene citata Station to Station:”di stazione in stazione tornando a Düsseldorf per incontrare Iggy Pop e David Bowie“.